(a cura di Chiara Masrantonio)
REPUBBLICA ITALIANA TELESPRESSO
N.00734/11
MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
Indirizzato a
MINISTERO DELLA GUERRA
D.G.A.P. -
Uff. IV° Gabinetto
Roma, lì 11 gennaio 1947
ROMA
OGGETTO: Prigionieri italiani in Russia.
Riferimento nota di codesto Ministero n.230707/II del 13
dicembre
u.s. e n.231510/II del 26 dicembre u.s.
Con riferimento alle note suindicate si trasmette per opportuna
conoscenza, quanto riferisce l’Incaricato d’Affari a Mosca in data 4 dicembre
u.s. sull’argomento in oggetto.
Per quanto concerne il punto 4 del rapporto allegato della
nostra Ambasciata a Mosca, questo Ministero, in relazione al foglio di codesto
n.231510/II del 26 dicembre, insiste tramite l’Ambasciata stessa, per ottenere
i nominativi dei militari che da parte sovietica vengono considerati come
“criminali di guerra”, e in pari tempo invia alla stessa Ambasciata l’elenco
dei 34 prigionieri di guerra che codesto Ministero considera per certo tuttora
trattenuti nell’URSS, allo scopo di verificare possibilmente se nel novero di
questi ultimi vi siano alcuni dei cosidetti “criminali di guerra”.
Si desidera in pari tempo attirare l’attenzione di codesto
Dicastero sull’elenco degli scaglioni di prigionieri italiani che sarebbero
stati rimpatriati, fornito dalle Autorità Sovietiche (allegato n.3) ritenendo
necessario interpellare le diverse Autorità straniere che hanno preso in
consegna i differenti scaglioni allo scopo di confrontare i dati in loro
possesso con quelli comunicati dal Governo sovietico.
A tale scopo, mentre l’Ufficio scrivente provvede direttamente
ad interpellare, per il tramite delle nostre Rappresentanze all’estero, le
Autorità romene, austriache e germaniche che hanno preso in consegna dei gruppi
di prigionieri – secondo quanto afferma il Ministero degli Esteri sovietico –
si ritiene opportuno che codesto Ministero, essendo già in contatto con le
Autorità Militari Alleate, provveda a chiedere ad esse i dati relativi agli
scaglioni di prigionieri italiani provenienti dall’URSS, presi in consegna da
ufficiali delle Forze Armate anglo-americane.
Si gradirà conoscere l’avviso di codesto Ministero al riguardo.
IL SEGRETARIO GENERALE
RISERVATO
AMBASCIATA D’ITALIA Allegato
n. 1
n.2581/1360
Mosca, 4 dicembre 1946
Oggetto: Prigionieri di guerra italiani
Ho l’onore di trasmettere
la traduzione di una nota verbale, con la quale questo Ministero degli Affari
Esteri comunica che il rimpatrio dei prigionieri di guerra italiani dall’URSS è
stato ultimato nell’agosto u.s.
La nota conferma la
dichiarazione già fatta, al principio del mese di novembre, dal Capo
dell’Ufficio Italia; e, in più, dopo avere ricordato che il rimpatrio è
avvenuto d’iniziativa del Governo sovietico per manifestare la sua benevolenza
al Governo italiano, dà un elenco numerico degli scaglioni di ex prigionieri
rimpatriati, con le relative indicazioni della data, luogo e delle autorità,
cui ogni gruppo è stato consegnato.
Con questo passo il
Governo Sovietico vuol farci capire che esso considera definitivamente chiusa
la questione dei nostri prigionieri di guerra. Ed anzi, nel tono un po’ secco e
burocratico di qualche frase, specie nel primo capoverso, mi sembra di vedere
trasparire malcelato fastidio, se non addirittura irritazione, per le
“delusioni” cui ha dato luogo in questi ambienti l’iniziativa ricordata nella
nota sovietica.
Sono conosciuti i termini
della questione. Da un lato il Governo Sovietico nell’agosto del 1945,
approfittando della presenza a Mosca di una delegazione sindacale italiana
presieduta dall’On.le Di Vittorio, diede l’annuncio di voler rimpatriare i
nostri prigionieri di guerra, complessivamente circa 21.000 uomini.
Dall’altro l’opinione
pubblica italiana, anziché accogliere con entusiasmo questo “atto di
benevolenza”, come si attendevano i dirigenti sovietici, rimane profondamente
turbata per lo scarso numero dei prigionieri denunciato da Mosca in confronto
degli 80-100 mila uomini che il nostro Comando aveva dato a suo tempo come
dispersi nella campagna di Russia. In vari ambienti italiani sorse l’angoscioso
dubbio che, oltre al numero denunciato ufficialmente, vi fossero nell’URSS
migliaia e migliaia di prigionieri che il governo sovietico non intendeva
restituire.
Non vi è dubbio che da
parte di alcuni giornali e gruppi politici italiani si soffiò nel fuoco a scopi
di propaganda anti-comunista e anti-sovietica. Ma è altrettando evidente che i
dirigenti di questo Paese non si resero conto come, al di fuori degli intrighi
interessati di certi partiti politici, il turbamento e l’angoscia dell’opinione
pubblica italiana erano una manifestazione spontanea, e come la responsabilità di
tutto ciò doveva imputarsi proprio alle stesse autorità sovietiche, per quel
velo di mistero che avevano lasciato sorgere attorno al problema dei
prigionieri, sia durante la guerra – rifiutandosi allo scambio delle notizie
attraverso la Croce Rossa Internazionale, sia – dopo l’armistizio –
rifiutandosi di dare gli elenchi dei prigionieri, e ponendo dilazioni e ritardi
di ogni genere alle richieste nominative sulla sorte dei prigionieri stessi.
L’Ambasciatore QUARONI,
ogni qualvolta qualche dirigente di questo Ministero degli Affari Esteri ha
manifestato il malcontento sovietico per l’”ingratitudine” italiana, non ha
mancato di chiarire ai suoi interlocutori i sentimenti e le reazioni della
nostra opinione pubblica.
Ma i sovietici non si
possono rendere conto di certe “sentimentalità” estranee al loro sistema. Tanto
è vero che il loro atteggiamento non è stato per nulla differente nei riguardi
dei prigionieri degli altri Stati ex-nemici come pure degli internati o
prigionieri alleati liberati dall’esercito rosso.
Francesi, olandesi, belgi
e perfino i britannici non ebbero mai la possibilità di visitare i campi ove si
potevano trovare loro connazionali “liberati”, di averne elenchi, ecc. Qualche
volta, come gli olandesi, se li videro consegnare da un giorno all’altro, senza
il minimo preavviso, dopo mesi e mesi che le loro autorità diplomatiche stavano
insistendo per averne almeno qualche notizia. Ancora recentemente mi risulta
che ex-prigionieri inglesi e francesi, provenienti da campi di concentramento
dislocati nell’interno del Paese, sono passati alla spicciolata, ma sotto buona
guardia, per Mosca diretti ad Odessa o ad altro porto d’imbarco; le loro
rispettive autorità diplomatiche non erano state preavvisate del loro passaggio
e, venutene casualmente a conoscenza, non riuscirono ad ottenere
l’autorizzazione di prendere con essi contatto, durante la breve sosta in una
delle stazioni di questa Capitale.
Si dice qui, e do
l’informazione per quello che può valere, che spesso molte famiglie russe non
hanno avuto notizia ufficiale della morte in combattimento dei loro cari; la
hanno dovuta solo presumere quando, al momento del congedamento delle classi,
non sono più tornati indietro.
Evidentemente le autorità
governative sovietiche, secondo tradizioni ereditate dal regime precedente, non
danno a questo fatto tutta l’importanza che esso riveste invece negli Stati
occidentali ove – durante la guerra – una delle più grandi preoccupazioni dei
governanti è stata appunto di organizzare il servizio delle notizie sui caduti
e sui prigionieri di guerra.
Non vi è dubbio – ripeto
– che in tutta la questione i russi non si siano ben resi conto di certi
sentimenti dell’opinione pubblica italiana. Ma bisogna pur dire che da noi la
gente si è lasciata trascinare fuori della realtà, e ha dato corpo a illusioni
e leggende del tutto inconsistenti.
La situazione mi sembra,
invece, debba essere definita nei seguenti punti:
1°) – la speranza che la
maggior parte degli 80-100mila uomini dati come dispersi dal nostro Comando,
fossero prigionieri dell’URSS, è stata smentita da quel poco che è affiorato
sulla nostra disastrosa ritirata, come ha già detto altra volta l’Ambasciatore
QUARONI. La Maggior parte di quei “dispersi” sono purtroppo caduti, o uccisi in
combattimento, o assiderati dal freddo nella ritirata, oppure stroncati dallo
stesso freddo e dalla fame nel primissimo periodo della prigionia, quando
fatalmente l’andamento della battaglia e la scarsa organizzazione di questo
servizio non permetteva ai comandi di prima linea dell’esercito rosso di
occuparsi dei prigionieri, che venivano fatti affluire nelle retrovie in
condizioni disperate.
2°) – Un secondo gruppo
di qualche migliaia di prigionieri, che erano rimasti vivi dopo le prime
settimane, sono deceduti nel corso della lunga prigionia per non aver potuto
resistere fisicamente al ripetersi dei duri inverni e alle privazioni loro
imposte.
Come è già stato riferito,
questa Ambasciata ha richiesto ripetutamente al Ministero degli Esteri
sovietico l’elenco dei nostri militari deceduti in prigionia. Non mi faccio
però molte illusioni in proposito. Anche se alla fine ci manderanno questi
elenchi, non saranno completi.
I campi di prigionieri
sono assai numerosi e dislocati in località, lontanissime l’una dall’altra, del
territorio sovietico; tenuto conto dell’esistente organizzazione burocratica, è
legittimo qualche dubbio che le autorità centrali riescono a raccogliere
notizie e dati che, concernendo prigionieri ormai scomparsi, non figurano certo
più nei documenti amministrativi dei vari campi.
Cito, ad esempio, il caso
del capitano Guido Giglioli fratello del Console Giglioli. Il Ministero degli
Affari Esteri dell’URSS ci aveva dato nel luglio scorso notizia ufficiale del
suo decesso. Ora dopo mesi e mesi di insistenti richieste da parte nostra, non
è ancora riuscito a procurarsi il certificato di morte. Eppure è da escludere
che vi sia un interesse qualsiasi a non consegnarci tale certificato, perché -
se per ipotesi questo interesse vi fosse stato – il Ministero non vi avrebbe
comunicato ufficialmente l’avvenuto decesso. La mancata consegna del documento
è in realtà da ascriversi a difficoltà d’ordine, e sarebbe forse il caso di
dire “disordine, amministrativo”.
3°) È da presumersi poi
che non meno di qualche centinaio di prigionieri, fuggiti dai campi o liberati
per una ragione o per un’altra, si trovino dispersi nel territorio sovietico,
magari accasati con donne locali. Essi difficilmente riusciranno o vorranno
dare notizie. Solo, sporadicamente ne rivedremo di tanto in tanto riaffiorare
qualcuno da questo immenso territorio, quando ragioni di necessità o di
nostalgia li spingeranno ad avvicinarsi all’ambasciata allo scopo di ottenere
sussidi o un appoggio per il rimpatrio.
4°) – Secondo la
dichiarazione fatta dal Capo Ufficio Italia, è stato trattenuto nell’URSS un
gruppo di criminali di guerra, di cui le autorità sovietiche ci daranno
l’elenco al termine del procedimento giudiziario che li riguarda. Si
tratterebbe solo di un gruppo di una trentina di persone.
5°) – Oltre ai militari
di cui al numero 3 e 4 e a quelli rimpatriati, si trovano ancora nostri
prigionieri in Russia?
In Italia si parla di
migliaia e diecine di migliaia. Qui si dice nel modo più reciso che non ce ne
sono più, ed anzi non si nasconde un vivo malumore per i dubbi affiorati nella
nostra stampa. Il tono delle comunicazioni e conversazioni ufficiali è assai
chiaro; particolarmente vibrata a questo riguardo la smentita Tass, di cui ho
riferito con telegramma odienrno n. 826.
Quale è la vera
situazione?
Premetto che non ho
elementi sicuri di giudizio, ma sono portato a credere che nostri militari si
trovino ancora nei vari campi di concentramento (e di lavoro obbligatorio),
dispersi fra prigionieri di altra nazionalità. È difficile azzardare
presunzioni sul numero di essi. Ma credo che, fino ad un certo punto, sia da
escludere la cattiva fede da parte sovietica. Mi spiego meglio: le Autorità
centrali sovietiche sanno certamente della presenza di questi nostri
prigionieri in Russia ma non sono riuscite a rintracciarli per provvedere al
loro rimpatrio. Si tratterebbe in altre parole di quei prigionieri “dispersi”,
della cui residenza attuale – come ha detto vagamente il Capo dell’Ufficio
Italia – le Autorità sovietiche non avrebbero notizie.
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