1866 QUATTRO BATTAGLIE PER IL VENETO

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1866 Il Combattimento di Londrone

ORDINE MILITARE D'ITALIA

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CAVALIERE DI GRAN CROCE

Collana Storia in Laboratorio

Il piano editoriale per il 1917 è pubblicato con post in data 12 novembre 2016

Per i volumi pubblicati accedere al catalogo della Società Editrice Nuova Cultura con il seguente percorso:
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.La collana Storia in Laboratorio 31 dicembre 2014

.La collana Storia in Laboratorio 31 dicembre 2014
Collana Storia in Laboratorio . Scorrendo il blog si trovano le indicazioni riportate sulla quarta di copertina di ogni volume. Ulteriori informazioni e notizie possono essere chieste a: ricerca23@libero.it

Testo Progetto Storia In Laboratorio

Il testo completo del Progetto Storia in Laboratorio è riportato su questo blog alla data del 10 gennaio 2009.

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La Collana Storia in Laboratorio al 31 dicembre 2011

La Collana Storia in Laboratorio al 31 dicembre 2011
Direttore della Collana: Massimo Coltrinari. (massimo.coltrinari@libero.it)
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domenica 18 settembre 2011

Istituto Colomba Antonietti Roma Giornata della memoria 27 gennaio 2011

Scrivendo i ricordi salviamo le nostre radici
 e noi stessi

intervengono:

-Dott.ssa Fiorella Rathaus : testimone, responsabile del settore integrazione del C.I.R ( consiglio italiano dei rifugiati)

Dott.ssa Pina Deiana : psicologa, psicoterapeuta.

-Claudio Damiani : poeta.



27/01/2011 Aula magna ore 9:00/12:00 Via delle vigne, 205/209





Daniela Bravi, docente

Gli alunni dell’Istituto Colomba Antonietti, ormai da alcuni anni, intervistano e ascoltano i nonni, i testimoni sopravvissuti ai lager, gli anziani che vivono vicino a loro nel quartiere, nel Centro anziani, e attraverso i racconti hanno conosciuto storie di guerra e di sofferenza, ricordi piccoli, a volte confusi, che hanno scritto sulle pagine di questa rivista, affinchè non venissero dimenticati, perché la scrittura rende vivo ed eterno il ricordo.

Per questo motivo, ma anche per trovare una via di salvezza, per rendere meno straziante il dolore, molti di coloro che hanno conosciuto la deportazione e l’internamento nei lager hanno voluto scrivere la loro storia e grazie a quelle memorie noi, oggi, sappiamo. Così è stato per P. Levi che in “Se questo è un uomo” scrive che “il bisogno di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi, aveva assunto (…) il carattere di un impulso immediato e violento, tanto da rivaleggiare con gli altri bisogni elementari”, il libro fu scritto “nel giro di pochi mesi” tanto i ricordi gli “bruciavano dentro”.

Il ricordo che diventa letteratura e poesia non sarà dimenticato e Omero “il sacro vate, placando quello afflitte alme col canto,/ i Prenci Argivi eternerà per quante/ abbraccia terre il gran Padre Oceano” ed Ettore avrà “onore di pianti (…) finchè il sole risplenderà su le sciagure umane” (U. Foscolo, I Sepolcri).

Anche un grande poeta del Novecento, G. Ungaretti, nella poesia In Memoria riflette sul valore della poesia stessa. I suoi versi raccontano l’amicizia con Moammed Sceab, con il quale si ritroverà a Parigi; entrambi soffrono perché “in nessuna parte di terra” riescono a sentirsi a casa, ma se Ungaretti troverà nella poesia la forza di superare il dolore, Moammed “non sapeva sciogliere il canto del suo abbandono” e per questo si tolse la vita.

Di tutto questo abbiamo parlato il 27 gennaio con gli studenti della Colomba Antonietti e con gli ospiti intervenuti alla Giornata della memoria: la dott.ssa Fiorella Rathaus, responsabile del settore integrazione del Consiglio italiano dei rifugiati; la dott.ssa Pina Deiana, psicologa e psicoterapeuta; il signor Claudio Damiani, poeta.

I nostri alunni hanno partecipato attivamente intervenendo con letture e riflessioni sul tema della Memoria e la scrittura: ve ne proponiamo alcune.



Riflessione sulla Giornata della Memoria.

Veronica Lustri

Come tutti gli anni, la nostra scuola ha organizzato un incontro in occasione del Giorno della Memoria.

“Scrivendo salviamo le nostre radici e noi stessi”: questo era il tema della nostra Giornata.

Proprio questa frase ha portato me, come il resto degli alunni, a riflettere sull’importanza della scrittura, che ha una funzione fondamentale soprattutto per quanto riguarda la Shoah: il dovere di non dimenticare e di sensibilizzare le generazioni più giovani a vigilare perché l’uomo non torni ad essere una bestia.

L’incontro è iniziato con la visione di un filmato nel quale dei testimoni dell’Olocausto raccontavano le loro storie; tra questi ricordo Lia Levi e il signor Mieli, entrambi venuti già in passato nella nostra scuola come ospiti; ciò che mi ha colpito di più in questo video è stato il ricordo della signora Springer, tornata ad Auschwitz per testimoniare, nel campo di concentramento dove era prigioniera durante la Seconda guerra mondiale.

La signora , osservando quegli ambienti, ricorda come lei e gli altri deportati fossero costretti a vivere in condizioni tragiche, privati non solo dei loro vestiti, ma anche della loro dignità.

Dopo il video, l’incontro è proseguito con l’arrivo di tre importanti ospiti: la Dott.essa Fiorella Rathaus, la Dott.essa Pina Deiana e il poeta Claudio Damiani.

La signora Rathaus lavora presso il C.I.R, Consiglio Italiano per i Rifugiati (ONLUS).

La dottoressa ci ha parlato dei rifugiati, che sono persone in pericolo poiché costrette a fuggire dal proprio paese per un fondato timore di persecuzione per motivi etnici,politici, di nazionalità, religione, gruppo sociale di appartenenza.

Il rifugiato, infatti , non sceglie di spostarsi alla ricerca di una qualità di vita migliore, ma è costretto ad abbandonare la sua casa e a trovare protezione fuori dal proprio paese; analogamente è avvenuto al popolo ebraico.

Dopo la presentazione delle due ospiti, le classi quarta e quinta del liceo scientifico tecnologico hanno letto alcuni brani tratti da libri sulla Shoah, ad esempio “Se questo è un uomo” di Primo Levi e hanno elaborato ed esposto le riflessioni riguardanti il tema della giornata: la scrittura e la Memoria.

Di rilevante importanza è stata la presenza del poeta Claudio Damiani, il quale ha scritto numerose poesie che sono state lette da alcuni alunni delle classi prime della nostra scuola.

Il signor Damiani , come metafora per indicare la guerra, ha utilizzato un elemento naturale: il fuoco, che si accende da una piccola scintilla diventando poi un grande incendio.

Per concludere la professoressa Lorenzini ha letto la testimonianza di suo padre, anche lui vittima di quella storia dove il peggior nemico dell’uomo fu l’uomo stesso!







“La memoria attraverso la scrittura”



Elisa Agnoni





Oggi 27 gennaio 2011 celebriamo, come ormai da molti anni, la giornata della memoria, istituita per non dimenticare la Shoah e tutte le vittime dei crimini nazisti. Celebrare questa giornata è fondamentale affinché quanto avvenuto non si ripeta mai più, per nessun popolo, in nessun tempo e in nessun luogo. Quest'anno abbiamo deciso di riflettere su un tema particolare, ovvero la scrittura, grazie al quale gli uomini nella storia riescono a comunicare fatti accaduti, emozioni provate e a consentire di non abbandonare mai il ricordo di eventi che hanno lasciato una profonda cicatrice nel nostro passato e che ancora oggi permane nei nostri cuori.

La Giornata ha avuto inizio con la visione di un video nel quale vi erano le dure testimonianze di persone che hanno vissuto direttamente gli eventi tragici di quegli anni e sono state costrette ad assistere alla morte delle loro persone care e a soffrire fame e freddo durante le atroci deportazioni nei campi di sterminio nazisti. Tra queste vi era la signora Springer, che tornando nei luoghi dove aveva vissuto il dolore e la disperazione e dove i tedeschi imponevano il loro rigido controllo, riporta alla luce ricordi terribili del suo passato i quali, anche se a distanza di molto tempo, ancora sono stampati perfettamente nella sua memoria. Appena varca la soglia di quel luogo e si addentra in quelle buie camere dove tutti gli ebrei stavano raccolti in attesa della loro fine, nei suoi occhi si riflette una forte emozione e sul suo viso scendono lente e profonde lacrime di tristezza e di disprezzo verso chi ha commesso l'orrendo delitto di condurre gli uomini verso la loro demolizione. Un'altra persona presente nel video era il signor Mieli che ha ricordato la sua esperienza personale da deportato e ha rammentato ai giovani presenti durante il suo racconto che la loro grande fortuna è quella di vivere felici e spensierati accanto alle persone amate, senza essere costretti a conservare il ricordo atroce di un passato incancellabile. Per questo non bisogna mai smettere di comprendere quanto la nostra vita sia preziosa e vada vissuta sempre restando accanto a coloro che amiamo, anche perchè bisogna pensare a chi nella sua infanzia ha desiderato farlo e non ha potuto. Anche nelle sue lacrime ho ritrovato sentimenti indescrivibili, di forte dolore e di commozione al solo pensiero di essere lì a parlare in prima persona di questo evento accaduto, mentre molti altri, suoi amici o suoi famigliari o semplici conoscenti, non ci sono più perchè lì in quei campi di sterminio hanno lasciato la loro vita.

La giornata prosegue con un intervento da parte della dott.ssa Fiorella Rathaus, responsabile del settore integrazione del C.I.R ( consiglio italiano dei rifugiati) e la dott.ssa Pina Deiana, psicologa e psicoterapeuta. Anche loro hanno raccontato la loro esperienza personale lavorativa e hanno esposto i loro commenti su questa giornata. La signora Rathaus a riguardo ha espresso un pensiero che mi ha colpito molto, ovvero ha pronunciato questa frase: “L'olocausto della vita non finisce mai”. Questa affermazione molto forte mi ha trasmesso sia qualcosa di positivo che qualcosa di negativo. Positivo perchè in effetti, se riflettiamo a lungo, arriviamo a concludere che la deportazione degli ebrei nei Lager non è stata e non sarà l'unica tragedia che il nostro mondo sarà costretto ad affrontare, perchè purtroppo la vita è anche questo, un insieme di momenti felici ma anche di eventi dolorosi e tragici in cui l'uomo deve proiettarsi. Ma allo stesso tempo la ritengo una frase troppo pessimista perchè se l'uomo continua ad avere questi pensieri negativi nei confronti di tutto ciò che lo circonda, non riuscirà mai a prendere il controllo della situazione e a far sì che tutte queste terribili atrocità non si ripetano mai più. Un uomo deve riflettere sul suo passato per non dimenticare, per mantenere vivo il ricordo, ma soprattutto deve conoscere il passato anche per evitare che gli errori si ripetano nel tempo. La dott.ssa Deiana invece ha parlato soprattutto del tema della scrittura che, come abbiamo annunciato all'apertura della giornata, permette di salvare le nostre radici e noi stessi. A riguardo noi ragazzi quest'anno abbiamo letto il libro “Se questo è un uomo” scritto da Primo Levi, in seguito al suo ritorno dal campo di sterminio di Auschwitz. In particolare di questo testo mi ha colpito molto la grande capacità di Levi di descrivere, nei minimi dettagli, la realtà orrenda che lo circondava e ciò ha permesso a noi lettori di comprendere ancor di più alcuni aspetti particolari e profondi della vita delle persone all'interno dei Lager. La descrizione della fame e del freddo, del lavoro duro e delle notti insonni di milioni di persone colpevoli soltanto di appartenere ad un credo diverso e di essere nati in un momento sbagliato della storia. Bisogna pensare anche che persone come Levi, Mieli e quei pochi altri che sono riusciti a fare ritorno nelle loro case, vivono con l'angoscia e la disperazione di chi porta avanti un peso insostenibile, di chi si sente in colpa e si chiede il motivo per il quale il destino ha salvato proprio lui e magari non un bambino ebreo che aveva tutti i diritti di vivere la sua vita. Anche questa è una condizione terribile, nessuno penso si augura di affrontare la sua esistenza in questo modo.

La giornata si conclude con la lettura di alcune poesie scritte dal poeta Claudio Damiani sul tema della guerra e due testimonianze, una del signor Lorenzini che ha vissuto, come tanti altri, quei momenti e che dopo tanto tempo è finalmente riuscito a raccontarli. L'altro racconto riguardava l'amicizia tra due ragazze, una delle quali è la mamma della Prof.ssa Laudenzi che, nonostante appartenessero ad una religione diversa rimarranno sempre unite e si completeranno l'un l'altra.

Tutte le persone del mondo sono uguali, anche se appartenenti a credi, abitudini e culture differenti, e soprattutto ognuna di loro ha il diritto inalienabile di vivere la propria vita serenamente accanto all'affetto di tutti i suoi cari, senza subire soprusi, ingiustizie, condanne e morte da chi si ritiene superiore.

Scrivere, ricordare, riflettere può aiutarci affinché il desiderio di vivere serenamente uniti e senza distinzioni si possa realizzare.



“Ricordare per non dimenticare”

Matteo Lucia

Il 27 Gennaio 2011 nella nostra scuola, in Aula magna, è stata celebrata la Giornata della memoria, per ricordare lo sterminio del popolo ebraico e di tutti coloro che si sono opposti al nazi-fascismo. Anche se non era la prima volta che partecipavo a questo progetto ero emozionato come se lo fosse, me ne sono reso conto subito dopo aver guardato il video iniziale dove la signora Springer, sopravvissuta allo sterminio nei campi di concentramento, raccontava come veniva trattata dall’esercito tedesco durante il suo internamento ad Auschwitz, ricordando i terribili momenti vissuti. Gli occhi della signora mi hanno colpito molto per le forti emozioni che trasmettevano: il dolore e la sofferenza di chi ha subito violenze e crudeltà. Ma ciò che mi ha colpito maggiormente è stato quando la signora ha raccontato il momento in cui i tedeschi costringevano tutti gli ebrei a mettersi in fila, senza abiti, ad attendere di compiere gli ultimi passi per arrivare all’unico pasto giornaliero che avevano a disposizione. Questo stava a significare per tutte quelle povere persone la loro perdita di dignità, come fossero semplici oggetti da sfruttare o meglio bestie!. Tutto ciò è veramente assurdo, una condizione più misera non si può immaginare. Quest’anno la giornata si è concentrata sul tema della scrittura; sono intervenute la Dott.ssa Fiorella Rathaus, responsabile del settore integrazione del C.I.R ( consiglio italiano dei rifugiati) e la Dott.ssa Pina Deiana, psicologa e psicoterapeuta, le quali, in particolare, hanno sottolineato l’importanza della scrittura per tutti coloro che hanno vissuto momenti drammatici e dolorosi quando erano costretti a vivere nei campi di sterminio. La scrittura, infatti, è molto importante per ricordare momenti passati e non dimenticare emozioni vissute. A volte si scrive anche una pagina di diario per semplice sfogo, per lasciare nella memoria istanti felici o tristi della nostra esistenza. Su questo tema noi ragazzi quest’anno abbiamo letto il libro “Se questo è un uomo” scritto da Primo Levi ed abbiamo scelto alcune frasi significative per comprendere l’esperienza vissuta dall’autore quando era deportato ad Auschwitz, costretto a soffrire fame e freddo. Nel momento in cui abbiamo letto queste frasi l’emozione è stata davvero incredibile nei visi di tutte le persone presenti alla giornata. Ricordare è indispensabile per non dimenticare mai gli errori commessi nel passato, affinché essi non si ripetano nel nostro futuro.

La giornata della memoria

Laura Tomassoni Rita Anselmi Leila Betti



Il 27 Gennaio è una data che ricorre nella nostra vita, nelle nostre menti ma soprattutto nel nostro cuore. Questo è infatti il giorno in cui si ricorda lo sterminio degli ebrei nei campi di concentramento durante la dittatura nazista. Il 27 Gennaio è una delle date più importanti del nostro calendario, una di quelle date indelebili, impossibili da dimenticare. "Dimenticare" è proprio la parola d' ordine dell'incontro che la nostra scuola , come tutti gli anni, ha organizzato con degli ospiti per parlare di quello che viene ricordato come il capitolo più vergognoso della storia italiana.

Il tema della giornata è stato : "Scrivendo i ricordi salviamo le nostre radici e noi stessi".

Si è parlato, dunque, di quanto sia importante tramandare il ricordo parlando di tutta la sofferenza che ha caratterizzato gli anni della Seconda Guerra Mondiale, in modo tale da non dimenticare tutte quelle atrocità e fissarle per sempre nella nostra memoria per non farle più accadere. Per questa occasione sono state invitate la dott.ssa Pina Deiana, la dott.ssa Fiorella Rathaus ed il poeta Claudio Damiani.

La giornata si è aperta con la proiezione di un video il quale mostrava delle interviste fatte a dei testimoni dell' Olocausto, alcuni già venuti in passato nella nostra scuola, come il Sig.Mieli e la Sig.ra Lia Levi, che con le lacrime agli occhi e tanta sofferenza riportavano gli anni della guerra, gli anni dove la loro casa era un lager.

Tutti e due nati da famiglie ebree, hanno vissuto esperienze completamente differenti . Il Sig .Mieli fu imprigionato ad Auschwitz, costretto a lavorare duramente patendo la fame e senza avere notizie dei suoi familiari. La Sig.ra Levi, invece, riuscì a salvarsi dai rastrellamenti rifugiandosi in un collegio di suore a Roma insieme alle sue due sorelle. Una testimonianza senza dubbio toccante è stata quella della sig.ra Springer tornata a testimoniare nel campo di concentramento dove era stata prigioniera. La signora, osservando quella prigione all' aperto, ricorda l' orrore della sua esperienza quando lei e gli altri deportati erano stati privati oltre che della loro personalità anche della dignità. In seguito al video ha preso la parola la dottoressa Deiana esponendoci la funzione salvifica della scrittura, spiegando quanto questa, appunto, possa essere utile a noi stessi ed al nostro animo, per scrivere i propri ricordi, anche quelli più profondi, riuscendo ad allontanare le ansie e le angosce di cui non riusciamo a parlare. Proprio a questo proposito la dottoressa ci ha fatto l'esempio di un suo paziente che con il suo aiuto, dopo moltissimi anni è riuscito a scrivere i ricordi della sua commovente ed orribile esperienza da rifugiato. Collegandosi all'esperienza di quest' uomo la dott.ssa Rathaus, che lavora presso il consiglio italiano per i rifugiati, CIR, ci ha spiegato il netto e visibile collegamento tra i rifugiati e gli ebrei durante la shoah. Il rifugiato infatti è una persona che a causa di persecuzioni per razza, nazionalità e religione la sua famiglia dovette abbandonare il proprio paese. Molto interessante è stato anche l'intervento del Sig.Damiani che ha utilizzato la metafora del fuoco per parlare della guerra. Il poeta ha utilizzato questo elemento naturale il quale accendendosi da una piccola scintilla può diventare una potente arma distruttiva. L' incontro è terminato con la lettura della testimonianza del padre della professoressa Lorenzini, anche lui vittima di quella tragica prigionia. E’ stata una giornata particolarmente emozionante per il grande peso storico, ma soprattutto morale, una giornata che, come tutti gli anni ci ha ricordato che dimenticare tutto quello che è successo sarebbe come ricommettere quelle follie.



La memoria e la scrittura

27 Gennaio 1945.

Eleonora Sebastianelli



I cancelli si aprono al mondo, e i deportati vedono dopo giorni, mesi, forse anni una luce diversa sul loro viso, quella mattina non andranno a lavorare, non moriranno di fame e di sete per tuta la giornata. Quel giorno torneranno a casa, potranno abbracciare i loro cari, potranno andare sotto una doccia senza la paura di morire, potranno mangiare molto di più di un pezzo di pane, potranno dormire in un letto comodo, potranno non soffrire il freddo e il vento. Dopo qualche mese o anno inizieranno a raccontare la loro storia, e il mondo si commuoverà, cercherà di non credere a quegli orrori ma capirà guardando nei loro occhi che è tutto vero.

27 Gennaio 2011.

Sono passati 65 anni da quando i cancelli del campo di annientamento di Auschwitz-Birkenau furono aperti e 10 dall’istituzione di questa giornata, e come ogni anno io e i miei compagni siamo qui a ricordare quel giorno, a ricordare le vittime e i carnefici; a capire cosa può aver portato a un orrore così grande.

Oggi è il 27 gennaio, il “Giorno della Memoria”. Perchè quando nel 2000 fu istituita questa ricorrenza gli venne dato il nome “Giorno della Memoria”? In altre parole, cos’è la memoria?

Con memoria si intende la capacità di ricordare il passato. Ma ricordare a cosa serve? E poi, è giusto ricordare?

Quando usiamo i termini memoria e ricordo ci vengono in mente la Shoah, l’Olocausto e gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Allora ricordare serve per non dimenticare questi orrori, per far sì che gli errori commessi in passato dall’uomo possano non ripetersi mai più.

Molti dei sopravvissuti, sia coloro che hanno assistito alle atrocità della guerra, sia coloro che sono tornati dai campi di concentramento hanno cercato non solo di raccontare ciò che hanno visto e provato, ma hanno anche pensato di scrivere ciò che gli è accaduto. È proprio questo il tema della giornata della memoria di quest’anno, LA MEMORIA E LA SCRITTURA.

Quando scriviamo lasciamo sulla carta una piccola parte di noi, quell’attimo che per un istante vogliamo fermare, un attimo felice oppure un attimo tristissimo, ma che comunque non vogliamo che vada perso, è proprio questo al centro del ricordo. I sopravvissuto hanno scritto forse perchè era più semplice che parlare di fronte a delle persone e raccontare, portare una testimonianza della loro agonia, dell’angoscia, di tutti quei sentimenti di dolore e paura che hanno provato vedendo e subendo quegli orrori.

A questa giornata hanno partecipato diverse persone, ma i loro interventi non sono stati interessanti come quelli degli anni precedenti, non si trattava di persone sopravvissute o persone che avevano vissuto la guerra, erano persone “comuni” che, come me, come noi, hanno vissuto una vita comune senza troppo dolore e paura. Invece mi è piaciuto molto il video che abbiamo visto all’inizio. Quattro persone, quattro storie diverse. La signora Springer: torna a visitare il capannone e il campo di annientamento nazista dove fu imprigionata; la signora Vergalli: ex staffetta partigiana, racconta i suoi momenti di paura, del suo coraggio e della sua forza d’animo. Si è dimostrata una persona forte e fragile allo stesso tempo; poi il signor Mieli e infine la scrittrice Lia Levi. Al termine del filmato sono intervenuti i nostri ospiti, anzi le nostre ospiti. Alla fine del loro discorso alcune di noi sono intervenute, come ogni anno, con la lettura di brani da noi scelti: alcuni erano delle nostre riflessioni personali sulla scrittura, altri erano delle parti di libri che abbiamo letto durante le nostre vacanze estive.

La giornata si è conclusa con la lettura di alcune poesie.

Ma il vero senso della giornata secondo me viene alla fine, perchè solo dopo le notizie apprese, le nuove conoscenze ottenute possiamo soffermarci a riflettere. E allora mi sono chiesta: qual è il significato profondo di questa giornata?

Serve a non dimenticare le tragedie passate attraverso i racconti e le memorie di coloro che le hanno vissute, perché è grazie a queste che possiamo, forse, immaginare la loro sofferenza ed il loro dolore, per evitare che certi errori si ripetano. Per questo motivo è giusto ringraziare tutti coloro che ci aiutano a ricordare.



Primo Levi: se conoscere è possibile, comprendere è necessario

Eleonora Sebastianelli



Nel corso delle mie vacanze estive mi sono trovata, diciamo costretta, a leggere il libro di Primo Levi “ Se questo è un uomo “.

Non credevo di rimanere colpita e affascinata da questo romanzo, lo credevo pesante e noioso, invece l‘ho trovato interessante, istruttivo ed educativo.

Il libro venne pubblicato nel 1947, due anni dopo la liberazione dello scrittore dal campo di sterminio di Auschwitz. Il libro è un resoconto, una testimonianza, della prigionia dello scrittore nel lager, dal Dicembre 1943 (anno della sua deportazione) fino al 27 Gennaio 1945 (anno della liberazione dal campo di sterminio). Anni, mesi, giorni e notti che Levi descrive con minuzia, nei minimi particolari.

La vicenda inizia il 13 Dicembre 1943, Levi viene deportato al campo di Fossoli, un semplice campo di transito, da lì un treno porterà lui e gli altri deportati fino in Polonia. Anche se nel treno le condizioni disumane portano molti ebrei alla morte, le vere atrocità iniziano solo nel campo; ai prigionieri viene tolto il loro nome e gli viene tatuato un Haftling, un numero di serie, un numero che da quel momento sarà la loro identità. Dopo l’assegnazione del numero si inizia il lavoro nel campo, un lavoro stremante e faticoso che porta molti prigionieri alla morte.

Levi con il passare del tempo capisce le poche regole del campo:

- far finta di capire tutto;

- saper apprezzare il valore degli oggetti essenziali, quali le scarpe e il cucchiaio.

Nonostante la fame, gli stenti e la dura vita nel lager, Levi riuscirà a sopravvivere fino all’arrivo dei sovietici. Questa, in poche parole, è la trama del romanzo più conosciuto di Levi, ma un altro suo libro di grande importanza è quello intitolato “ I sommersi e i salvati “.

“I sommersi e i salvati” fu pubblicato solamente nel 1986.

Il romanzo è diviso in otto capitoli, accompagnati tutti da una prefazione e una conclusione dell’autore.

Il tema dominante è quello della memoria, già affrontato nel suo libro del 1947; e la memoria viene affrontata sia dal punto di vista dei persecutori, sia dal punto di vista dei perseguitati.

Due capitoli molto importanti sono quelli intitolati: “ Comunicazione “ e “ Violenza civile “.

Entrambi affrontano il tema della dignità dell’uomo, che i nazisti cercano in tutti i modi di reprimere nel lager. Tema affrontato analogamente nel capolavoro “ Se questo è un uomo “.

Questo libro è intriso di una profonda ed elaborata morale dell’autore : Auschwitz ritornerà?

Nei capitoli conclusivi del romanzo lo scrittore cercherà di dare delle risposte alle domande che per più di quarant’anni lo hanno ossessionato: i tedeschi, come hanno potuto farlo? Perchè gli ebrei glielo hanno lascito fare? Perchè non si sono ribellati? Perchè non sono fuggiti?

Un concetto che scaturisce dall’attenta riflessione dell’autore è quello della vergogna. I salvati, coloro che non hanno completamente toccato il fondo perchè altrimenti non sarebbero tornati, provano vergogna. Vergogna perchè sono sopravvissuti durante la prigionia nel campo, a differenza dei loro familiari, amici e compagni.

Levi è solo uno dei reduci del campo di concentramento, ma è uno sicuramente dei pochi che ha avuto la forza di parlare e scrivere di quelle atroci vicende da lui stesso vissute.

L’esperienza nel lager non viene, però, mai del tutto superata. Proprio per questo motivo nel 1987 Levi si toglierà la vita.

I SOMMERSI E I SALVATI di Primo Levi



I Sommersi e i Salvati è un romanzo-testimonianza di Primo Levi. In questo capolavoro della letteratura lo scrittore parla non della sua prigionia nel Lager, ma di coloro che dal Lager si sono salvati, di coloro che nel Lager hanno visto finire la propria vita e di coloro che sono stati gli << aguzzini >>. Leggendo questo libro ho ritenuto necessario evidenziare alcune frasi che per me sono state più profonde e significative:



1) Le prime notizie sui campi d’annientamento nazisti hanno cominciato a diffondersi nell’anno cruciale 1942. Erano notizie vaghe tuttavia tra loro concordi: delineavano una strage di proporzioni così vaste, di una crudeltà così spinta, di motivazioni così intricate, che il pubblico tendeva a rifiutarle per la loro stessa enormità. E’ significativo come questo rifiuto fosse stato previsto con ampio anticipo dagli stessi colpevoli. [...] I militi delle SS si divertivano ad ammonire cinicamente i prigionieri: << [...] nessuno di voi rimarrà per portare testimonianza, ma se qualcuno dovesse scappare, il mondo non gli crederà. [...] Non ci saranno certezze, perchè noi distruggeremo le prove insieme a voi. E quando anche qualche prova dovesse rimanere, e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che i fatti che voi raccontate sono troppo mostruosi per essere creduti: dirà che sono esagerazioni della propaganda alleata, e crederà a noi, che negheremo tutto, e non a voi. La storia dei lager, saremo noi a dettarla >>;



2) Circondato dalla morte, spesso il deportato non era in grado di valutare la misura della strage che si svolgeva sotto i suoi occhi;



3) A distanza di anni, si può oggi bene affermare che la storia dei Lager è stata scritta quasi esclusivamente da chi, come io stesso, non ne ha scandagliato il fondo. Chi lo ha fatto non è tornato, oppure la sua capacità di osservazione era paralizzata dalla sofferenza e dall’incomprensione;



4) Alle domande << perchè lo hai fatto? >>, o << cosa pensavi facendolo? >>, non esistono risposte attendibili, perchè gli stati d’animo sono labili per natura, e ancora più labile è la loro memoria;



5) Siamo stati capaci, noi reduci, di comprendere e far comprendere la nostra esperienza? Ciò che comunemente intendiamo per << comprendere >> coincide con << semplificare >>. [...] . Tendiamo a semplificare anche la storia;



6) Hai vergogna perchè sei vivo al posto di un altro? E in specie, di un uomo più generoso, più sensibile, più savio, più utile, più degno di vivere di te? Non lo puoi escludere: ti esamini, passi in rassegna i tuoi ricordi, sperando di ritrovarli tutti, e che nessuno di loro si sia mascherato o travestito. [...] Al mio ritorno dalla prigionia è venuto a visitarmi un amico più anziano di me, mite ed intransigente, cultore di una religione. [...] Era contento di ritrovarmi vivo e sostanzialmente indenne, forse maturo e fortificato, certamente arricchito. Mi disse che l’essere io sopravvissuto non poteva essere stata opera del caso, o di un accumularsi di circostanze fortunate ( come sostenevo e tuttora sostengo io ), bensì della Provvidenza. Ero un contrassegnato, un eletto: io, il non credente, ed ancora meno credente dopo la stagione di Auschwitz, ero un toccato dalla Grazia, mi rispose. Forse perchè scrivessi, e scrivendo portassi testimonianza: non stavo infatti scrivendo allora, nel 1946, un libro sulla mia prigionia? Questa opinione mi parve mostruosa. Mi dolse come quando si tocca un nervo scoperto, e ravvivò il dubbio di cui dicevo prima: potrei essere vivo al posto di un altro, a spese di un altro. [...] I << salvati >> del lager non erano i migliori, i predestinati al bene, i latori di un messaggio: quanto io avevo visto e vissuto dimostrava l’esatto contrario. Sopravvivevano i peggiori, gli egoisti, i violenti, gli insensibili, i collaboratori della << zona grigia >>, le spie. [...] Mi sentivo sì innocente, ma intruppato fra i salvati, e perciò alla ricerca di una giustificazione. [...] Sopravvivevano i peggiori, cioè i più adatti; i migliori sono morti tutti.[...] Non siamo noi, i superstiti, i testimoni veri. [...] . Noi sopravvissuti siamo una minoranza anomala oltre che esigua: siamo quelli che, per loro prevaricazione o abilità o fortuna, non hanno toccato il fondo. Chi lo ha fatto, chi ha visto la Gorgone, non è tornato per raccontare, o è tornato muto; ma sono loro, i sommersi, i testimoni integrali, coloro la cui deportazione avrebbe avuto significato generale. Loro sono la regola, noi l’eccezione. [...] Noi toccati dalla sorte abbiamo cercato, con maggiore o minore sapienza, di raccontare non solo il nostro destino, ma anche quello degli altri, dei sommersi, appunto; ma è stato un discorso << per conto di terzi >>, il racconto di cose viste da vicino, non sperimentate in proprio. La demolizione condotta a termine, l’opera compiuta, non l’ha raccontata nessuno, come nessuno è mai tornato a raccontare la sua morte. I sommersi, anche se avessero avuto carta e penna, non avrebbero testimoniato, perchè la loro morte era cominciata prima di quella corporale. Settimane e mesi prima di spegnersi, avevano già perduto la virtù di osservare, ricordare, commisurare ed esprimersi. Parliamo noi in loro vece, per delega;



7) A partire dall’inizio del 1942, ad Auschwitz e nei Lager che ne dipendevano il numero di matricola dei prigionieri non veniva più soltanto cucito agli abiti, ma tatuato sull’avambraccio sinistro. [...] . Gli uomini dovevano essere tatuati sull’esterno del braccio e le donne sull’interno; il numero degli zingari doveva essere preceduto da una Z; quello degli ebrei, a partire dal maggio1944 doveva essere preceduto da una A, poco dopo da una B. Fino al settembre 1944 non c’erano bambini: venivano uccisi tutti col gas al loro arrivo [...]. L’operazione era poco dolorosa e non durava più di un minuto. Il suo significato simbolico era chiaro a tutti: questo è un segno indelebile, di qui non uscirete più; questo è il marchio che s' imprime agli schiavi ed al bestiame destinato al macello, e tali voi siete diventati. Non avete più nome: questo è il vostro nuovo nome. La violenza del tatuaggio era gratuita;



9) Ci viene chiesto [...] chi erano, di che stoffa erano fatti, i nostri << aguzzini >>. [...] erano fatti della nostra stessa stoffa, erano esseri umani medi, mediamente intelligenti, mediamente malvagi: [...] Avevano il nostro viso, ma erano stati educati male.







Questi sono solo alcuni brani che ho ritenuto più significativi. Credo che per capire veramente a fondo questo libro bisognerebbe iniziare col porsi una domanda: perché Levi provava vergogna per essersi salvato?

Lo scrittore non è felice di essere un salvato, sa benissimo di essere “intruppato”tra i salvati, come scrive nel libro, ma non prova gioia nell’esserlo. Prova, come tutti gli altri salvati vergogna, una vergogna nata dal fatto che è sopravvissuto. Levi afferma che i salvati del lager erano i peggiori, ma perchè dice questo?

La risposta è alquanto semplice, si è salvato chi era più furbo, chi ha saputo sfruttare i momenti e le situazioni, ma sopratutto sono sopravvissuti i sostenitori della << zona grigia >>, coloro che hanno collaborato con le autorità e che Levi identifica con il nome di “privilegiati”.

Essere un salvato non è per Levi un vanto, è angoscioso, così angoscioso che lo scrittore non riuscirà a continuare la propria vita con questo peso, e dopo 40 anni da quel fatidico giorno, il 27 Gennaio 1945, deciderà di togliersi la vita. Infatti, i veri protagonisti della storia, e del libro, sono i sommersi, coloro che hanno visto e vissuto fino in fondo le atrocità del lager, coloro che devono essere ricordati.

Levi parla anche degli aguzzini. Coloro che volevano distruggere ogni prova, coloro che non volevano far emergere alcuna testimonianza, coloro che avevano fatto erigere i lager e che poi volevano distruggerli perchè erano diventati troppo pericolosi anche per i tedeschi stessi, in quanto al loro interno racchiudevano un segreto enorme, il massimo crimine della storia dell’umanità.

Levi diceva: ” Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perchè ciò che è accaduto può ritornare, le conoscenze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre ”.

Cosa vuol dire?

Sta a significare che i fatti che sono accaduti devono essere conosciuti, e se possibile anche compresi, così che possano non ripetersi mai più. Dobbiamo ricordare i sommersi. Dobbiamo ringraziare i salvati. Perchè i loro ricordi, le loro testimonianze possono sensibilizzarci e commuoverci e da loro possiamo imparare a non dimenticare.



Sebastianelli Eleonora 18 anni

Istituto Colomba Antonietti

Classe V S Liceo Scientifico-Tecnologico



“La Storia” di Elsa Morante

.Brani tratti dal libro.



Durante il corso dell’ anno scolastico , noi alunni della 4°s abbiamo letto “ la Storia ” di Elsa Morante . Un romanzo ambientato a Roma durante il periodo della seconda guerra mondiale e nell’ immediato dopo guerra. “La Storia” narra le tragiche vicende di Useppe, un bambino nato dalla violenza che la madre , Ida Ramundo, un’ insegnante di origine ebraica, vedova Mancuso e madre di Nino , ha subito da un giovane militare tedesco . Cresciuto gracile e minuto tra gli stenti e la fame di una Roma occupata , Useppe muore stroncato da una grave forma di epilessia . La povera Ida , dopo aver perso anche il primogenito Nino , che nel frattempo aveva deciso di partire per la guerra dapprima come militante nelle squadre fasciste poi come partigiano, non riesce a sopportare questo dolore e impazzisce.

Abbiamo scelto alcuni brani tratti da questo libro che a noi sono sembrati più significativi .



• “ Useppe alzò gli occhi al cielo e disse : “<< Lioplani>> , e in quel momento l’ aria fischiò, mentre già in un tuono enorme tutti i muri precipitavano alle loro spalle il terreno saltava d’ intorno a loro , sminuzzato in una mitraglia di frammenti. “



• “ La maggior parte dei presenti si guardavano in faccia inebetiti senza dir nulla . Molti avevano i vestiti a pezzi bruciacchiati, certuni sanguinavano. Da qualche parte là fuori, fra un rumorio sterminato e incoerente , ogni tanto si levava qualche urlo feroce . “



• “ Si vedeva un viale alberato di città, lungo la spalletta di un ponte semidistrutto. Da ogni albero del viale pendeva un corpo, tutti in fila, nella stessa identica posizione, con la testa inclinata su un orecchio , i piedi un poco divaricati e le due mani legate dietro la schiena . Erano tutti giovani , e tutti malvestiti, dall’ aria povera . Su ognuno di loro stava appeso un cartello con la scritta : PARTIGIANO. “



• “ L’ interno dei carri, scottati dal sole ancora estivo , rintronava sempre di quel vocio incessante . Nel suo disordine , si accalcavano dei vagiti , degli alterchi , dei parlottii senza senso , delle voci senili che chiamavano la madre, delle altre che conversano appartate , quasi cerimoniose, e delle altre che perfino ridacchiavano . E a tratti su tutto questo si levavano dei gridi sterili agghiaccianti ; oppure altri , di una fisicità bestiale, esclamanti parole elementari come : << bere! >> << aria!>>. Da uno dei vagoni estremi sorpassando tutte le altre voci , una donna giovane rompeva a tratti in certe urla convulse e laceranti , tipiche delle doglie del parto.”



• “ Si dice che in certi stati cruciali davanti agli uomini ripassino con velocità incredibile tutte le scene della loro vita . Ora nella mente solida di quella donnetta, mentre correva a precipizio per il suo piccolo alloggio , ruotarono anche le scene della Storia umana ( La Storia) che essa percepì come LE SPIRE MULTIPLE DI UN ASSASSINIO INTERMINABILE. E oggi l’ ultimo assassinato era il suo bastarduccio Useppe . Tutta la Storia e le nazioni della Terra si erano concordate a questo fine : la strage del bambinello Useppe Ramundo. “





Abbiamo scelto questi brani perché ci fanno riflettere su come in un momento tutto possa cambiare; senza preavviso tutto ciò che hai , una casa, una famiglia, un cane magari, tutta la tua vita , viene improvvisamente portato via . E solo una cosa è in grado di rendere possibile tutto ciò con una facilità e una velocità quasi innaturali: la guerra.

Crediamo che la guerra danneggi il mondo, perchè ferisce il cuore e gli animi della gente, perchè indebolisce la speranza e la sicurezza di tutti, perchè non distrugge solo case ma anche la sensibilità e il riso non solo degli adulti , ma soprattutto dei bambini.



Alunni IV S Liceo scientifico tecnologico

La Notte Elie Wiesel

Il racconto è articolato sui ricordi e sulle impressioni dello scrittore ebreo Elie Wiesel, che fu deportato ad Auschwitz e in seguito a Buchenwald con la famiglia. Egli descrive con i suoi occhi di bambino il progressivo disgregarsi e disperdersi della sua famiglia nelle tragiche circostanze della deportazione e della detenzione nei campi di sterminio: vede la madre e l’ adorata sorellina avviarsi insieme verso uno di quei forni dal quale, poco tempo dopo, si levò un fumo nero e denso… e vede il padre spegnersi giorno dopo giorno, fino alla morte. Contemporaneamente, si spegne in lui quella fede in Dio, nel Dio dei Padri, fino ad allora sempre forte e viva, che viene sostituita dal dubbio, dall'incertezza, dalla disperazione. Alle immagini dell'infanzia si sostituiscono gli scenari dell'orrore, in una serie di istantanee crudeli, impossibili da dimenticare, che segneranno il futuro di un uomo che non è mai stato bambino. L'immagine della notte, dell'oscurità, del dolore, come un manto nero si stende lungo le pagine e sull'anima, lasciando una forte commozione nel lettore, un'emozione indimenticabile.

De Lorenzo Jessica

Anni 18

Classe V S Liceo scientifico tecnologico

Introduzione a “La Notte” di Elie Wiesel

Il racconto “La Notte” è basato sui ricordi e sulle impressioni dello scrittore ebreo Elie Wiesel, che fu deportato ad Auschwitz e in seguito a Buchenwald con la famiglia. Egli descrive con i suoi occhi di bambino il progressivo allontanamento della sua famiglia nelle tragiche circostanze della deportazione e della detenzione nei campi di sterminio dove vede la madre e la sorellina avviarsi insieme verso uno di quei forni dal quale, poco tempo dopo, si levò un fumo nero e denso; e vede il padre spegnersi giorno dopo giorno, fino alla morte. Contemporaneamente, si spegne in lui quella fede in Dio, sempre viva fino ad allora, che viene sostituita dal dubbio, dall’incertezza e dalla disperazione che lo accompagneranno fino al giorno della liberazione e soprattutto che gli hanno fatto perdere interamente la giovinezza.

Ecco alcuni brani del libro, che a noi sono sembrati più significativi:

Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformati in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia fede.

Nel carro dove era stato gettato il pane era scoppiata una vera e propria battaglia. Si buttavano gli uni sugli altri, pestandosi, dilaniandosi, mordendosi. Animali da presa scatenati, odio bestiale negli occhi; una vitalità straordinaria si era impossessata di loro, gli aveva aguzzato denti e unghie.[…] Un pezzetto cascò anche nel nostro vagone. Vidi non lontano da me un vecchio che si trascinava carponi. Si era appena svincolato dalla mischia. Portò una mano al cuore. Prima credetti che avesse ricevuto un colpo al petto, poi capii: teneva sotto la giacca un pezzo di pane. […] Un’ombra si era appena allungata accanto a lui, e quell’ombra gli si gettò addosso. Carico di botte, ubriaco di colpi, il vecchio gridava:

-Meir, mio piccolo Meir! Non mi riconosci? Sono tuo padre… mi fai male… stai assassinando tuo padre… ho del pane… anche per te… anche per te…

Crollò. Aveva ancora nel pugno chiuso un pezzetto di pane. Volle portarlo alla bocca, ma l’altro si gettò su di lui e glielo prese. Il vecchio mormorò ancora qualcosa, emise un rantolo, e morì nell’indifferenza generale. Suo figlio lo frugò, prese il pezzetto di pane e cominciò a divorarlo, ma non poté andare molto lontano: due uomini lo avevano visto e si precipitarono su di lui. Altri se ne aggiunsero. Quando se ne andarono c’erano vicino a me due morti, uno accanto all’altro: il padre e il figlio. Io avevo quindici anni.



Qualcuno si mise a recitare il Kaddìsh, la preghiera dei morti. Non so se è già successo nella lunga storia del popolo ebraico che uomini recitino la preghiera dei morti per se stessi.

-Che il Suo Nome sia magnificato e santificato… - mormorava mio padre.

Per la prima volta sentii la rivolta crescere in me.

Perché dovevo santificare il Suo Nome? L’Eterno, il Signore dell’Universo, l’Eterno Onnipotente taceva. Di cosa dovevo ringraziarLo?



Entrò nel capannone e i suoi occhi, più brillanti che mai, sembravano cercare qualcuno:

-Forse avete visto mio figlio da qualche parte?

Aveva perso il figlio nella ressa. Lo aveva cercato invano fra gli agonizzanti, poi aveva grattato via la neve per ritrovare il suo cadavere, ma senza risultato.

[…] -È accaduto sulla strada. Ci siamo persi di vista durante il cammino. Io ero rimasto un po’ indietro: non avevo più la forza di correre.

-No, Rabbi Eliahu, non l’ho visto.

[…] Improvvisamente mi ricordai che avevo visto suo figlio correre accanto a me. L’avevo dimenticato e non l’avevo detto a Rabbi Eliahu!

Poi però mi ricordai un’altra cosa: il figlio aveva visto il padre perdere terreno, finire zoppicando in fondo alla colonna, L’aveva visto e aveva continuato a correre in testa, lasciando che la distanza fra di loro aumentasse.

Un pensiero terribile mi venne in mente: aveva voluto sbarazzarsi di suo padre! Lo aveva visto in difficoltà, aveva creduto che ormai fosse la fine e aveva cercato quella separazione per togliersi di dosso quel peso, per liberarsi di un fardello che poteva diminuire le sue proprie possibilità di salvezza.



Abbiamo scelto questi brani perché danno chiaramente l’idea della disperazione che gli uomini hanno vissuto stando all’interno dei campi di sterminio, della distruzione fisica e psicologica, che fa diventare gli uomini delle bestie incapaci di controllare i loro istinti pur di sopravvivere. Questi ricordi dimostrano chiaramente il modo terribile, spietato, con cui venivano trattati, le brutalità che erano costretti a subire giorno dopo giorno e che li hanno cambiati, che li hanno plasmati in esseri senza morale pronti anche ad uccidere i propri familiari pur di sopravvivere, che li hanno spinti a perdere tutto quello in cui credevano, compresa la loro Fede. Totalmente delusi e portati all'odio, perchè circondati solamente da morte, dolore e nessuna possibilità di salvezza.

Jessica De Lorenzo

Andrea Toma

Anni 18 V S Liceo Scientifico Tecnologico



SCRIVENDO I RICORDI SALVIAMO LE NOSTRE RADICI E NOI STESSI



La scrittura è forse lo strumento più potente di cui l’uomo disponga in quanto scrivendo abbiamo la possibilità di fermare degli attimi importanti, di catturare e fare un’ istantanea delle sensazioni e degli eventi accaduti in passato.

Basti pensare alla storia, e a come essa si basi in maniera significativa su numerosi reperti scritti che descrivono in modo più o meno dettagliato la vita di quegli anni passati.

Poniamo ad esempio l’attenzione sulle numerose testimonianze della seconda guerra mondiale e sullo sterminio nazista.

A centinaia si contano i testi che riportano le torture, le paure e le umiliazioni a cui gli ebrei sono stati sottoposti a partire dal ’38, anno in cui vennero promulgate le leggi razziali.

Proprio riguardo a questo, in onore della giornata della memoria, che come ogni anno ricorre il 27 Gennaio, abbiamo letto il libro “SE QUESTO E’ UN UOMO” di Primo Levi, un sopravvissuto.

Deportato ad Auschwitz, descrive in maniera dettagliata ed oggettiva la vita che si conduceva all’interno del lager.

Scrive di come l’identità di un uomo venisse poco a poco annullata e di come inevitabilmente in quel luogo andasse persa la concezione ci ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, l’importante per tutti era sopravvivere.

Rileggendo quelle pagine non si può fare a meno di provare orrore nel pensare che realmente l’uomo è stato capace di compiere tali azioni.

Comunque quella lasciata da Levi è solo una delle tante testimonianze che oggi abbiamo a disposizione, un altro esempio potrebbe essere “IL DIARIO DI ANNA FRANK” che ella stessa scrisse nel periodo in cui insieme alla famiglia si nascose nella speranza di sfuggire ai tedeschi.

Un diario, chi non ha mai tenuto un diario in cui scrivere i propri segreti, i propri pensieri più intimi che quotidianamente ha paura o vergogna di mostrare agli altri.

E’ questo il paradosso; spesso e volentieri ciò che scriviamo rappresenta la parte più vera di noi stessi, eppure, nel momento in cui ci troviamo a rapportarci con gli altri, preferiamo mostrare una maschera.

Io stessa tenevo un “diario segreto” qualche tempo fa e ammetto che ancora oggi spesso mi ritrovo a scrivere i miei pensieri su qualsiasi pezzo di carta.

Il motivo per cui lo faccio è semplice, scrivendo mi sfogo, è l’unico modo di dire tutto ciò che penso senza avere il timore d’essere giudicata.





Ilarioni Bruna

anni 18

Liceo Scientifico-tecnologico

Colomba Antonietti classe V S





Il lager come l’Inferno – Levi e Dante



La letteratura ha rappresentato per Levi un aiuto di fronte ad una vicissitudine così traumatica come quella nel campo di sterminio, ed in un certo senso lo ha “salvato” in quanto, una volta conclusasi quella tremenda esperienza , ha trovato nella scrittura una sorta di terapia del dolore che gli ha consentito di attingere alla memoria per lasciarci un indelebile ricordo nel suo libro "Se questo è un uomo".

Mentre si trovava nel lager ad Auschwitz, Levi comprende che nulla poteva essere spiegato dalla ragione e come gli disse un deportato: "Qui non c'è un perchè".In quel momento così insensato della sua vita, vide accanto a sè Dante e la Divina Commedia entrò a far parte della sua quotidianità tanto che lo aiutò a sopravvivere .

In “ Se questo è un uomo”, in particolare nel primo capitolo, è possibile quasi sovrapporre atmosfere dantesche a quelle del lager.

Ad esempio:

Dante : vv." Noi ricidemmo il cerchio a l'altra riva /sovr'una fonte che bolle e riversa/per un fossato che da lei deriva/ L'acqua era buia assai piu che persa/e noi , in compagnia de l'onde bige,/intrammo giù per una via diversa./In la palude va c'ha nome Stige /questo tristo ruscel, quand'è disceso/al piè de le maligne piagge grige./E io , che di mirare stava inteso,/vidi genti fangose in quel pantano,/ignude tutte , con sembiate offeso./Queste si percotean non pur con mano,/ma con la testa e col petto e coi piedi,/troncandosi co'denti a brano a brano".

Levi: "Siamo scesi , ci hanno fatto entrare in una camera vasta e nuda, debolmente riscaldata. Che sete abbiamo!! Il debole fruscio dell'acqua nei radiatori ci rende feroci: sono quattro giorni che non beviamo. Eppure c'è un rubinetto : sopra c'è un cartello, che dice che è proibito bere perchè l'acqua è inquinata. Sciocchezze, a me pare ovvio che il cartello è un beffa, "essi" sanno che noi moriamo di sete , e ci mettono in una camera e c'è un rubinetto, e WASSERTRINKEN VERBOTEN. Io bevo , e incito i compagni a farlo; ma devo sputare, l'acqua è tiepida e dolciastra , ha odore di palude".

Come per Dante "L'acqua era buia" anche per Levi "L'acqua era imbevibile tiepida e dolciastra".

L’esperienza di Levi deve insegnare alle nuove generazioni come nella vita tutti attraversiamo un momento di oscurità per la perdita di una persona cara , per il venir meno degli affetti , o a causa della malattia, ma grazie alla letteratura, spesso studiata contro voglia negli anni del liceo, si può sopravvivere e trovare la forza per andare avanti.

Forse se Levi non avesse mai studiato Dante, non sarebbe riuscito a rielaborare la sua devastante esperienza, e a farla rivivere così intensamente nella sua opera. In un certo senso la letteratura "l'ha salvato" perché lo ha aiutato a mantenere il ricordo.



Istituto “Colomba Antonietti” III R - De Angelis Sara e D’Andrea Michela anni 17









INTRODUZIONE



In occasione della Giornata della memoria, affinché si possa riflettere a fondo su fatti che hanno cambiato il volto della nostra storia e delle persone che ne hanno preso parte, abbiamo deciso di evidenziare alcuni brani significativi tratti dal libro “Se questo è un uomo” scritto da Primo Levi, nel 1947, in occasione del suo ritorno da Auschwitz. Una straordinaria testimonianza sull'inferno dei Lager, sulle umiliazioni, le atrocità, i soprusi e la morte che gli uomini sono stati costretti ad affrontare.



Da “Se questo è un uomo”



• Non c'è ove specchiarsi, ma il nostro aspetto ci sta dinanzi, riflesso in cento visi lividi, in cento pupazzi miserabili e sordidi. Eccoci trasformati nei fantasmi intravisti ieri sera. Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c'è, e non è pensabile. Nulla è più nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. […] Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso; tale quindi, che i potrà a cuor leggero decidere della sua vita o morte al di fuori di ogni senso di affinità umana; nel caso più fortunato, in base ad un puro giudizio di utilità. Si comprenderà allora il duplice significato del termine << Campo di annientamento >> e sarà chiaro che cosa intendiamo esprimere con questa frase: giacere sul fondo.



• Eccomi dunque sul fondo, a dare un colpo di spugna al passato e al futuro si impara presto, se il bisogno preme. Dopo quindici giorni dall'ingresso, […] già ho imparato a non lasciarmi derubare, e se anzi trovo in giro un cucchiaio, uno spago, un bottone di cui mi possa appropriare senza pericolo di punizione, li intasco e li considero miei di pieno diritto. Già mi sono apparse le piaghe torpide che non guariranno. Spingo vagoni, lavoro di pala, mi fiacco alla pioggia, tremo al vento; già il mio stesso corpo non è più mio: ho il ventre gonfio e le membra stecchite, il viso tumido al mattino e incavato a sera; qualcuno fra noi ha la pelle gialla, qualche altro grigia: quando non ci vediamo per tre o quattro giorni, stentiamo a riconoscerci l'un l'altro.





• Avevamo deciso di trovarci, noi italiani, ogni domenica sera in un angolo del Lager; ma abbiamo subito smesso, perchè era troppo triste contarci, e trovarci ogni volta più pochi, e più deformi, e più squallidi. Ed era così faticoso fare quei pochi passi: e poi a ritrovarsi, accadeva di ricordare e di pensare, ed era meglio non farlo.



• A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che <>. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all'origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, allora al termine della catena, sta il Lager.



• Guai a sognare: il momento di coscienza che accompagna il risveglio è la sofferenza più acuta. Ma non ci capita sovente, e non sono lunghi sogni: noi non siamo che bestie stanche.



• A Lorenzo debbo di essere vivo oggi; e non tanto per il suo aiuto materiale, quanto per avermi costantemente rammentato, con la sua presenza, con il suo modo così piano e facile di essere buono, che ancora esisteva un mondo giusto al di fuori del nostro, qualcosa e qualcuno di ancora puro e intero, di non corrotto e selvaggio, estraneo all'odio e alla paura […] Lorenzo era un uomo; la sua umanità era pura e incontaminata, egli era al di fuori di questo mondo di negazione. Grazie a Lorenzo mi è accaduto di non dimenticare di essere io stesso un uomo.



• L'anno scorso a quest'ora io ero un uomo libero […] Della mia vita di allora non mi resta oggi che quanto basta per soffrire la fame e il freddo; non sono più abbastanza vivo per sapermi sopprimere.



COMMENTO



Abbiamo scelto in particolare queste frasi perché ci sembravano le più significative per comprendere al meglio le dure e sofferte vicende di vita all'interno dei Lager nazisti, dove migliaia di persone sono state costrette a vivere momenti atroci. Leggere questi brani ci aiuta a renderci conto del significato del termine “Giacere sul Fondo”; ci fa capire i sentimenti e le angosce di tutte quelle persone che si sono ritrovate immerse in quell'inferno di dolore, rendendosi conto che la loro esistenza era oramai nella mani di un terribile destino che li avrebbe condotti alla morte o ad un passo dalla morte, verso una strada senza più via d'uscita.



Da “Se questo è un uomo”



• Qualcuno molto tempo fa, ha scritto che anche i libri, come gli esseri umani, hanno un loro destino, imprevedibile, diverso da quello che per loro si desiderava e si attendeva. Anche questo libro ha avuto uno strano destino. […] era talmente forte in noi il bisogno di raccontare, che il libro avevo incominciato a scriverlo là, in quel laboratorio tedesco pieno di gelo, di guerra e di sguardi indiscreti, benché sapessi che non avrei potuto in alcun modo conservare quegli appunti scarabocchiati alla meglio, che avrei dovuto buttarli via subito, perchè se mi fossero stati trovati addosso mi sarebbero costati la vita. Ma ho scritto il libro non appena sono tornato, nel giro di pochi mesi: tanto quei ricordi mi bruciavano dentro.



• In campo, alla sera e al mattino, nulla mi distingue dal gregge, ma di giorno, al lavoro, io sto al coperto e al caldo, e nessuno mi picchia; rubo e vendo sapone e benzina, senza serio rischio, e forse avrò un buono per le scarpe di cuoio. Inoltre si può chiamare lavoro questo mio? […] sto seduto tutto il giorno ho un quadernetto e una matita, e mi hanno perfino dato un libro per rinfrescarmi la memoria sui metodi analitici. […] i compagni del Kommando mi invidiano, e hanno ragione; non dovrei forse essere contento? Ma non appena, al mattino, io mi sottraggo alla rabbia del vento e varco la soglia del laboratorio, ecco al mio fianco la compagna di tutti i momenti di tregua, del Ka-Be e delle domeniche di riposo: la pena di ricordarsi, il vecchio feroce struggimento di sentirsi uomo, che mi assalta come un cane all'istante in cui la coscienza esce dal buio. Allora prendo la matita e il quaderno, e scrivo quello che non saprei dire a nessuno.



COMMENTO



Abbiamo evidenziato queste frasi relative al tema della scrittura perchè ci permettono di scoprire come sia importante per tutti gli uomini riuscire ad esprimere, attraverso la scrittura, i propri sentimenti e raccontare il dolore, i pensieri di momenti difficili, lasciare impresse in un foglio bianco tutte le atrocità di cui sono stati vittime. Scrivere è uno strumento fondamentale, come afferma Levi, che permette all'uomo di liberarsi dal peso di un dolore che lo opprime e permette soprattutto di riportare alla luce ricordi incancellabili del nostro passato affinchè chi li leggerà in un futuro si renda conto che gli errori commessi in passato non devono più ripetersi nel futuro.



Alunni classe V S

Liceo scientifico tecnologico

















Istituto Colomba Antonietti




GIORNATA DELLA MEMORIA

27 gennaio 2011







Scrivendo i ricordi salviamo le nostre radici

e noi stessi







intervengono:



-Dott.ssa Fiorella Rathaus : testimone, responsabile del settore integrazione del C.I.R ( consiglio italiano dei rifugiati)



-Dott.ssa Pina Deiana : psicologa, psicoterapeuta.



-Claudio Damiani : poeta.









27/01/2011 Aula magna ore 9:00/12:00

Via delle vigne, 205/209



27 gennaio 2011, la Giornata della Memoria all’Istituto Colomba Antonietti





“Scrivendo i ricordi.

salviamo le nostre radici e noi stessi”:

questo è stato il tema della nostra Giornata della Memoria.



Daniela Bravi

docente



Gli alunni dell’Istituto Colomba Antonietti, ormai da alcuni anni, intervistano e ascoltano i nonni, i testimoni sopravvissuti ai lager, gli anziani che vivono vicino a loro nel quartiere, nel Centro anziani, e attraverso i racconti hanno conosciuto storie di guerra e di sofferenza, ricordi piccoli, a volte confusi, che hanno scritto sulle pagine di questa rivista, affinchè non venissero dimenticati, perché la scrittura rende vivo ed eterno il ricordo.

Per questo motivo, ma anche per trovare una via di salvezza, per rendere meno straziante il dolore, molti di coloro che hanno conosciuto la deportazione e l’internamento nei lager hanno voluto scrivere la loro storia e grazie a quelle memorie noi, oggi, sappiamo. Così è stato per P. Levi che in “Se questo è un uomo” scrive che “il bisogno di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi, aveva assunto (…) il carattere di un impulso immediato e violento, tanto da rivaleggiare con gli altri bisogni elementari”, il libro fu scritto “nel giro di pochi mesi” tanto i ricordi gli “bruciavano dentro”.

Il ricordo che diventa letteratura e poesia non sarà dimenticato e Omero “il sacro vate, placando quello afflitte alme col canto,/ i Prenci Argivi eternerà per quante/ abbraccia terre il gran Padre Oceano” ed Ettore avrà “onore di pianti (…) finchè il sole risplenderà su le sciagure umane” (U. Foscolo, I Sepolcri).

Anche un grande poeta del Novecento, G. Ungaretti, nella poesia In Memoria riflette sul valore della poesia stessa. I suoi versi raccontano l’amicizia con Moammed Sceab, con il quale si ritroverà a Parigi; entrambi soffrono perché “in nessuna parte di terra” riescono a sentirsi a casa, ma se Ungaretti troverà nella poesia la forza di superare il dolore, Moammed “non sapeva sciogliere il canto del suo abbandono” e per questo si tolse la vita.

Di tutto questo abbiamo parlato il 27 gennaio con gli studenti della Colomba Antonietti e con gli ospiti intervenuti alla Giornata della memoria: la dott.ssa Fiorella Rathaus, responsabile del settore integrazione del Consiglio italiano dei rifugiati; la dott.ssa Pina Deiana, psicologa e psicoterapeuta; il signor Claudio Damiani, poeta.

I nostri alunni hanno partecipato attivamente intervenendo con letture e riflessioni sul tema della Memoria e la scrittura: ve ne proponiamo alcune.



Riflessione sulla Giornata della Memoria.

Veronica Lustri

Come tutti gli anni, la nostra scuola ha organizzato un incontro in occasione del Giorno della Memoria.

“Scrivendo salviamo le nostre radici e noi stessi”: questo era il tema della nostra Giornata.

Proprio questa frase ha portato me, come il resto degli alunni, a riflettere sull’importanza della scrittura, che ha una funzione fondamentale soprattutto per quanto riguarda la Shoah: il dovere di non dimenticare e di sensibilizzare le generazioni più giovani a vigilare perché l’uomo non torni ad essere una bestia.

L’incontro è iniziato con la visione di un filmato nel quale dei testimoni dell’Olocausto raccontavano le loro storie; tra questi ricordo Lia Levi e il signor Mieli, entrambi venuti già in passato nella nostra scuola come ospiti; ciò che mi ha colpito di più in questo video è stato il ricordo della signora Springer, tornata ad Auschwitz per testimoniare, nel campo di concentramento dove era prigioniera durante la Seconda guerra mondiale.

La signora , osservando quegli ambienti, ricorda come lei e gli altri deportati fossero costretti a vivere in condizioni tragiche, privati non solo dei loro vestiti, ma anche della loro dignità.

Dopo il video, l’incontro è proseguito con l’arrivo di tre importanti ospiti: la Dott.essa Fiorella Rathaus, la Dott.essa Pina Deiana e il poeta Claudio Damiani.

La signora Rathaus lavora presso il C.I.R, Consiglio Italiano per i Rifugiati (ONLUS).

La dottoressa ci ha parlato dei rifugiati, che sono persone in pericolo poiché costrette a fuggire dal proprio paese per un fondato timore di persecuzione per motivi etnici,politici, di nazionalità, religione, gruppo sociale di appartenenza.

Il rifugiato, infatti , non sceglie di spostarsi alla ricerca di una qualità di vita migliore, ma è costretto ad abbandonare la sua casa e a trovare protezione fuori dal proprio paese; analogamente è avvenuto al popolo ebraico.

Dopo la presentazione delle due ospiti, le classi quarta e quinta del liceo scientifico tecnologico hanno letto alcuni brani tratti da libri sulla Shoah, ad esempio “Se questo è un uomo” di Primo Levi e hanno elaborato ed esposto le riflessioni riguardanti il tema della giornata: la scrittura e la Memoria.

Di rilevante importanza è stata la presenza del poeta Claudio Damiani, il quale ha scritto numerose poesie che sono state lette da alcuni alunni delle classi prime della nostra scuola.

Il signor Damiani , come metafora per indicare la guerra, ha utilizzato un elemento naturale: il fuoco, che si accende da una piccola scintilla diventando poi un grande incendio.

Per concludere la professoressa Lorenzini ha letto la testimonianza di suo padre, anche lui vittima di quella storia dove il peggior nemico dell’uomo fu l’uomo stesso!







“La memoria attraverso la scrittura”



Elisa Agnoni





Oggi 27 gennaio 2011 celebriamo, come ormai da molti anni, la giornata della memoria, istituita per non dimenticare la Shoah e tutte le vittime dei crimini nazisti. Celebrare questa giornata è fondamentale affinché quanto avvenuto non si ripeta mai più, per nessun popolo, in nessun tempo e in nessun luogo. Quest'anno abbiamo deciso di riflettere su un tema particolare, ovvero la scrittura, grazie al quale gli uomini nella storia riescono a comunicare fatti accaduti, emozioni provate e a consentire di non abbandonare mai il ricordo di eventi che hanno lasciato una profonda cicatrice nel nostro passato e che ancora oggi permane nei nostri cuori.

La Giornata ha avuto inizio con la visione di un video nel quale vi erano le dure testimonianze di persone che hanno vissuto direttamente gli eventi tragici di quegli anni e sono state costrette ad assistere alla morte delle loro persone care e a soffrire fame e freddo durante le atroci deportazioni nei campi di sterminio nazisti. Tra queste vi era la signora Springer, che tornando nei luoghi dove aveva vissuto il dolore e la disperazione e dove i tedeschi imponevano il loro rigido controllo, riporta alla luce ricordi terribili del suo passato i quali, anche se a distanza di molto tempo, ancora sono stampati perfettamente nella sua memoria. Appena varca la soglia di quel luogo e si addentra in quelle buie camere dove tutti gli ebrei stavano raccolti in attesa della loro fine, nei suoi occhi si riflette una forte emozione e sul suo viso scendono lente e profonde lacrime di tristezza e di disprezzo verso chi ha commesso l'orrendo delitto di condurre gli uomini verso la loro demolizione. Un'altra persona presente nel video era il signor Mieli che ha ricordato la sua esperienza personale da deportato e ha rammentato ai giovani presenti durante il suo racconto che la loro grande fortuna è quella di vivere felici e spensierati accanto alle persone amate, senza essere costretti a conservare il ricordo atroce di un passato incancellabile. Per questo non bisogna mai smettere di comprendere quanto la nostra vita sia preziosa e vada vissuta sempre restando accanto a coloro che amiamo, anche perchè bisogna pensare a chi nella sua infanzia ha desiderato farlo e non ha potuto. Anche nelle sue lacrime ho ritrovato sentimenti indescrivibili, di forte dolore e di commozione al solo pensiero di essere lì a parlare in prima persona di questo evento accaduto, mentre molti altri, suoi amici o suoi famigliari o semplici conoscenti, non ci sono più perchè lì in quei campi di sterminio hanno lasciato la loro vita.

La giornata prosegue con un intervento da parte della dott.ssa Fiorella Rathaus, responsabile del settore integrazione del C.I.R ( consiglio italiano dei rifugiati) e la dott.ssa Pina Deiana, psicologa e psicoterapeuta. Anche loro hanno raccontato la loro esperienza personale lavorativa e hanno esposto i loro commenti su questa giornata. La signora Rathaus a riguardo ha espresso un pensiero che mi ha colpito molto, ovvero ha pronunciato questa frase: “L'olocausto della vita non finisce mai”. Questa affermazione molto forte mi ha trasmesso sia qualcosa di positivo che qualcosa di negativo. Positivo perchè in effetti, se riflettiamo a lungo, arriviamo a concludere che la deportazione degli ebrei nei Lager non è stata e non sarà l'unica tragedia che il nostro mondo sarà costretto ad affrontare, perchè purtroppo la vita è anche questo, un insieme di momenti felici ma anche di eventi dolorosi e tragici in cui l'uomo deve proiettarsi. Ma allo stesso tempo la ritengo una frase troppo pessimista perchè se l'uomo continua ad avere questi pensieri negativi nei confronti di tutto ciò che lo circonda, non riuscirà mai a prendere il controllo della situazione e a far sì che tutte queste terribili atrocità non si ripetano mai più. Un uomo deve riflettere sul suo passato per non dimenticare, per mantenere vivo il ricordo, ma soprattutto deve conoscere il passato anche per evitare che gli errori si ripetano nel tempo. La dott.ssa Deiana invece ha parlato soprattutto del tema della scrittura che, come abbiamo annunciato all'apertura della giornata, permette di salvare le nostre radici e noi stessi. A riguardo noi ragazzi quest'anno abbiamo letto il libro “Se questo è un uomo” scritto da Primo Levi, in seguito al suo ritorno dal campo di sterminio di Auschwitz. In particolare di questo testo mi ha colpito molto la grande capacità di Levi di descrivere, nei minimi dettagli, la realtà orrenda che lo circondava e ciò ha permesso a noi lettori di comprendere ancor di più alcuni aspetti particolari e profondi della vita delle persone all'interno dei Lager. La descrizione della fame e del freddo, del lavoro duro e delle notti insonni di milioni di persone colpevoli soltanto di appartenere ad un credo diverso e di essere nati in un momento sbagliato della storia. Bisogna pensare anche che persone come Levi, Mieli e quei pochi altri che sono riusciti a fare ritorno nelle loro case, vivono con l'angoscia e la disperazione di chi porta avanti un peso insostenibile, di chi si sente in colpa e si chiede il motivo per il quale il destino ha salvato proprio lui e magari non un bambino ebreo che aveva tutti i diritti di vivere la sua vita. Anche questa è una condizione terribile, nessuno penso si augura di affrontare la sua esistenza in questo modo.

La giornata si conclude con la lettura di alcune poesie scritte dal poeta Claudio Damiani sul tema della guerra e due testimonianze, una del signor Lorenzini che ha vissuto, come tanti altri, quei momenti e che dopo tanto tempo è finalmente riuscito a raccontarli. L'altro racconto riguardava l'amicizia tra due ragazze, una delle quali è la mamma della Prof.ssa Laudenzi che, nonostante appartenessero ad una religione diversa rimarranno sempre unite e si completeranno l'un l'altra.

Tutte le persone del mondo sono uguali, anche se appartenenti a credi, abitudini e culture differenti, e soprattutto ognuna di loro ha il diritto inalienabile di vivere la propria vita serenamente accanto all'affetto di tutti i suoi cari, senza subire soprusi, ingiustizie, condanne e morte da chi si ritiene superiore.

Scrivere, ricordare, riflettere può aiutarci affinché il desiderio di vivere serenamente uniti e senza distinzioni si possa realizzare.



“Ricordare per non dimenticare”

Matteo Lucia

Il 27 Gennaio 2011 nella nostra scuola, in Aula magna, è stata celebrata la Giornata della memoria, per ricordare lo sterminio del popolo ebraico e di tutti coloro che si sono opposti al nazi-fascismo. Anche se non era la prima volta che partecipavo a questo progetto ero emozionato come se lo fosse, me ne sono reso conto subito dopo aver guardato il video iniziale dove la signora Springer, sopravvissuta allo sterminio nei campi di concentramento, raccontava come veniva trattata dall’esercito tedesco durante il suo internamento ad Auschwitz, ricordando i terribili momenti vissuti. Gli occhi della signora mi hanno colpito molto per le forti emozioni che trasmettevano: il dolore e la sofferenza di chi ha subito violenze e crudeltà. Ma ciò che mi ha colpito maggiormente è stato quando la signora ha raccontato il momento in cui i tedeschi costringevano tutti gli ebrei a mettersi in fila, senza abiti, ad attendere di compiere gli ultimi passi per arrivare all’unico pasto giornaliero che avevano a disposizione. Questo stava a significare per tutte quelle povere persone la loro perdita di dignità, come fossero semplici oggetti da sfruttare o meglio bestie!. Tutto ciò è veramente assurdo, una condizione più misera non si può immaginare. Quest’anno la giornata si è concentrata sul tema della scrittura; sono intervenute la Dott.ssa Fiorella Rathaus, responsabile del settore integrazione del C.I.R ( consiglio italiano dei rifugiati) e la Dott.ssa Pina Deiana, psicologa e psicoterapeuta, le quali, in particolare, hanno sottolineato l’importanza della scrittura per tutti coloro che hanno vissuto momenti drammatici e dolorosi quando erano costretti a vivere nei campi di sterminio. La scrittura, infatti, è molto importante per ricordare momenti passati e non dimenticare emozioni vissute. A volte si scrive anche una pagina di diario per semplice sfogo, per lasciare nella memoria istanti felici o tristi della nostra esistenza. Su questo tema noi ragazzi quest’anno abbiamo letto il libro “Se questo è un uomo” scritto da Primo Levi ed abbiamo scelto alcune frasi significative per comprendere l’esperienza vissuta dall’autore quando era deportato ad Auschwitz, costretto a soffrire fame e freddo. Nel momento in cui abbiamo letto queste frasi l’emozione è stata davvero incredibile nei visi di tutte le persone presenti alla giornata. Ricordare è indispensabile per non dimenticare mai gli errori commessi nel passato, affinché essi non si ripetano nel nostro futuro.

La giornata della memoria

Laura Tomassoni Rita Anselmi Leila Betti



Il 27 Gennaio è una data che ricorre nella nostra vita, nelle nostre menti ma soprattutto nel nostro cuore. Questo è infatti il giorno in cui si ricorda lo sterminio degli ebrei nei campi di concentramento durante la dittatura nazista. Il 27 Gennaio è una delle date più importanti del nostro calendario, una di quelle date indelebili, impossibili da dimenticare. "Dimenticare" è proprio la parola d' ordine dell'incontro che la nostra scuola , come tutti gli anni, ha organizzato con degli ospiti per parlare di quello che viene ricordato come il capitolo più vergognoso della storia italiana.

Il tema della giornata è stato : "Scrivendo i ricordi salviamo le nostre radici e noi stessi".

Si è parlato, dunque, di quanto sia importante tramandare il ricordo parlando di tutta la sofferenza che ha caratterizzato gli anni della Seconda Guerra Mondiale, in modo tale da non dimenticare tutte quelle atrocità e fissarle per sempre nella nostra memoria per non farle più accadere. Per questa occasione sono state invitate la dott.ssa Pina Deiana, la dott.ssa Fiorella Rathaus ed il poeta Claudio Damiani.

La giornata si è aperta con la proiezione di un video il quale mostrava delle interviste fatte a dei testimoni dell' Olocausto, alcuni già venuti in passato nella nostra scuola, come il Sig.Mieli e la Sig.ra Lia Levi, che con le lacrime agli occhi e tanta sofferenza riportavano gli anni della guerra, gli anni dove la loro casa era un lager.

Tutti e due nati da famiglie ebree, hanno vissuto esperienze completamente differenti . Il Sig .Mieli fu imprigionato ad Auschwitz, costretto a lavorare duramente patendo la fame e senza avere notizie dei suoi familiari. La Sig.ra Levi, invece, riuscì a salvarsi dai rastrellamenti rifugiandosi in un collegio di suore a Roma insieme alle sue due sorelle. Una testimonianza senza dubbio toccante è stata quella della sig.ra Springer tornata a testimoniare nel campo di concentramento dove era stata prigioniera. La signora, osservando quella prigione all' aperto, ricorda l' orrore della sua esperienza quando lei e gli altri deportati erano stati privati oltre che della loro personalità anche della dignità. In seguito al video ha preso la parola la dottoressa Deiana esponendoci la funzione salvifica della scrittura, spiegando quanto questa, appunto, possa essere utile a noi stessi ed al nostro animo, per scrivere i propri ricordi, anche quelli più profondi, riuscendo ad allontanare le ansie e le angosce di cui non riusciamo a parlare. Proprio a questo proposito la dottoressa ci ha fatto l'esempio di un suo paziente che con il suo aiuto, dopo moltissimi anni è riuscito a scrivere i ricordi della sua commovente ed orribile esperienza da rifugiato. Collegandosi all'esperienza di quest' uomo la dott.ssa Rathaus, che lavora presso il consiglio italiano per i rifugiati, CIR, ci ha spiegato il netto e visibile collegamento tra i rifugiati e gli ebrei durante la shoah. Il rifugiato infatti è una persona che a causa di persecuzioni per razza, nazionalità e religione la sua famiglia dovette abbandonare il proprio paese. Molto interessante è stato anche l'intervento del Sig.Damiani che ha utilizzato la metafora del fuoco per parlare della guerra. Il poeta ha utilizzato questo elemento naturale il quale accendendosi da una piccola scintilla può diventare una potente arma distruttiva. L' incontro è terminato con la lettura della testimonianza del padre della professoressa Lorenzini, anche lui vittima di quella tragica prigionia. E’ stata una giornata particolarmente emozionante per il grande peso storico, ma soprattutto morale, una giornata che, come tutti gli anni ci ha ricordato che dimenticare tutto quello che è successo sarebbe come ricommettere quelle follie.



La memoria e la scrittura

27 Gennaio 1945.

Eleonora Sebastianelli



I cancelli si aprono al mondo, e i deportati vedono dopo giorni, mesi, forse anni una luce diversa sul loro viso, quella mattina non andranno a lavorare, non moriranno di fame e di sete per tuta la giornata. Quel giorno torneranno a casa, potranno abbracciare i loro cari, potranno andare sotto una doccia senza la paura di morire, potranno mangiare molto di più di un pezzo di pane, potranno dormire in un letto comodo, potranno non soffrire il freddo e il vento. Dopo qualche mese o anno inizieranno a raccontare la loro storia, e il mondo si commuoverà, cercherà di non credere a quegli orrori ma capirà guardando nei loro occhi che è tutto vero.

27 Gennaio 2011.

Sono passati 65 anni da quando i cancelli del campo di annientamento di Auschwitz-Birkenau furono aperti e 10 dall’istituzione di questa giornata, e come ogni anno io e i miei compagni siamo qui a ricordare quel giorno, a ricordare le vittime e i carnefici; a capire cosa può aver portato a un orrore così grande.

Oggi è il 27 gennaio, il “Giorno della Memoria”. Perchè quando nel 2000 fu istituita questa ricorrenza gli venne dato il nome “Giorno della Memoria”? In altre parole, cos’è la memoria?

Con memoria si intende la capacità di ricordare il passato. Ma ricordare a cosa serve? E poi, è giusto ricordare?

Quando usiamo i termini memoria e ricordo ci vengono in mente la Shoah, l’Olocausto e gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Allora ricordare serve per non dimenticare questi orrori, per far sì che gli errori commessi in passato dall’uomo possano non ripetersi mai più.

Molti dei sopravvissuti, sia coloro che hanno assistito alle atrocità della guerra, sia coloro che sono tornati dai campi di concentramento hanno cercato non solo di raccontare ciò che hanno visto e provato, ma hanno anche pensato di scrivere ciò che gli è accaduto. È proprio questo il tema della giornata della memoria di quest’anno, LA MEMORIA E LA SCRITTURA.

Quando scriviamo lasciamo sulla carta una piccola parte di noi, quell’attimo che per un istante vogliamo fermare, un attimo felice oppure un attimo tristissimo, ma che comunque non vogliamo che vada perso, è proprio questo al centro del ricordo. I sopravvissuto hanno scritto forse perchè era più semplice che parlare di fronte a delle persone e raccontare, portare una testimonianza della loro agonia, dell’angoscia, di tutti quei sentimenti di dolore e paura che hanno provato vedendo e subendo quegli orrori.

A questa giornata hanno partecipato diverse persone, ma i loro interventi non sono stati interessanti come quelli degli anni precedenti, non si trattava di persone sopravvissute o persone che avevano vissuto la guerra, erano persone “comuni” che, come me, come noi, hanno vissuto una vita comune senza troppo dolore e paura. Invece mi è piaciuto molto il video che abbiamo visto all’inizio. Quattro persone, quattro storie diverse. La signora Springer: torna a visitare il capannone e il campo di annientamento nazista dove fu imprigionata; la signora Vergalli: ex staffetta partigiana, racconta i suoi momenti di paura, del suo coraggio e della sua forza d’animo. Si è dimostrata una persona forte e fragile allo stesso tempo; poi il signor Mieli e infine la scrittrice Lia Levi. Al termine del filmato sono intervenuti i nostri ospiti, anzi le nostre ospiti. Alla fine del loro discorso alcune di noi sono intervenute, come ogni anno, con la lettura di brani da noi scelti: alcuni erano delle nostre riflessioni personali sulla scrittura, altri erano delle parti di libri che abbiamo letto durante le nostre vacanze estive.

La giornata si è conclusa con la lettura di alcune poesie.

Ma il vero senso della giornata secondo me viene alla fine, perchè solo dopo le notizie apprese, le nuove conoscenze ottenute possiamo soffermarci a riflettere. E allora mi sono chiesta: qual è il significato profondo di questa giornata?

Serve a non dimenticare le tragedie passate attraverso i racconti e le memorie di coloro che le hanno vissute, perché è grazie a queste che possiamo, forse, immaginare la loro sofferenza ed il loro dolore, per evitare che certi errori si ripetano. Per questo motivo è giusto ringraziare tutti coloro che ci aiutano a ricordare.



Primo Levi: se conoscere è possibile, comprendere è necessario

Eleonora Sebastianelli



Nel corso delle mie vacanze estive mi sono trovata, diciamo costretta, a leggere il libro di Primo Levi “ Se questo è un uomo “.

Non credevo di rimanere colpita e affascinata da questo romanzo, lo credevo pesante e noioso, invece l‘ho trovato interessante, istruttivo ed educativo.

Il libro venne pubblicato nel 1947, due anni dopo la liberazione dello scrittore dal campo di sterminio di Auschwitz. Il libro è un resoconto, una testimonianza, della prigionia dello scrittore nel lager, dal Dicembre 1943 (anno della sua deportazione) fino al 27 Gennaio 1945 (anno della liberazione dal campo di sterminio). Anni, mesi, giorni e notti che Levi descrive con minuzia, nei minimi particolari.

La vicenda inizia il 13 Dicembre 1943, Levi viene deportato al campo di Fossoli, un semplice campo di transito, da lì un treno porterà lui e gli altri deportati fino in Polonia. Anche se nel treno le condizioni disumane portano molti ebrei alla morte, le vere atrocità iniziano solo nel campo; ai prigionieri viene tolto il loro nome e gli viene tatuato un Haftling, un numero di serie, un numero che da quel momento sarà la loro identità. Dopo l’assegnazione del numero si inizia il lavoro nel campo, un lavoro stremante e faticoso che porta molti prigionieri alla morte.

Levi con il passare del tempo capisce le poche regole del campo:

- far finta di capire tutto;

- saper apprezzare il valore degli oggetti essenziali, quali le scarpe e il cucchiaio.

Nonostante la fame, gli stenti e la dura vita nel lager, Levi riuscirà a sopravvivere fino all’arrivo dei sovietici. Questa, in poche parole, è la trama del romanzo più conosciuto di Levi, ma un altro suo libro di grande importanza è quello intitolato “ I sommersi e i salvati “.

“I sommersi e i salvati” fu pubblicato solamente nel 1986.

Il romanzo è diviso in otto capitoli, accompagnati tutti da una prefazione e una conclusione dell’autore.

Il tema dominante è quello della memoria, già affrontato nel suo libro del 1947; e la memoria viene affrontata sia dal punto di vista dei persecutori, sia dal punto di vista dei perseguitati.

Due capitoli molto importanti sono quelli intitolati: “ Comunicazione “ e “ Violenza civile “.

Entrambi affrontano il tema della dignità dell’uomo, che i nazisti cercano in tutti i modi di reprimere nel lager. Tema affrontato analogamente nel capolavoro “ Se questo è un uomo “.

Questo libro è intriso di una profonda ed elaborata morale dell’autore : Auschwitz ritornerà?

Nei capitoli conclusivi del romanzo lo scrittore cercherà di dare delle risposte alle domande che per più di quarant’anni lo hanno ossessionato: i tedeschi, come hanno potuto farlo? Perchè gli ebrei glielo hanno lascito fare? Perchè non si sono ribellati? Perchè non sono fuggiti?

Un concetto che scaturisce dall’attenta riflessione dell’autore è quello della vergogna. I salvati, coloro che non hanno completamente toccato il fondo perchè altrimenti non sarebbero tornati, provano vergogna. Vergogna perchè sono sopravvissuti durante la prigionia nel campo, a differenza dei loro familiari, amici e compagni.

Levi è solo uno dei reduci del campo di concentramento, ma è uno sicuramente dei pochi che ha avuto la forza di parlare e scrivere di quelle atroci vicende da lui stesso vissute.

L’esperienza nel lager non viene, però, mai del tutto superata. Proprio per questo motivo nel 1987 Levi si toglierà la vita.

I SOMMERSI E I SALVATI di Primo Levi



I Sommersi e i Salvati è un romanzo-testimonianza di Primo Levi. In questo capolavoro della letteratura lo scrittore parla non della sua prigionia nel Lager, ma di coloro che dal Lager si sono salvati, di coloro che nel Lager hanno visto finire la propria vita e di coloro che sono stati gli << aguzzini >>. Leggendo questo libro ho ritenuto necessario evidenziare alcune frasi che per me sono state più profonde e significative:



1) Le prime notizie sui campi d’annientamento nazisti hanno cominciato a diffondersi nell’anno cruciale 1942. Erano notizie vaghe tuttavia tra loro concordi: delineavano una strage di proporzioni così vaste, di una crudeltà così spinta, di motivazioni così intricate, che il pubblico tendeva a rifiutarle per la loro stessa enormità. E’ significativo come questo rifiuto fosse stato previsto con ampio anticipo dagli stessi colpevoli. [...] I militi delle SS si divertivano ad ammonire cinicamente i prigionieri: << [...] nessuno di voi rimarrà per portare testimonianza, ma se qualcuno dovesse scappare, il mondo non gli crederà. [...] Non ci saranno certezze, perchè noi distruggeremo le prove insieme a voi. E quando anche qualche prova dovesse rimanere, e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che i fatti che voi raccontate sono troppo mostruosi per essere creduti: dirà che sono esagerazioni della propaganda alleata, e crederà a noi, che negheremo tutto, e non a voi. La storia dei lager, saremo noi a dettarla >>;



2) Circondato dalla morte, spesso il deportato non era in grado di valutare la misura della strage che si svolgeva sotto i suoi occhi;



3) A distanza di anni, si può oggi bene affermare che la storia dei Lager è stata scritta quasi esclusivamente da chi, come io stesso, non ne ha scandagliato il fondo. Chi lo ha fatto non è tornato, oppure la sua capacità di osservazione era paralizzata dalla sofferenza e dall’incomprensione;



4) Alle domande << perchè lo hai fatto? >>, o << cosa pensavi facendolo? >>, non esistono risposte attendibili, perchè gli stati d’animo sono labili per natura, e ancora più labile è la loro memoria;



5) Siamo stati capaci, noi reduci, di comprendere e far comprendere la nostra esperienza? Ciò che comunemente intendiamo per << comprendere >> coincide con << semplificare >>. [...] . Tendiamo a semplificare anche la storia;



6) Hai vergogna perchè sei vivo al posto di un altro? E in specie, di un uomo più generoso, più sensibile, più savio, più utile, più degno di vivere di te? Non lo puoi escludere: ti esamini, passi in rassegna i tuoi ricordi, sperando di ritrovarli tutti, e che nessuno di loro si sia mascherato o travestito. [...] Al mio ritorno dalla prigionia è venuto a visitarmi un amico più anziano di me, mite ed intransigente, cultore di una religione. [...] Era contento di ritrovarmi vivo e sostanzialmente indenne, forse maturo e fortificato, certamente arricchito. Mi disse che l’essere io sopravvissuto non poteva essere stata opera del caso, o di un accumularsi di circostanze fortunate ( come sostenevo e tuttora sostengo io ), bensì della Provvidenza. Ero un contrassegnato, un eletto: io, il non credente, ed ancora meno credente dopo la stagione di Auschwitz, ero un toccato dalla Grazia, mi rispose. Forse perchè scrivessi, e scrivendo portassi testimonianza: non stavo infatti scrivendo allora, nel 1946, un libro sulla mia prigionia? Questa opinione mi parve mostruosa. Mi dolse come quando si tocca un nervo scoperto, e ravvivò il dubbio di cui dicevo prima: potrei essere vivo al posto di un altro, a spese di un altro. [...] I << salvati >> del lager non erano i migliori, i predestinati al bene, i latori di un messaggio: quanto io avevo visto e vissuto dimostrava l’esatto contrario. Sopravvivevano i peggiori, gli egoisti, i violenti, gli insensibili, i collaboratori della << zona grigia >>, le spie. [...] Mi sentivo sì innocente, ma intruppato fra i salvati, e perciò alla ricerca di una giustificazione. [...] Sopravvivevano i peggiori, cioè i più adatti; i migliori sono morti tutti.[...] Non siamo noi, i superstiti, i testimoni veri. [...] . Noi sopravvissuti siamo una minoranza anomala oltre che esigua: siamo quelli che, per loro prevaricazione o abilità o fortuna, non hanno toccato il fondo. Chi lo ha fatto, chi ha visto la Gorgone, non è tornato per raccontare, o è tornato muto; ma sono loro, i sommersi, i testimoni integrali, coloro la cui deportazione avrebbe avuto significato generale. Loro sono la regola, noi l’eccezione. [...] Noi toccati dalla sorte abbiamo cercato, con maggiore o minore sapienza, di raccontare non solo il nostro destino, ma anche quello degli altri, dei sommersi, appunto; ma è stato un discorso << per conto di terzi >>, il racconto di cose viste da vicino, non sperimentate in proprio. La demolizione condotta a termine, l’opera compiuta, non l’ha raccontata nessuno, come nessuno è mai tornato a raccontare la sua morte. I sommersi, anche se avessero avuto carta e penna, non avrebbero testimoniato, perchè la loro morte era cominciata prima di quella corporale. Settimane e mesi prima di spegnersi, avevano già perduto la virtù di osservare, ricordare, commisurare ed esprimersi. Parliamo noi in loro vece, per delega;



7) A partire dall’inizio del 1942, ad Auschwitz e nei Lager che ne dipendevano il numero di matricola dei prigionieri non veniva più soltanto cucito agli abiti, ma tatuato sull’avambraccio sinistro. [...] . Gli uomini dovevano essere tatuati sull’esterno del braccio e le donne sull’interno; il numero degli zingari doveva essere preceduto da una Z; quello degli ebrei, a partire dal maggio1944 doveva essere preceduto da una A, poco dopo da una B. Fino al settembre 1944 non c’erano bambini: venivano uccisi tutti col gas al loro arrivo [...]. L’operazione era poco dolorosa e non durava più di un minuto. Il suo significato simbolico era chiaro a tutti: questo è un segno indelebile, di qui non uscirete più; questo è il marchio che s' imprime agli schiavi ed al bestiame destinato al macello, e tali voi siete diventati. Non avete più nome: questo è il vostro nuovo nome. La violenza del tatuaggio era gratuita;



9) Ci viene chiesto [...] chi erano, di che stoffa erano fatti, i nostri << aguzzini >>. [...] erano fatti della nostra stessa stoffa, erano esseri umani medi, mediamente intelligenti, mediamente malvagi: [...] Avevano il nostro viso, ma erano stati educati male.







Questi sono solo alcuni brani che ho ritenuto più significativi. Credo che per capire veramente a fondo questo libro bisognerebbe iniziare col porsi una domanda: perché Levi provava vergogna per essersi salvato?

Lo scrittore non è felice di essere un salvato, sa benissimo di essere “intruppato”tra i salvati, come scrive nel libro, ma non prova gioia nell’esserlo. Prova, come tutti gli altri salvati vergogna, una vergogna nata dal fatto che è sopravvissuto. Levi afferma che i salvati del lager erano i peggiori, ma perchè dice questo?

La risposta è alquanto semplice, si è salvato chi era più furbo, chi ha saputo sfruttare i momenti e le situazioni, ma sopratutto sono sopravvissuti i sostenitori della << zona grigia >>, coloro che hanno collaborato con le autorità e che Levi identifica con il nome di “privilegiati”.

Essere un salvato non è per Levi un vanto, è angoscioso, così angoscioso che lo scrittore non riuscirà a continuare la propria vita con questo peso, e dopo 40 anni da quel fatidico giorno, il 27 Gennaio 1945, deciderà di togliersi la vita. Infatti, i veri protagonisti della storia, e del libro, sono i sommersi, coloro che hanno visto e vissuto fino in fondo le atrocità del lager, coloro che devono essere ricordati.

Levi parla anche degli aguzzini. Coloro che volevano distruggere ogni prova, coloro che non volevano far emergere alcuna testimonianza, coloro che avevano fatto erigere i lager e che poi volevano distruggerli perchè erano diventati troppo pericolosi anche per i tedeschi stessi, in quanto al loro interno racchiudevano un segreto enorme, il massimo crimine della storia dell’umanità.

Levi diceva: ” Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perchè ciò che è accaduto può ritornare, le conoscenze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre ”.

Cosa vuol dire?

Sta a significare che i fatti che sono accaduti devono essere conosciuti, e se possibile anche compresi, così che possano non ripetersi mai più. Dobbiamo ricordare i sommersi. Dobbiamo ringraziare i salvati. Perchè i loro ricordi, le loro testimonianze possono sensibilizzarci e commuoverci e da loro possiamo imparare a non dimenticare.



Sebastianelli Eleonora 18 anni

Istituto Colomba Antonietti

Classe V S Liceo Scientifico-Tecnologico



“La Storia” di Elsa Morante

.Brani tratti dal libro.



Durante il corso dell’ anno scolastico , noi alunni della 4°s abbiamo letto “ la Storia ” di Elsa Morante . Un romanzo ambientato a Roma durante il periodo della seconda guerra mondiale e nell’ immediato dopo guerra. “La Storia” narra le tragiche vicende di Useppe, un bambino nato dalla violenza che la madre , Ida Ramundo, un’ insegnante di origine ebraica, vedova Mancuso e madre di Nino , ha subito da un giovane militare tedesco . Cresciuto gracile e minuto tra gli stenti e la fame di una Roma occupata , Useppe muore stroncato da una grave forma di epilessia . La povera Ida , dopo aver perso anche il primogenito Nino , che nel frattempo aveva deciso di partire per la guerra dapprima come militante nelle squadre fasciste poi come partigiano, non riesce a sopportare questo dolore e impazzisce.

Abbiamo scelto alcuni brani tratti da questo libro che a noi sono sembrati più significativi .



• “ Useppe alzò gli occhi al cielo e disse : “<< Lioplani>> , e in quel momento l’ aria fischiò, mentre già in un tuono enorme tutti i muri precipitavano alle loro spalle il terreno saltava d’ intorno a loro , sminuzzato in una mitraglia di frammenti. “



• “ La maggior parte dei presenti si guardavano in faccia inebetiti senza dir nulla . Molti avevano i vestiti a pezzi bruciacchiati, certuni sanguinavano. Da qualche parte là fuori, fra un rumorio sterminato e incoerente , ogni tanto si levava qualche urlo feroce . “



• “ Si vedeva un viale alberato di città, lungo la spalletta di un ponte semidistrutto. Da ogni albero del viale pendeva un corpo, tutti in fila, nella stessa identica posizione, con la testa inclinata su un orecchio , i piedi un poco divaricati e le due mani legate dietro la schiena . Erano tutti giovani , e tutti malvestiti, dall’ aria povera . Su ognuno di loro stava appeso un cartello con la scritta : PARTIGIANO. “



• “ L’ interno dei carri, scottati dal sole ancora estivo , rintronava sempre di quel vocio incessante . Nel suo disordine , si accalcavano dei vagiti , degli alterchi , dei parlottii senza senso , delle voci senili che chiamavano la madre, delle altre che conversano appartate , quasi cerimoniose, e delle altre che perfino ridacchiavano . E a tratti su tutto questo si levavano dei gridi sterili agghiaccianti ; oppure altri , di una fisicità bestiale, esclamanti parole elementari come : << bere! >> << aria!>>. Da uno dei vagoni estremi sorpassando tutte le altre voci , una donna giovane rompeva a tratti in certe urla convulse e laceranti , tipiche delle doglie del parto.”



• “ Si dice che in certi stati cruciali davanti agli uomini ripassino con velocità incredibile tutte le scene della loro vita . Ora nella mente solida di quella donnetta, mentre correva a precipizio per il suo piccolo alloggio , ruotarono anche le scene della Storia umana ( La Storia) che essa percepì come LE SPIRE MULTIPLE DI UN ASSASSINIO INTERMINABILE. E oggi l’ ultimo assassinato era il suo bastarduccio Useppe . Tutta la Storia e le nazioni della Terra si erano concordate a questo fine : la strage del bambinello Useppe Ramundo. “





Abbiamo scelto questi brani perché ci fanno riflettere su come in un momento tutto possa cambiare; senza preavviso tutto ciò che hai , una casa, una famiglia, un cane magari, tutta la tua vita , viene improvvisamente portato via . E solo una cosa è in grado di rendere possibile tutto ciò con una facilità e una velocità quasi innaturali: la guerra.

Crediamo che la guerra danneggi il mondo, perchè ferisce il cuore e gli animi della gente, perchè indebolisce la speranza e la sicurezza di tutti, perchè non distrugge solo case ma anche la sensibilità e il riso non solo degli adulti , ma soprattutto dei bambini.



Alunni IV S Liceo scientifico tecnologico

La Notte Elie Wiesel

Il racconto è articolato sui ricordi e sulle impressioni dello scrittore ebreo Elie Wiesel, che fu deportato ad Auschwitz e in seguito a Buchenwald con la famiglia. Egli descrive con i suoi occhi di bambino il progressivo disgregarsi e disperdersi della sua famiglia nelle tragiche circostanze della deportazione e della detenzione nei campi di sterminio: vede la madre e l’ adorata sorellina avviarsi insieme verso uno di quei forni dal quale, poco tempo dopo, si levò un fumo nero e denso… e vede il padre spegnersi giorno dopo giorno, fino alla morte. Contemporaneamente, si spegne in lui quella fede in Dio, nel Dio dei Padri, fino ad allora sempre forte e viva, che viene sostituita dal dubbio, dall'incertezza, dalla disperazione. Alle immagini dell'infanzia si sostituiscono gli scenari dell'orrore, in una serie di istantanee crudeli, impossibili da dimenticare, che segneranno il futuro di un uomo che non è mai stato bambino. L'immagine della notte, dell'oscurità, del dolore, come un manto nero si stende lungo le pagine e sull'anima, lasciando una forte commozione nel lettore, un'emozione indimenticabile.

De Lorenzo Jessica

Anni 18

Classe V S Liceo scientifico tecnologico

Introduzione a “La Notte” di Elie Wiesel

Il racconto “La Notte” è basato sui ricordi e sulle impressioni dello scrittore ebreo Elie Wiesel, che fu deportato ad Auschwitz e in seguito a Buchenwald con la famiglia. Egli descrive con i suoi occhi di bambino il progressivo allontanamento della sua famiglia nelle tragiche circostanze della deportazione e della detenzione nei campi di sterminio dove vede la madre e la sorellina avviarsi insieme verso uno di quei forni dal quale, poco tempo dopo, si levò un fumo nero e denso; e vede il padre spegnersi giorno dopo giorno, fino alla morte. Contemporaneamente, si spegne in lui quella fede in Dio, sempre viva fino ad allora, che viene sostituita dal dubbio, dall’incertezza e dalla disperazione che lo accompagneranno fino al giorno della liberazione e soprattutto che gli hanno fatto perdere interamente la giovinezza.

Ecco alcuni brani del libro, che a noi sono sembrati più significativi:

Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformati in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia fede.

Nel carro dove era stato gettato il pane era scoppiata una vera e propria battaglia. Si buttavano gli uni sugli altri, pestandosi, dilaniandosi, mordendosi. Animali da presa scatenati, odio bestiale negli occhi; una vitalità straordinaria si era impossessata di loro, gli aveva aguzzato denti e unghie.[…] Un pezzetto cascò anche nel nostro vagone. Vidi non lontano da me un vecchio che si trascinava carponi. Si era appena svincolato dalla mischia. Portò una mano al cuore. Prima credetti che avesse ricevuto un colpo al petto, poi capii: teneva sotto la giacca un pezzo di pane. […] Un’ombra si era appena allungata accanto a lui, e quell’ombra gli si gettò addosso. Carico di botte, ubriaco di colpi, il vecchio gridava:

-Meir, mio piccolo Meir! Non mi riconosci? Sono tuo padre… mi fai male… stai assassinando tuo padre… ho del pane… anche per te… anche per te…

Crollò. Aveva ancora nel pugno chiuso un pezzetto di pane. Volle portarlo alla bocca, ma l’altro si gettò su di lui e glielo prese. Il vecchio mormorò ancora qualcosa, emise un rantolo, e morì nell’indifferenza generale. Suo figlio lo frugò, prese il pezzetto di pane e cominciò a divorarlo, ma non poté andare molto lontano: due uomini lo avevano visto e si precipitarono su di lui. Altri se ne aggiunsero. Quando se ne andarono c’erano vicino a me due morti, uno accanto all’altro: il padre e il figlio. Io avevo quindici anni.



Qualcuno si mise a recitare il Kaddìsh, la preghiera dei morti. Non so se è già successo nella lunga storia del popolo ebraico che uomini recitino la preghiera dei morti per se stessi.

-Che il Suo Nome sia magnificato e santificato… - mormorava mio padre.

Per la prima volta sentii la rivolta crescere in me.

Perché dovevo santificare il Suo Nome? L’Eterno, il Signore dell’Universo, l’Eterno Onnipotente taceva. Di cosa dovevo ringraziarLo?



Entrò nel capannone e i suoi occhi, più brillanti che mai, sembravano cercare qualcuno:

-Forse avete visto mio figlio da qualche parte?

Aveva perso il figlio nella ressa. Lo aveva cercato invano fra gli agonizzanti, poi aveva grattato via la neve per ritrovare il suo cadavere, ma senza risultato.

[…] -È accaduto sulla strada. Ci siamo persi di vista durante il cammino. Io ero rimasto un po’ indietro: non avevo più la forza di correre.

-No, Rabbi Eliahu, non l’ho visto.

[…] Improvvisamente mi ricordai che avevo visto suo figlio correre accanto a me. L’avevo dimenticato e non l’avevo detto a Rabbi Eliahu!

Poi però mi ricordai un’altra cosa: il figlio aveva visto il padre perdere terreno, finire zoppicando in fondo alla colonna, L’aveva visto e aveva continuato a correre in testa, lasciando che la distanza fra di loro aumentasse.

Un pensiero terribile mi venne in mente: aveva voluto sbarazzarsi di suo padre! Lo aveva visto in difficoltà, aveva creduto che ormai fosse la fine e aveva cercato quella separazione per togliersi di dosso quel peso, per liberarsi di un fardello che poteva diminuire le sue proprie possibilità di salvezza.



Abbiamo scelto questi brani perché danno chiaramente l’idea della disperazione che gli uomini hanno vissuto stando all’interno dei campi di sterminio, della distruzione fisica e psicologica, che fa diventare gli uomini delle bestie incapaci di controllare i loro istinti pur di sopravvivere. Questi ricordi dimostrano chiaramente il modo terribile, spietato, con cui venivano trattati, le brutalità che erano costretti a subire giorno dopo giorno e che li hanno cambiati, che li hanno plasmati in esseri senza morale pronti anche ad uccidere i propri familiari pur di sopravvivere, che li hanno spinti a perdere tutto quello in cui credevano, compresa la loro Fede. Totalmente delusi e portati all'odio, perchè circondati solamente da morte, dolore e nessuna possibilità di salvezza.

Jessica De Lorenzo

Andrea Toma

Anni 18 V S Liceo Scientifico Tecnologico



SCRIVENDO I RICORDI SALVIAMO LE NOSTRE RADICI E NOI STESSI



La scrittura è forse lo strumento più potente di cui l’uomo disponga in quanto scrivendo abbiamo la possibilità di fermare degli attimi importanti, di catturare e fare un’ istantanea delle sensazioni e degli eventi accaduti in passato.

Basti pensare alla storia, e a come essa si basi in maniera significativa su numerosi reperti scritti che descrivono in modo più o meno dettagliato la vita di quegli anni passati.

Poniamo ad esempio l’attenzione sulle numerose testimonianze della seconda guerra mondiale e sullo sterminio nazista.

A centinaia si contano i testi che riportano le torture, le paure e le umiliazioni a cui gli ebrei sono stati sottoposti a partire dal ’38, anno in cui vennero promulgate le leggi razziali.

Proprio riguardo a questo, in onore della giornata della memoria, che come ogni anno ricorre il 27 Gennaio, abbiamo letto il libro “SE QUESTO E’ UN UOMO” di Primo Levi, un sopravvissuto.

Deportato ad Auschwitz, descrive in maniera dettagliata ed oggettiva la vita che si conduceva all’interno del lager.

Scrive di come l’identità di un uomo venisse poco a poco annullata e di come inevitabilmente in quel luogo andasse persa la concezione ci ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, l’importante per tutti era sopravvivere.

Rileggendo quelle pagine non si può fare a meno di provare orrore nel pensare che realmente l’uomo è stato capace di compiere tali azioni.

Comunque quella lasciata da Levi è solo una delle tante testimonianze che oggi abbiamo a disposizione, un altro esempio potrebbe essere “IL DIARIO DI ANNA FRANK” che ella stessa scrisse nel periodo in cui insieme alla famiglia si nascose nella speranza di sfuggire ai tedeschi.

Un diario, chi non ha mai tenuto un diario in cui scrivere i propri segreti, i propri pensieri più intimi che quotidianamente ha paura o vergogna di mostrare agli altri.

E’ questo il paradosso; spesso e volentieri ciò che scriviamo rappresenta la parte più vera di noi stessi, eppure, nel momento in cui ci troviamo a rapportarci con gli altri, preferiamo mostrare una maschera.

Io stessa tenevo un “diario segreto” qualche tempo fa e ammetto che ancora oggi spesso mi ritrovo a scrivere i miei pensieri su qualsiasi pezzo di carta.

Il motivo per cui lo faccio è semplice, scrivendo mi sfogo, è l’unico modo di dire tutto ciò che penso senza avere il timore d’essere giudicata.





Ilarioni Bruna

anni 18

Liceo Scientifico-tecnologico

Colomba Antonietti classe V S





Il lager come l’Inferno – Levi e Dante



La letteratura ha rappresentato per Levi un aiuto di fronte ad una vicissitudine così traumatica come quella nel campo di sterminio, ed in un certo senso lo ha “salvato” in quanto, una volta conclusasi quella tremenda esperienza , ha trovato nella scrittura una sorta di terapia del dolore che gli ha consentito di attingere alla memoria per lasciarci un indelebile ricordo nel suo libro "Se questo è un uomo".

Mentre si trovava nel lager ad Auschwitz, Levi comprende che nulla poteva essere spiegato dalla ragione e come gli disse un deportato: "Qui non c'è un perchè".In quel momento così insensato della sua vita, vide accanto a sè Dante e la Divina Commedia entrò a far parte della sua quotidianità tanto che lo aiutò a sopravvivere .

In “ Se questo è un uomo”, in particolare nel primo capitolo, è possibile quasi sovrapporre atmosfere dantesche a quelle del lager.

Ad esempio:

Dante : vv." Noi ricidemmo il cerchio a l'altra riva /sovr'una fonte che bolle e riversa/per un fossato che da lei deriva/ L'acqua era buia assai piu che persa/e noi , in compagnia de l'onde bige,/intrammo giù per una via diversa./In la palude va c'ha nome Stige /questo tristo ruscel, quand'è disceso/al piè de le maligne piagge grige./E io , che di mirare stava inteso,/vidi genti fangose in quel pantano,/ignude tutte , con sembiate offeso./Queste si percotean non pur con mano,/ma con la testa e col petto e coi piedi,/troncandosi co'denti a brano a brano".

Levi: "Siamo scesi , ci hanno fatto entrare in una camera vasta e nuda, debolmente riscaldata. Che sete abbiamo!! Il debole fruscio dell'acqua nei radiatori ci rende feroci: sono quattro giorni che non beviamo. Eppure c'è un rubinetto : sopra c'è un cartello, che dice che è proibito bere perchè l'acqua è inquinata. Sciocchezze, a me pare ovvio che il cartello è un beffa, "essi" sanno che noi moriamo di sete , e ci mettono in una camera e c'è un rubinetto, e WASSERTRINKEN VERBOTEN. Io bevo , e incito i compagni a farlo; ma devo sputare, l'acqua è tiepida e dolciastra , ha odore di palude".

Come per Dante "L'acqua era buia" anche per Levi "L'acqua era imbevibile tiepida e dolciastra".

L’esperienza di Levi deve insegnare alle nuove generazioni come nella vita tutti attraversiamo un momento di oscurità per la perdita di una persona cara , per il venir meno degli affetti , o a causa della malattia, ma grazie alla letteratura, spesso studiata contro voglia negli anni del liceo, si può sopravvivere e trovare la forza per andare avanti.

Forse se Levi non avesse mai studiato Dante, non sarebbe riuscito a rielaborare la sua devastante esperienza, e a farla rivivere così intensamente nella sua opera. In un certo senso la letteratura "l'ha salvato" perché lo ha aiutato a mantenere il ricordo.



Istituto “Colomba Antonietti” III R - De Angelis Sara e D’Andrea Michela anni 17









INTRODUZIONE



In occasione della Giornata della memoria, affinché si possa riflettere a fondo su fatti che hanno cambiato il volto della nostra storia e delle persone che ne hanno preso parte, abbiamo deciso di evidenziare alcuni brani significativi tratti dal libro “Se questo è un uomo” scritto da Primo Levi, nel 1947, in occasione del suo ritorno da Auschwitz. Una straordinaria testimonianza sull'inferno dei Lager, sulle umiliazioni, le atrocità, i soprusi e la morte che gli uomini sono stati costretti ad affrontare.



Da “Se questo è un uomo”



• Non c'è ove specchiarsi, ma il nostro aspetto ci sta dinanzi, riflesso in cento visi lividi, in cento pupazzi miserabili e sordidi. Eccoci trasformati nei fantasmi intravisti ieri sera. Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c'è, e non è pensabile. Nulla è più nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. […] Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso; tale quindi, che i potrà a cuor leggero decidere della sua vita o morte al di fuori di ogni senso di affinità umana; nel caso più fortunato, in base ad un puro giudizio di utilità. Si comprenderà allora il duplice significato del termine << Campo di annientamento >> e sarà chiaro che cosa intendiamo esprimere con questa frase: giacere sul fondo.



• Eccomi dunque sul fondo, a dare un colpo di spugna al passato e al futuro si impara presto, se il bisogno preme. Dopo quindici giorni dall'ingresso, […] già ho imparato a non lasciarmi derubare, e se anzi trovo in giro un cucchiaio, uno spago, un bottone di cui mi possa appropriare senza pericolo di punizione, li intasco e li considero miei di pieno diritto. Già mi sono apparse le piaghe torpide che non guariranno. Spingo vagoni, lavoro di pala, mi fiacco alla pioggia, tremo al vento; già il mio stesso corpo non è più mio: ho il ventre gonfio e le membra stecchite, il viso tumido al mattino e incavato a sera; qualcuno fra noi ha la pelle gialla, qualche altro grigia: quando non ci vediamo per tre o quattro giorni, stentiamo a riconoscerci l'un l'altro.





• Avevamo deciso di trovarci, noi italiani, ogni domenica sera in un angolo del Lager; ma abbiamo subito smesso, perchè era troppo triste contarci, e trovarci ogni volta più pochi, e più deformi, e più squallidi. Ed era così faticoso fare quei pochi passi: e poi a ritrovarsi, accadeva di ricordare e di pensare, ed era meglio non farlo.



• A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che <>. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all'origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, allora al termine della catena, sta il Lager.



• Guai a sognare: il momento di coscienza che accompagna il risveglio è la sofferenza più acuta. Ma non ci capita sovente, e non sono lunghi sogni: noi non siamo che bestie stanche.



• A Lorenzo debbo di essere vivo oggi; e non tanto per il suo aiuto materiale, quanto per avermi costantemente rammentato, con la sua presenza, con il suo modo così piano e facile di essere buono, che ancora esisteva un mondo giusto al di fuori del nostro, qualcosa e qualcuno di ancora puro e intero, di non corrotto e selvaggio, estraneo all'odio e alla paura […] Lorenzo era un uomo; la sua umanità era pura e incontaminata, egli era al di fuori di questo mondo di negazione. Grazie a Lorenzo mi è accaduto di non dimenticare di essere io stesso un uomo.



• L'anno scorso a quest'ora io ero un uomo libero […] Della mia vita di allora non mi resta oggi che quanto basta per soffrire la fame e il freddo; non sono più abbastanza vivo per sapermi sopprimere.



COMMENTO



Abbiamo scelto in particolare queste frasi perché ci sembravano le più significative per comprendere al meglio le dure e sofferte vicende di vita all'interno dei Lager nazisti, dove migliaia di persone sono state costrette a vivere momenti atroci. Leggere questi brani ci aiuta a renderci conto del significato del termine “Giacere sul Fondo”; ci fa capire i sentimenti e le angosce di tutte quelle persone che si sono ritrovate immerse in quell'inferno di dolore, rendendosi conto che la loro esistenza era oramai nella mani di un terribile destino che li avrebbe condotti alla morte o ad un passo dalla morte, verso una strada senza più via d'uscita.



Da “Se questo è un uomo”



• Qualcuno molto tempo fa, ha scritto che anche i libri, come gli esseri umani, hanno un loro destino, imprevedibile, diverso da quello che per loro si desiderava e si attendeva. Anche questo libro ha avuto uno strano destino. […] era talmente forte in noi il bisogno di raccontare, che il libro avevo incominciato a scriverlo là, in quel laboratorio tedesco pieno di gelo, di guerra e di sguardi indiscreti, benché sapessi che non avrei potuto in alcun modo conservare quegli appunti scarabocchiati alla meglio, che avrei dovuto buttarli via subito, perchè se mi fossero stati trovati addosso mi sarebbero costati la vita. Ma ho scritto il libro non appena sono tornato, nel giro di pochi mesi: tanto quei ricordi mi bruciavano dentro.



• In campo, alla sera e al mattino, nulla mi distingue dal gregge, ma di giorno, al lavoro, io sto al coperto e al caldo, e nessuno mi picchia; rubo e vendo sapone e benzina, senza serio rischio, e forse avrò un buono per le scarpe di cuoio. Inoltre si può chiamare lavoro questo mio? […] sto seduto tutto il giorno ho un quadernetto e una matita, e mi hanno perfino dato un libro per rinfrescarmi la memoria sui metodi analitici. […] i compagni del Kommando mi invidiano, e hanno ragione; non dovrei forse essere contento? Ma non appena, al mattino, io mi sottraggo alla rabbia del vento e varco la soglia del laboratorio, ecco al mio fianco la compagna di tutti i momenti di tregua, del Ka-Be e delle domeniche di riposo: la pena di ricordarsi, il vecchio feroce struggimento di sentirsi uomo, che mi assalta come un cane all'istante in cui la coscienza esce dal buio. Allora prendo la matita e il quaderno, e scrivo quello che non saprei dire a nessuno.



COMMENTO



Abbiamo evidenziato queste frasi relative al tema della scrittura perchè ci permettono di scoprire come sia importante per tutti gli uomini riuscire ad esprimere, attraverso la scrittura, i propri sentimenti e raccontare il dolore, i pensieri di momenti difficili, lasciare impresse in un foglio bianco tutte le atrocità di cui sono stati vittime. Scrivere è uno strumento fondamentale, come afferma Levi, che permette all'uomo di liberarsi dal peso di un dolore che lo opprime e permette soprattutto di riportare alla luce ricordi incancellabili del nostro passato affinchè chi li leggerà in un futuro si renda conto che gli errori commessi in passato non devono più ripetersi nel futuro.



Alunni classe V S

Liceo scientifico tecnologico

















I PRIGIONIERI: PECCATORI CONTRO LA PATRIA?




Di Massimo Coltrinari



La prigionia di guerra costituisce un'esperienza che ha toccato, all'indomani della prima e della seconda guerra mondiale , oltre due milioni di soldati italiani. Per ragioni complesse, recondite e spesso inconfessabili, di questa esperienza di massa ci si è voluti molto spesso dimenticare: All'indomani della vittoria di Vittorio Veneto, nel tripudio della stessa, di tutto si parlò meno degli oltre 600.000 soldati italiani (di cui 100.000 morti) prigionieri.

Nella monumentale bibliografia dedicata al primo conflitto mondiale, da parte non solo italiana, le opere inerenti completamente alla prigionia si contano sulla punta delle dita. Si possono citare, ad esempio, di Carlo Emilio Gadda "Giornale di Guerra e di Prigionia" (Einaudi Torino, 1965) e "Taccuino di Caporetto: Dia di Guerra e Prigionia" (Garzanti, Milano 1991). Pubblicazioni sicuramente dovute alla fama dell'Autore, più che ad un reale interesse per la materia.

La stessa Relazione ufficiale dello Stato Maggiore dell'Esercito - Ufficio Storico, dedica alla prigionia pagine interessanti, ma non approfondite. Le altre opere, tutte edite prima del 1940, sono in tino minore, dimesso, quasi che i prigionieri non avessero il coraggio o l'ardire di raccontare le loro vicende e disavventure.

Occorre rilevare che i fascismo non aveva alcuna interesse a parlare di vicende e situazioni che andavano contro la sua retorica ufficiale.

Stesso atteggiamento all'indomani della conclusione del secondo conflitto mondiale. In pieno disastro morale e materiale, nella problematica e ferita società italiana della metà degli anni quaranta, pochi avevano interesse e voglia di interessarsi dei problemi e delle vicende della prigionia militare italiana: In più vi era l'orrore della scoperta dell'altra tragedia consimile, quella dell'Internamento in Germania, inserita in quell'enorme vergogna che è l'Olocausto e lo sterminio di massa. Anche nel secondo dopoguerra, quindi, in fretta si cercò di dimenticare le vicende della prigionia.

Eppure, la vicenda della prigionia interessa oltre due milioni di soldati italiani, una massa di uomini che dovrebbero attirare l'interesse di studiosi e storici. A fronte d ciò occorre rilevare che nei paesi anglosassoni e in Francia il prigioniero di guerra è tenuto nella massima considerazione. In pratica esso è considerato un soldato sfortunato, che però nella difficile vita di cattività ha contribuito a servire il suo Paese. Basti ricordare il film "Il ponte sul fiume Kway" per comprendere questo assioma.

In Italia, invece, nulla di tutto questo. L'origine di tale atteggiamento può essere trovata nella formazione di uno stato Unitario Italiano.

Chiamato questo Sttao alla difficilissima prova della prima guerra mondiale, Che è bene dirlo fino alla vigilia di Caporetto si hanno oltre 70.000 disertori, molte difficoltà di amalgama e di senso civico vennero a nudo. Una di queste era la profonda sfiducia (per lo più ingiustificata) che i vertici politico-militari ed i comandanti nutrivano verso i loro soldati. Nel dover affrontare le dure prove del combattimento, questi comandanti erano ossessionati dall'idea che i soldati, di fronte al pericolo, disertassero o si arrendessero troppo facilmente. Nell'accezione generale dei nostri comandanti della prima guerra mondiale, i prigionieri erano considerati dei vili, dei pessimi soldati, quasi assimilabili ai disertori.

Nonostante azioni di alto valore, si ebbero 600.000 prigionieri di cui almeno 300.000 per effetto della ritirata al Piave: Fu una prigionia dura, ma nell'alveo delle norme internazionali allora in vigore, marcata a fondo da una fame crescente, ciò non fu voluto dagli austro-ungarici detentori dei nostri prigionieri, ma dalla carenza dei rifornimenti.

La fame , che fu patita in misura uguale dalla stessa popolazione austriaca, fu, per i soldati prigionieri, disperata. Il risultato di questa situazione fu l'altissima mortalità: oltre 100.000 uomini morirono dietro i reticolati.

E' una cifra, come tutte quelle riferite alla prigionia della prima guerra mondiale, tenuta per anni accuratamente nascosta. Questa cifra non entra nemmeno nel calcolo generale delle eprdite italiane del conflitto. Infatti tutte le fonti portarono solo il numero dei morti italiani (oltre 600.000) avuti in combattimento e per cause di combattimento.

Per sottolineare il diverso approccio, rispetto a noi italiani, che gli anglo-francesi avevano verso i prigionieri, occorre dire che le Autorità sia di Francia che di Gran Bretagna organizzavano un regolare invio di treni carichi di viveri per i loro prigionieri in Germania. Il risultato fu che su un totale di 600.000 prigionieri anglo-francesi 8numero uguale a quello degli italiani) i loro morti furono "solo" 20.000.

Le Autorità italiane, sia politiche che militari, rifiutarono categoricamente di organizzare l'invio di viveri, attraverso la Svizzera, per i nostri prigionieri: Si era quasi soddisfatti che il nemico lasciasse morire di fame i nostri soldati: che tale voce si spargesse tra le trincee, affinchè tutti i combattenti si convincessero che era poco conveniente arrendersi o darsi prigionieri.

I risultati, come detto, furono 100.000 morti (un prigioniero su sei), mentre la mortalità fu minore fra gli ufficiali (500 su 19.500), in quanto potevano ricevere pacchi dalle famiglie e non erano obbligati al lavoro.

Un'altra considerazione: 600.000 furono gli internati militari italiani nel periodo'43 - '45, e tutti conosciamo le tragiche e inumane condizioni in cui furono tenuti. Ebbene tra loro si ebbero in totale circa 50.000 morti, ma molti di meno, di quelli della prima guerra mondiale.

Tutto questo era causato dalla convinzione delle nostre Autorità che la prigionia fosse una vergogna, un disonore, una viltà, se non un vero e proprio tradimento.

Ed il vate, colui che fu il primo propagandista della grande guerra, quel Gabriele D'Annunzio che nel bene e nel male, tanto incise nel nostro tessuto sociale, chiamava i prigionieri, condannandoli al disprezzo, "i soldati italiani sventurati e svergognati", una genia "che aveva peccato contro la Patria".

Questa idea si è tanto bene radicata nel nostro paese, che è ben facile comprendere il disinteresse con cui furono trattati i prigionieri italiani della prima e della seconda guerra mondiale.

Non può sorprendere pertanto la scarsezza degli studi sulla prigionia e sulle vicende , spesso drammatiche, ad essa collegate . del resto tutto questo è stato alimentato dall'ultima "scelta" dei protagonisti: il prigioniero non vuole raccontare la sua esperienza.

Quale udienza ed ascolto, peraltro, può avere chi era considerato un peccatore contro la Patria.

Con questa noto vogliamo avviare una serie di articoli sul tema della prigionia, andando un po’ contro corrente nella speranza di dare un contributo per invertire la tendenza in atto.