1866 QUATTRO BATTAGLIE PER IL VENETO

1866 QUATTRO BATTAGLIE PER IL VENETO
Il volume e acquistabile presso tutte le librerie, oppure si può chiedere alla Casa Editrice (ordini@nuovacultura.it) o all'Istituto del nastro Azzurro (segreteriagenerale@istitutonastroazzurro.org)

1866 Il Combattimento di Londrone

ORDINE MILITARE D'ITALIA

ORDINE MILITARE D'ITALIA
CAVALIERE DI GRAN CROCE

Collana Storia in Laboratorio

Il piano editoriale per il 1917 è pubblicato con post in data 12 novembre 2016

Per i volumi pubblicati accedere al catalogo della Società Editrice Nuova Cultura con il seguente percorso:
www.nuovacultura.it/catalogo/collanescientifiche/storiainlaboratorio

.La collana Storia in Laboratorio 31 dicembre 2014

.La collana Storia in Laboratorio 31 dicembre 2014
Collana Storia in Laboratorio . Scorrendo il blog si trovano le indicazioni riportate sulla quarta di copertina di ogni volume. Ulteriori informazioni e notizie possono essere chieste a: ricerca23@libero.it

Testo Progetto Storia In Laboratorio

Il testo completo del Progetto Storia in Laboratorio è riportato su questo blog alla data del 10 gennaio 2009.

Si può utilizzare anche la funzione "cerca" digitando Progetto Storia in Laboratorio.

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La Collana Storia in Laboratorio al 31 dicembre 2011

La Collana Storia in Laboratorio al 31 dicembre 2011
Direttore della Collana: Massimo Coltrinari. (massimo.coltrinari@libero.it)
I testi di "Storia in Laboratorio"
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martedì 22 marzo 2011

Il ricordo dell'eccidio delle Fosse Ardeatine 24 marzo 1944

Come già altre tre volte in passato la nostra scuola "Albertelli Newton" parteciperà con le terze medie alla celebrazione dell'eccidio delle Fosse Ardeatine a Roma giovedì 24 marzo alle 9,30.


In passato abbiamo incontrato il Presidente Ciampi, il padre costituente Giuliano Vassalli e il figlio di Pilo Albertelli, Guido, che ci ha ricordato quei giorni rivissuti con i ricordi del ragazzo dodicenne, che era allora alla disperata ricerca del padre con la forte mamma e il fratello Sergio ancora più piccolo.

Saremo anche questa volta onorati di rappresentare non solo la nostra scuola, ma tutta la città che ha dato i natali a Pilo Albertelli e ha contribuito a creare lo Stato democratico nel quale viviamo ottenendo il riconoscimento della medaglia d'oro.

Porteremo con noi anche il libro che la nostra scuola ha realizzato su Pilo Albertelli e il video - documentario sulla sua vita che contiene testimonianze dei figli, dei parenti e di persone che l'hanno conosciuto come Pietro Ingrao, e lasceremo un fiore sulla sua tomba con il nostro grazie.

Per la scuola, Danilo Amadei

lunedì 21 marzo 2011

LAURO DE BOSIS, IL SUO ESEMPIO

Lauro De Bosis è stato un anticipatore del Secondo Risorgimento. Esiste un nesso molto preciso e lineare tra l’800 - e quindi il Risorgimento e il nostro divenire Stato-Nazione - e quello che, all’indomani della I Guerra Mondiale, è stato una cesura per quanto riguarda l’incapacità di portare avanti quegli stessi ideali. Quegli stessi ideali che sono stati recuperati all’ultimo per creare un nuovo Risorgimento dal quale scaturisse una vera e propria guerra per la liberazione del Paese occupato. Proprio queste nostre attività di studio sono rivolte ai giovani che vogliono capire in quale società e in quali ambiti sociali sono inseriti. Il convegno odierno si inserisce nell’ambito delle attività che hanno avuto luogo a Roma presso la Casa della Memoria. Questa è una biblioteca che, attraverso l’appoggio del sindaco Veltroni, ha dato spazio alle Associazioni Combattentistiche e d’Arma e ha dato vita alle attività di carattere culturale e commemorativo riferite proprio alla storia di Roma e alle vicende dell’antifascismo.

LAURO DE BOSIS

La figura di Lauro de Bosis è pressoché sconosciuta alla grande maggioranza della popolazione. In alcune grandi città vi sono vie o scuole a lui dedicate, ma se chiedessimo alle odierne generazioni chi era Lauro, quasi nessuno saprebbe rispondere. Per questo è fondamentale riviverne il ricordo ed attualizzarlo poiché lo studio della storia senza attualizzazione diviene mero esercizio accademico. In effetti, come tutti coloro che vanno contro la maggioranza e contro il pensare comune anche il De Bosis è stato piano piano dimenticato perché simbolo di una verità e di una realtà scomode.

A Lauro fu dato di potersi circondare di sapere e cultura che – come succede in altri casi – non ovattarono il contesto storico attorno a lui, anzi, contribuirono a farne un uomo con una precisa e chiara coscienza di sé e degli altri. Il padre, Adolfo de Bosis nacque ad Ancona il 2 gennaio 1863 e fu uomo di grande intelletto. Tra il gennaio 1895 e il dicembre 1897 diresse la rivista “Il Convito”, che uscì in dodici fascicoli e sulla quale vennero pubblicate opere del Carducci, del Pascoli e del d’Annunzio. La sua casa divenne il punto d’incontro per l’intellighenzia italiana e straniera e Lauro crebbe immerso in un ambiente cosmopolita e culturalmente stimolante.

IL CONTESTO STORICO

Lauro crebbe in un contesto storico che vide protagoniste travagliatissime vicende, all’indomani della fine della I Guerra Mondiale, combattuta con strategie ottocentesche, ma con armi tecnologicamente avanzatissime che ovunque produssero immani carneficine Nel momento della massima crisi italiana, cioè dopo la disfatta di Caporetto (novembre 1917) il Re – per impedire la perdita di tutte le conquiste del I Risorgimento – lanciò un messaggio alla Nazione chiedendo al popolo di combattere per la propria terra. Un tale appello rivolto ad un esercito composto per il 97% da contadini venne da tutti interpretato come la promessa della sospirata riforma agraria che era stata uno degli obiettivi principali dell’agire politico di Andrea Costa e dei suoi sostenitori e che aveva trovato il culmine dell’espressione negativa nel 1896 con i colpi di cannone del Generale Bava Beccaris contro popolo affamato a Milano. Dopo il messaggio del Re i soldati si opposero strenuamente al nemico e nel momento in cui Vittorio Emanuele fu chiamato a mantenere la promessa fatta il capitalismo agrario e la classe dirigente non accettarono di avvallare le decisioni del Sovrano. Proprio dagli scontri sociali che seguirono emerse la figura del “caporale” Benito Mussolini, l’unico che in quel momento seppe tenere a bada le folle inferocite per convogliarle verso un sentire e un agire comuni.

Dopo la fine della guerra la promessa del Re non venne mantenuta e il momento di massima crisi si ebbe nel 1921, allorché la salma del milite ignoto venne tumulata nel Vittoriano, invertendo la tradizione millenaria che voleva che gli onori e i trionfi fossero conferiti ai comandanti vittoriosi. L’Italia era infatti uno dei pochissimi Pesi europei rimasti a non avere ancora dedicato un mausoleo alla figura del soldato italiano. Il 20 agosto 1921, il Ministro della Guerra Gasparotto emanò le prime disposizioni per la programmazione e l’organizzazione delle "solenni onoranze alla salma senza nome di un soldato caduto in combattimento alla fronte italiana nella guerra italo-austriaca 1915-1918". Il ministro dispose la costituzione di una commissione che eseguisse la ricerca di undici salme di sodati ignoti nei tratti più avanzati dei principali campi di battaglia: Monfalcone, S.Michele, Gorizia, Alto Isonzo, Cadore, Asiago, Pasubio, Tonale, Monte Grappa, Montello, Capo Sile, designando, per ciascuna zona, una salma di esumarsi alla presenza della commissione. Le operazioni dovevano concludersi entro il 27 Ottobre e, per la stessa data, dovevano essere fatte giungere alla cattedrale di Aquileia; la cerimonia era fissata per il successivo giorno 28 e prevedeva, dopo la benedizione di tutte le salme, che la madre di un caduto non riconosciuto avrebbe designato la bara da prescegliere. Per questo triste compito fu designata una popolana di Trieste, Maria Bergamas, il cui figlio Antonio aveva disertato dall'esercito austriaco per arruolarsi volontario in quello italiano, cadendo in combattimento senza che il suo corpo fosse identificato. Al termine, la cassa con il Milite Ignoto doveva essere collocata in una cassa di zinco e quindi racchiusa in una bara speciale fatta allestire dal ministero della guerra ed inviata, per l'occasione, ad Aquileia. Quanto alle salme dei rimanenti dieci soldati ignoti veniva disposto che rimanessero fino al 4 Novembre nella cattedrale di Aquileia, vegliate da un picchetto d'onore e quindi tumulate, in forma solenne, nel cimitero retrostante la cattedrale stessa. Per il trasferimento a Roma del feretro, si dispose l'allestimento di un treno con in testa un carro speciale sul quale doveva essere collocato un affusto di cannone, e su questo la bara. Il viaggio si compì in treno sulla tratta Aquileia-Venezia-Bologna-Firenze-Roma a velocità moderatissima in modo che presso ciascuna stazione la popolazione avesse modo di onorare il caduto simbolo. Moltissimi italiani attesero,a volte anche per ore, il passaggio del convoglio al fine di poter rendere onore al caduto: il treno si fermò praticamente in tutte le stazioni. Così come i soldati erano partiti in treno verso il fronte, adesso dal fronte il treno riconduceva la salma ignota verso i massimi onori.

La cerimonia ebbe il suo epilogo nella capitale. Tutte le rappresentanze dei combattenti, delle vedove e delle madri dei caduti, con il Re in testa, e le bandiere di tutti i Reggimenti mossero incontro al Milite Ignoto, che da un gruppo di decorati di medaglia d'oro fu portato a S. Maria degli Angeli. La salma venne posta nel monumento il 4 novembre 192,1sotto la statua della Dea Roma, ai piedi del padre della Patria Vittorio Emanuele II cui ora il figlio ritornava dopo la guerra.



LA LOTTA DI LAURO AL FASCISMO

Di ispirazione sindacal-corporativa, combattentistica, socialista revisionista e organicista, il movimento fascista raggiunse il potere nel 1922 con un colpo di stato e si costituì in dittatura nel 1925, dopo la promulgazione delle cosiddette Leggi Fascistissime. Il fascismo descriveva sé stesso come una terza via alternativa al capitalismo liberale e al comunismo marxista, basata su una visione interclassista, corporativista e totalitaria dello Stato. Radicalmente e violentemente contrapposto al comunismo e pur riconoscendo la proprietà privata, il fascismo rifiutò infatti anche i principi della democrazia liberale. A tutto questo Lauro si oppose, consapevole di essere una vittima e risoluto a farsi protagonista di uno dei periodi più tristi della storia d’Italia, criticando sia gli sconfitti – in alcuni passi di Storia della mia morte vi sono critiche alla secessione dell’Aventino che lo porteranno, in Francia, ad essere emarginato dagli antifascisti– sia la classe dirigente fascista. Il De Bosis intraprese un’azione di difesa ai valori della libertà avendo l’idea che bastassero una ventina di giovani volenterosi per fra crollare il fascismo. Esso era infatti una struttura non solida che poi, il 25 luglio 1943 si sfaldò senza che nessuno potesse far nulla per ricostituirla, nemmeno la Milizia, lasciando attonito l’alleato tedesco per questo sgretolamento così subitaneo. Lauro non riuscì nella sua impresa con l’aiuto della massa, ma concependo l’impresa individuale e ponendosi al di sopra dell’organizzazione antifascista, che non acquisì caratteristiche unitarie fino al 1942. La sua azione si svolse grazie ad una tecnologia relativamente nuova che stupì e lasciò attoniti tutti quanti, sulla scia dell’impresa dannunziana su Vienna. I volantini scaricati da Lauro su Roma si appellavano al Re, rammentandogli il suo ruolo di guida per una ripresa immediata del dialogo risorgimentale. E il volo di Lauro umiliò anche l’aviazione italiana, considerata l’arma “fascistissima” e di cui il fascismo si vantava. Essa si rivelò infatti impotente di fronte ad un’incursione improvvisa, gettando nel ridicolo tutto l’apparato difensivo di Roma. Anche per questo l’azione denigratoria sul De Bosis fu ampia e intaccò anche gli antifascisti, che lo ignorarono. Egli fu obliato fino alla fine della II Guerra Mondiale. Nel mondo anglosassone, invece, anche grazie alla fidanzata Ruth Draper e all’ampio risalto dato alla sua impresa dai giornali stranieri, egli è molto più conosciuto all’estero. Una pecca alla quale tutti noi dovremmo rimediare ricordando la sua impresa e il suo estremo sacrificio per la libertà.

giovedì 10 marzo 2011

NON PIU’ RETICOLATI NEL MONDO

Lo sterminio degli Herrero

Africa del sudovest 1904

Gli Herrero, una popolazione di non più di 80.000 individui che viveva ai confini dell’attuale Namidia, ebbe il non poco piacevole privilegio di essere oggetto del primo genocidio del secolo breve e di inaugurare il lavoro forzato e subire un trattamento violento e degradante in un campi di concentramento.

Come per scherzo del destino chi commise questo primo sterminio furono i Tedeschi, allora potenza colonia in quella che era chiamata l’Africa del Sud Ovest.

Gli Ferrero erano una popolazione pacifica, ed il loro capo firmò varie trattai in cui cedeva ai coloni tedeschi appezzamenti di territorio su appezzamenti; ma i tedeschi non hanno nei loro programmi coloniali di spartire con gli ferrero le terre, ma di accaparrarsele tutte.

Dalla iniziale disponibilità di Ferrero sono spinti alla rivolta e la sommossa scoppia nel 1904. E’ l’occasione peri tedeschi di passare all’azione. Disprezzando intimamente gli ferrero i tedeschi trasformano quello che poteva essere uno scontro coloniale in uno scontro razziale.

L’11 agosto 1904 nella battaglia di Hamakari-Waterberg l’esercito tedesco non solo sconfigge gli Herrero in armi uccidendo 5-6000 combattenti, ma passa all’azione eliminando sistematicamente quelli che sono al seguito iccidendone altri 20-30 mila. Lo scopo con cui si opera è chiaro: annientare la popolazione indigena rappresentata dagli Herrero.

Ha capo delle forze tedesche operanti vi è il gen. Lothar von Trotha il quale non ha scrupoli: vuole lo sterminio di tutti gli Herrero

Questa posizione di von Trotha non è però condivisa dall’Amministratore civile della Colonia, Theodor von Leutwein, che considera questa azione del tutto assurda, oltre che inattuabile, dal punti di vista economico, in quanto la Colonia ha bisogno delle braccia degli indigeni.

Inizia un braccio di ferro tra il potere militare e quello civile e la questione arriva fino a Berlino, attraverso il Capo di Stato Maggiore dell’esercito tedesco von Schlieffen, che la sottopone al Kaiser.

Guglielmo II prende le parti di von Trotha e, mentre von Leutwein da le dimissioni, si avvia lo sterminio sistematico. Gli Ferrero non hanno possibilità di sopravvivenza se non prendere la via del deserto, il Kalahari, per raggiungere le colonie inglesi o portoghesi. Ma i tedeschi li prevengono ed avvelenano tutti i pozzi d’acqua situati lungo il tragitto. Il Kalahari ucciderà circa 30.000 Herrero.

All’inizio del 1905 von Trotha può constare che la rivolta degli ferrero è sedata. Rimangono poco più di circa 12000 Herrero, qualche migliaio alla macchia il resto rifugiati nelle colonie inglesi.

La Germania Guglielmina non è la Germania nazista e l’ordine di sterminio è ritirato alla fine del 1905.

Ma questa soluzione appare agli occhi dei militari tedeschi e soprattutto di von Schlieffen come una sconfitta in quanto erano rimasti vivi un numero troppo elevato di Herrero; soprattutto ci si preoccupa di quelli che hanno trovato rifugio nelle coline inglesi, che potrebbero da vita ad una guerriglia che si vuole evitare. Vi è anche la necessità di manodopera nella colonia tedesca ( anche in questo caso i tedeschi avendo bisogno di manodopera, non si fermano davanti allo sterminio, così come nella seconda guerra mondiale); inoltre l’immagine della Germania da tutta questa vicenda ne esce oscurata.

Da qui la decisione del cancelliere von Bulow di tentare di por fine alla guerra con gli Ferrero e cercare di convincere i sopravissuti a ritornare in Patria.

La questione è posta di nuovo alla attenzione di Guglielmo II e dopo tre settimane di discussione si decide di por fine alla politica di sterminio fino ad allora attuata e di passare alla politica della schiavitù.

Questa politica consiste nel fatto che nella Colonia ogni Herrero che si fosse costituito alla autorità non doveva essere più ucciso, ma considerato come “internato”. Doveva essere ristretto in un luogo controllato e sicuro (campo di concentramento) doveva essere marchiato con le lettere GH (che stavano a significare ‘Herrero catturato”) e doveva lavorare forzatamente per l’economia della Colonia al costo più basso possibile per la Colona stessa; non poteva accampare ne godere di diritti, inoltre non potevano ripopolare le terre degli avi (che erano diventate terre dell’Impero). Come si può ben notare vi è tutta l’architettura dell’internamento di guerra.

Ancora più interessante è il fatto che nelle carte amministrative intercorse tra Berlino e la Colonia, un telegramma della cancelleria in data 14 gennaio 1905, appare per la prima volta il termine Konzentrationlager

Dopo le esperienze degli spagnoli (1899) e degli inglesi nella guerra Boera, i tedeschi che già adottano il binomio Konzentrationlager ( campo di concentramento) e filo spinato, perfezionano il sistema integrandolo con il lavoro forzato. Per la prima volta, siamo nel 1905, il campo di concentramento con filo spinato e il lavoro forzato sono associati in una unica entità fuori di un contesto militare.

Questo trinomio nella sua attuazione serve per sbarazzarsi dei “diversi” non attraverso i genocidio come voluto da von Trotha, ma attraverso l’eliminazione degli internati attraverso il lavoro fisico. Da qui le durissime condizioni di trattamento all’interno dei campi. Le fonti tedesche, sempre precise al riguardo attestano che le autorità coloniali tedesche internarono 10632 donne e bambini e 4137 uomini. Di questi 7862 morirono entro un anno dall’internamento a causa delle durissime condizioni di trattamento.

I campi di concentramento sono a Luderitz, Swakopmund e Karabib. Il lavoro è finalizzato alle grandi opere delle Colonia, come la costruzione della linea ferroviaria Luderitz-Keetmanschoop

Ancora più sconcertante è il fatto che dagli Archivi tedeschi i registri, che riportano le cause dei decessi, attestano che si siano fatti sugli internati ferrero esperimenti medici. Il dottor C. Krieger Hinck nella sua tesi di dottorato,menziona l’invio alle Università di Breslavia e di Berlino di collezioni di crani di Herrero, debitamente ripuliti con pezzi di vetro dagli internati stessi. Inoltre numerosi cadaveri di Ferrero furono inviati in Germania per essere sezionati.

Nel 1908 questa politica attirerà gli strali delle opposizioni parlamentari tedesche ed i campi vengono smantellati . I sopravissuti non sono autorizzati a ritornare nei territori di origine ma vengono smistati nelle diverse fattorie con al collo una placca (identificazione del diverso) recante un numero di matricola.

Nel 1911 I tedeschi recensiscono gli Herrero mescolandoli anche ad altre etnie consimili. Né risultano circa 15.130

In base a quanto detto sopra si può quindi dire che in poco più di sette anni l’80% degli Herrero è stato sterminato. Ma gli storici possono ben asserire che nel 1911 gli Ferrero hanno cessato di essere una popolazione o una tribù, quindi sono stati sterminati

Rimane l’ultimo dato da porre all’attenzione del lettore. Il primo commissario imperiale della Colonia d’Africa del Sudovest fu un certo dottor Heinrich Goring. Suo figlio Herman Goering fu l’iniziatore del sistema concentrazionario nazista. Due domante: Esiste un collegamento tra padre e Figlio? Ma quello che è successo in Germania dal 1933 al 1945 è solo colpa del “pazzo” Adolf Hitler?

(massimo coltrinarinri: e mail: massimo.coltrinari@libero.it)


Alunni del Liceo Scientifico Tecnologico

"Colomba Antonietti"

Roma