sabato 25 maggio 2013
La resistenza a Roma. il dramma delle Fosse Ardeatine
23 marzo 1943, Via
Rasella
Intervista a Mario
Fiorentini e Lucia Ottobrini
di Osvaldo Biribicchi
Il Professore Mario Fiorentini è
stato uno dei protagonisti dell'atto di guerra condotto il 23 marzo 1943 a
Roma, in via Rasella, dai GAP centrali contro una compagnia del Battaglione SS “BOZEN”.
L'attacco rientrava nella più vasta campagna di lotta posta in essere dalla
Resistenza romana all'indomani dell'8 settembre 1943 ed intensificata dopo lo
sbarco degli Alleati, il 24 gennaio 1944, nel tratto di costa laziale a sud di
Roma, tra Nettuno e Torvaianica. Gli anglo-americani, che secondo i piani del
Generale Clark avrebbero dovuto raggiungere Roma in pochi giorni, furono invece
inchiodati sulle spiagge e sul punto di essere rigettati in mare dai tedeschi
del Generale Kesselring e da alcuni reparti italiani della Repubblica Sociale.
Gli Alleati sarebbero entrati a Roma il 4 giugno 1944, quattro mesi dopo il
cosiddetto sbarco di Anzio e due giorni prima dello sbarco in Normandia. In
quel difficile frangente, al fine di alleggerire la pressione militare
esercitata dai tedeschi partigiani ricevettero l'ordine di colpire duramente i
tedeschi dietro le linee. E i partigiani, in quei quattro mesi, misero in atto
centinaia di azioni di guerriglia sia nei centri laziali sia nelle campagne e montagne
laziali. L'attacco di via Rasella si inseriva dunque in questo contesto.
Ho chiesto al Professor Mario
Fiorentini di illustrare la preparazione di quell'azione di guerriglia urbana
contro un reparto di SS, specializzato nei rastrellamenti di uomini da inviare
in Germania come forza lavoro, sulla scelta della data, sul numero di gappisti,
uomini e donne, che parteciparono all'azione. La nostra conversazione inizia
proprio in via Rasella, all'incrocio con via delle Quattro Fontane.
Professore, i GAP centrali
operavano nel cuore di una Roma occupata dai tedeschi. Può dirmi quali effetti
le azioni di guerriglia producevano nei nazisti e nella popolazione?
“Le azioni dei GAP centrali
impressionavano, avevano un grosso impatto sia sul piano militare sia su quello
politico e psicologico perché avvenivano nel centro della città, dove i
tedeschi si sentivano più sicuri, non nella periferia o lungo le strade
consolari dove gli attacchi, portati da altre formazioni partigiane, erano dati
per scontati o, quantomeno, più probabili. Tra i compiti dei GAP, oltre a
quelli di creare insicurezza nelle retrovie tedesche ed alleggerire la
pressione militare sul fronte di Anzio dove gli Alleati stavano per essere
ricacciati in mare, c'era anche quello di liberare la popolazione dal terrore
dei nazisti che impunemente usavano le armi per intimidire o, peggio,
rastrellare inermi lavoratori ed inviarli in Germania. Far vedere che non erano
invincibili.
Quante azioni avete compiuto
nei nove mesi di occupazione nazista a Roma?
Ne abbiamo compiute una grande
quantità, di ogni tipo, contro i nazisti ed i fascisti, anche se a me non piace
parlare di quelle contro i fascisti. Potrebbe sembrare strano, ma le azioni
contro i fascisti le ho vissute con una certa angoscia, forse per una sorta di
nazionalismo, mentre contro i tedeschi no.
C'è un'azione, a parte quella
di via Rasella, che ricorda in modo particolare?
L'azione contro la caserma in
via Giulio Cesare, nel quartieri Prati, dove fu uccisa la Gullace. Noi
contrattaccammo, fu un'azione spettacolare. Davanti alla caserma si erano
riunite centinaia di donne che volevano la liberazione dei loro uomini,
rastrellati dai nazisti. Rimasi impressionato dal fatto che le manifestanti
erano donne di tutte le fasce sociali: popolane provenienti dai quartieri
poveri e signore della borghesia romana, intellettuali e ballerine. L'azione,
inoltre, fu importante in quanto sancì la saldatura tra i GAP centrali ed i GAP
di zona.
Quanti e quali obiettivi da
colpire avevate in programma?
Complessivamente avevamo
pianificato di colpire più obiettivi. Al primo posto stavano le carceri, quello
di via Tasso, in particolare. Quest'ultimo, però, era un obiettivo
difficilissimo. L'azione l'abbiamo studiata a lungo, per settimane e settimane,
il doppio di quella di via Rasella; più volte siamo stati sul punto di
attaccarlo e ogni volta abbiamo dovuto desistere per la mancanza delle
condizioni idonee.
Perché il 23
marzo?
“Il 23 marzo, quando abbiamo
attaccato a via Rasella, c'erano sul terreno tre azioni importanti. Quella data
era molto importante per i fascisti perché ricorreva l'anniversario della
fondazione dei Fasci di Combattimento. In occasione di tale ricorrenza, le
autorità fasciste della Repubblica Sociale organizzarono una manifestazione a
Piazza Cavour. Noi dei GAP centrali decidemmo di sfidare apertamente,
audacemente i fascisti in occasione del loro raduno, per far intendere loro che
non li temevamo; volevamo castigarli. Preparai un piano di attacco. L'azione
avrebbe avuto un significato prevalentemente dimostrativo. All'ultimo momento i
fascisti, probabilmente su consiglio dei tedeschi, decisero di spostare la
manifestazione in via Veneto, all'interno del Palazzo delle Corporazioni, una
fortezza imprendibile. Fummo costretti pertanto a modificare il nostro
obiettivo. Ne studiammo altri alternativi. La scelta cadde su via Rasella ove,
di norma, anche se non tutti i giorni, transitava a piedi una compagnia del
Battaglione SS “Bozen” di 165 uomini.
Chi ha avuto
l'idea di colpire i tedeschi che passavano per via Rasella?
Io. Dalla finestra della mia
stanza vedevo passare la colonna della polizia tedesca. Eravamo in sette: due
donne, Lucia Ottobrini e Marina Cossu, e cinque uomini. Preparai l'attacco che
avrebbe dovuto svolgersi in via delle Quattro Fontane; attaccare i tedeschi o
meglio gli austriaci appena uscivano da via Rasella e svoltavano a destra, ma
Salinari venne da me e mi disse che non dovevamo attaccare in Via delle Quattro
Fontane.
Che cosa è
stato l'attacco partigiano di via Rasella?
L'attacco partigiano di via
Rasella è stata una battaglia a cui hanno partecipato una ventina di persone.
Rosario Bentivegna ne ha indicate quindici-venti; lui però non conosceva
l'intera pianificazione, lui aveva il suo compito da portare a termine. Una squadra
comandata da Francesco Curreli, un sardo antifascista, attaccò con bombe da
mortaio brixia modificate; in precedenza avevamo svitato i cappucci delle
brixia ed inserito della balistite, quindi sapevamo esattamente quanto tempo
avrebbero messo ad esplodere. Dopo l'attacco, alcuni si sarebbero ritirati nel
tunnel, altri in via del Lavatore. Fu un'azione orchestrata molto bene. Le
squadre entrarono in azione dopo
l'esplosione della bomba nel carretto della spazzatura.
Il piano originale non
prevedeva il carretto ma due cassette, una in alto ed una in basso. Io e Lucia
avremmo acceso la cassetta più alta in prossimità di via delle Quattro Fontane,
poi saremmo fuggiti verso Santa Maria Maggiore. Marisa Mussu ed Ernesto
Borghesi avrebbero acceso la cassetta in basso. La dinamica dell'azione è stata
questa: prima l'esplosione del carretto, poi l'esplosione della cassetta in
basso a sud del carretto, subito dopo l'attacco dalle vie laterali con le bombe
brixia e, infine, l'esplosione della cassetta in alto per inviluppare la
colonna tedesca in una serie di esplosioni che avrebbe disorientato i tedeschi.
In un primo momento, questi pensarono di essere stati attaccati dalle finestre
dei palazzi. Successivamente, pensarono di essere stati attaccati da mortai, poi
credettero che l'attacco fosse stato lanciato da una piccola caserma di
fascisti, che allora si trovava in via Rasella. Dopo la battaglia, la strada si
presentò piena di cadaveri e feriti, i palazzi circostanti ricoperti di fori
provocati dai proiettili e dalle schegge delle bombe. I tedeschi furono
imbottigliati nella via. L'azione andò oltre le previsioni.
Kappler trovò 33 morti,
frammenti di bombe da mortaio. Per molto tempo, credette di essere stato
attaccato con i mortai; andò anche al Quirinale a cercarli. Naturalmente non
c'erano. Fu Caruso, il Questore di Roma, a dire a Kappler che i mortai non
c'entravano nulla, che erano stati dei giovani, ragazzi e ragazze, a portare
l'attacco alla colonna di SS. A Caruso l'informazione era arrivata da un certo Guglielmo,
uno che aveva tradito. Lucia era stata a casa di Guglielmo più volte, durante i
continui spostamenti per non farsi sorprendere dai nazisti, ne aveva conosciuto
la moglie ed i figli. Kappler, fino a
quel momento, non aveva mai lontanamente pensato alla presenza di ragazze;
invece c'era Maria Teresa Regard, che era stata nel carcere di via Tasso con
Don Pietro Pappagallo, c'era Carla Capponi, c'erano Lucia Ottobrini e Marisa
Mussu. Il comandante delle SS andò su tutte le furie quando seppe poi che Lucia
Ottobrini (nome di battaglia Maria) era di lingua tedesca.
Lucia, che parlava e parla
tedesco, fece decine di missioni infiltrandosi tra i tedeschi, acquisendo
informazioni di prima mano.
Ci troviamo nell'appartamento
di Mario Fiorentini. Gli chiedo di dirmi dove nascondesse le armi.
Questo appartamento, che ho
ereditato da mia madre, era di proprietà della sorella di mia madre, mia zia.
In quel periodo cambiavo continuamente posto, andavo da una casa all'altra. Uno
dei miei rifugi era qui; il salone in cui ora ci troviamo non era così grande,
era suddiviso in stanzette separate. C'era una piccola stanzetta dove io avevo
un lettino, avevo i libri e sotto il lettino avevo le bombe brixia, avevo le
armi.
Cosa successe, dunque?
Successe che l'esplosione ebbe
degli effetti che noi non avevamo previsto. L'immane esplosione fece esplodere
le bombe che i tedeschi portavano indosso, due a testa; ebbe un effetto
superiore a quello che immaginavamo; andò tutto storto. La tradizione diceva
che il reparto attaccato avrebbe dovuto fare la rappresaglia. Il comandante,
invece, un austriaco cattolico si rifiutò. Non se la sentì; avrebbe voluto
prima far confessare quelli da passare per le armi, inviare dei preti a
confessare i condannati. Questo paradossalmente fu una disgrazia, perché se
avesse accettato non sarebbe stato in grado tecnicamente di farla nelle 24 ore
successive all'attacco, come poi invece fece Kappler, il quale prese in mano la
situazione e con una determinazione e ferocia diaboliche portò a termine la
rappresaglia con inusitata rapidità il giorno successivo. Nel suo diario,
Franco Calamandrei racconta che il 17 ci siamo riuniti con Salinari (Spartaco)
per attaccare il 18. Quel giorno però la colonna tedesca non passò; il 19 lo
stesso; i tedeschi passarono il 20 (non è vero che passavano tutti i giorni).
Questo è scritto anche nel diario di Zazà (Rosario Bentivegna). Io ero
contrario all'azione con il carretto però le cassette non erano pronte, perché
non doveva vedersi il fumo che usciva dopo l'accensione della miccia. L'azione
prevista per il 23 marzo, ricorrenza della rivoluzione fascista, era stata
concepita, come detto, per colpire i fascisti che avevano portato la guerra,
per vendetta contro i nazisti. C'è un aspetto, inoltre, a cui sono molto interessato
ovvero all'uso strumentale della storia. Ci sono due interpretazioni: la prima
dice che il Battaglione “Bozen” era formato da riservisti, truppe stanziali non
combattenti, poco importante. La seconda sostiene, invece, che l'azione di via Rasella ha comportato meno
vittime di quelle che il Battaglione avrebbe provocato se non fosse stato
neutralizzato. Inoltre, in quel periodo, a Roma era stato inviato dal Nord il
Battaglione “Barbarigo”, da impiegare sul fronte di Anzio.
Il 10 marzo, anniversario della
morte di Mazzini, attaccammo il Battaglione “Onore e Combattimento” in via
Tomacelli. Questi tre attacchi avevano dato un segnale importante, a seguito
dei quali i tedeschi avevano desistito dall'organizzare una difesa nella città
di Roma, che avrebbe portato lutti e distruzione.
Cosa avete fatto dopo
l'attacco e quando avete saputo dell'intenzione tedesca di compiere la
rappresaglia?
Subito dopo l'azione fuggimmo e ci nascondemmo. I
tedeschi erano furibondi. Dal punto di vista militare, il durissimo attacco
subito nel cuore di Roma fu uno smacco umiliante, mai accaduto prima nelle
città dell'Europa occupata. Il giorno dopo, mentre noi eravamo ancora nascosti,
seguì la fulminea tremenda rappresaglia tedesca alle Fosse Ardeatine, ove
vennero trucidate 335 persone di età compresa fra i 14 ed i 75 anni. Fra questi
vi erano anche miei amici. Noi sapemmo della rappresaglia solo dopo
l'esecuzione della stessa. Dopo l'azione di via Rasella, io e Lucia, ricercati
dai nazisti, venimmo inviati dalla giunta militare del CLN a dirigere le
operazioni nella zona di Tivoli e Castelmadama.
(post su www.storiainlaboratorio.blogspot.com. per informazioni:studentiecultori2009@libero.it)
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