1866 QUATTRO BATTAGLIE PER IL VENETO

1866 QUATTRO BATTAGLIE PER IL VENETO
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1866 Il Combattimento di Londrone

ORDINE MILITARE D'ITALIA

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CAVALIERE DI GRAN CROCE

Collana Storia in Laboratorio

Il piano editoriale per il 1917 è pubblicato con post in data 12 novembre 2016

Per i volumi pubblicati accedere al catalogo della Società Editrice Nuova Cultura con il seguente percorso:
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.La collana Storia in Laboratorio 31 dicembre 2014

.La collana Storia in Laboratorio 31 dicembre 2014
Collana Storia in Laboratorio . Scorrendo il blog si trovano le indicazioni riportate sulla quarta di copertina di ogni volume. Ulteriori informazioni e notizie possono essere chieste a: ricerca23@libero.it

Testo Progetto Storia In Laboratorio

Il testo completo del Progetto Storia in Laboratorio è riportato su questo blog alla data del 10 gennaio 2009.

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La Collana Storia in Laboratorio al 31 dicembre 2011

La Collana Storia in Laboratorio al 31 dicembre 2011
Direttore della Collana: Massimo Coltrinari. (massimo.coltrinari@libero.it)
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sabato 20 febbraio 2021

Ricerca. Prigionieri italiani in Russia 11 gennaio 1947

 (a cura di Chiara Masrantonio)

REPUBBLICA ITALIANA                                                                                                          TELESPRESSO N.00734/11

MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI    

Indirizzato a

                MINISTERO DELLA GUERRA

D.G.A.P.               - Uff. IV°                                                                                                                            Gabinetto

 

Roma, lì 11 gennaio 1947

ROMA

OGGETTO: Prigionieri italiani in Russia.

 

Riferimento nota di codesto Ministero n.230707/II del 13 dicembre

u.s. e n.231510/II del 26 dicembre u.s.

 

 

Con riferimento alle note suindicate si trasmette per opportuna conoscenza, quanto riferisce l’Incaricato d’Affari a Mosca in data 4 dicembre u.s. sull’argomento in oggetto.

Per quanto concerne il punto 4 del rapporto allegato della nostra Ambasciata a Mosca, questo Ministero, in relazione al foglio di codesto n.231510/II del 26 dicembre, insiste tramite l’Ambasciata stessa, per ottenere i nominativi dei militari che da parte sovietica vengono considerati come “criminali di guerra”, e in pari tempo invia alla stessa Ambasciata l’elenco dei 34 prigionieri di guerra che codesto Ministero considera per certo tuttora trattenuti nell’URSS, allo scopo di verificare possibilmente se nel novero di questi ultimi vi siano alcuni dei cosidetti “criminali di guerra”.

Si desidera in pari tempo attirare l’attenzione di codesto Dicastero sull’elenco degli scaglioni di prigionieri italiani che sarebbero stati rimpatriati, fornito dalle Autorità Sovietiche (allegato n.3) ritenendo necessario interpellare le diverse Autorità straniere che hanno preso in consegna i differenti scaglioni allo scopo di confrontare i dati in loro possesso con quelli comunicati dal Governo sovietico.

A tale scopo, mentre l’Ufficio scrivente provvede direttamente ad interpellare, per il tramite delle nostre Rappresentanze all’estero, le Autorità romene, austriache e germaniche che hanno preso in consegna dei gruppi di prigionieri – secondo quanto afferma il Ministero degli Esteri sovietico – si ritiene opportuno che codesto Ministero, essendo già in contatto con le Autorità Militari Alleate, provveda a chiedere ad esse i dati relativi agli scaglioni di prigionieri italiani provenienti dall’URSS, presi in consegna da ufficiali delle Forze Armate anglo-americane.

Si gradirà conoscere l’avviso di codesto Ministero al riguardo.

 

IL SEGRETARIO GENERALE

 


 

RISERVATO

 

AMBASCIATA D’ITALIA                                                                                                                          Allegato n. 1

n.2581/1360

 

Mosca, 4 dicembre 1946

 

Oggetto: Prigionieri di guerra italiani

 

Ho l’onore di trasmettere la traduzione di una nota verbale, con la quale questo Ministero degli Affari Esteri comunica che il rimpatrio dei prigionieri di guerra italiani dall’URSS è stato ultimato nell’agosto u.s.

La nota conferma la dichiarazione già fatta, al principio del mese di novembre, dal Capo dell’Ufficio Italia; e, in più, dopo avere ricordato che il rimpatrio è avvenuto d’iniziativa del Governo sovietico per manifestare la sua benevolenza al Governo italiano, dà un elenco numerico degli scaglioni di ex prigionieri rimpatriati, con le relative indicazioni della data, luogo e delle autorità, cui ogni gruppo è stato consegnato.

Con questo passo il Governo Sovietico vuol farci capire che esso considera definitivamente chiusa la questione dei nostri prigionieri di guerra. Ed anzi, nel tono un po’ secco e burocratico di qualche frase, specie nel primo capoverso, mi sembra di vedere trasparire malcelato fastidio, se non addirittura irritazione, per le “delusioni” cui ha dato luogo in questi ambienti l’iniziativa ricordata nella nota sovietica.

Sono conosciuti i termini della questione. Da un lato il Governo Sovietico nell’agosto del 1945, approfittando della presenza a Mosca di una delegazione sindacale italiana presieduta dall’On.le Di Vittorio, diede l’annuncio di voler rimpatriare i nostri prigionieri di guerra, complessivamente circa 21.000 uomini.

Dall’altro l’opinione pubblica italiana, anziché accogliere con entusiasmo questo “atto di benevolenza”, come si attendevano i dirigenti sovietici, rimane profondamente turbata per lo scarso numero dei prigionieri denunciato da Mosca in confronto degli 80-100 mila uomini che il nostro Comando aveva dato a suo tempo come dispersi nella campagna di Russia. In vari ambienti italiani sorse l’angoscioso dubbio che, oltre al numero denunciato ufficialmente, vi fossero nell’URSS migliaia e migliaia di prigionieri che il governo sovietico non intendeva restituire.

Non vi è dubbio che da parte di alcuni giornali e gruppi politici italiani si soffiò nel fuoco a scopi di propaganda anti-comunista e anti-sovietica. Ma è altrettando evidente che i dirigenti di questo Paese non si resero conto come, al di fuori degli intrighi interessati di certi partiti politici, il turbamento e l’angoscia dell’opinione pubblica italiana erano una manifestazione spontanea, e come la responsabilità di tutto ciò doveva imputarsi proprio alle stesse autorità sovietiche, per quel velo di mistero che avevano lasciato sorgere attorno al problema dei prigionieri, sia durante la guerra – rifiutandosi allo scambio delle notizie attraverso la Croce Rossa Internazionale, sia – dopo l’armistizio – rifiutandosi di dare gli elenchi dei prigionieri, e ponendo dilazioni e ritardi di ogni genere alle richieste nominative sulla sorte dei prigionieri stessi.

L’Ambasciatore QUARONI, ogni qualvolta qualche dirigente di questo Ministero degli Affari Esteri ha manifestato il malcontento sovietico per l’”ingratitudine” italiana, non ha mancato di chiarire ai suoi interlocutori i sentimenti e le reazioni della nostra opinione pubblica.

Ma i sovietici non si possono rendere conto di certe “sentimentalità” estranee al loro sistema. Tanto è vero che il loro atteggiamento non è stato per nulla differente nei riguardi dei prigionieri degli altri Stati ex-nemici come pure degli internati o prigionieri alleati liberati dall’esercito rosso.

Francesi, olandesi, belgi e perfino i britannici non ebbero mai la possibilità di visitare i campi ove si potevano trovare loro connazionali “liberati”, di averne elenchi, ecc. Qualche volta, come gli olandesi, se li videro consegnare da un giorno all’altro, senza il minimo preavviso, dopo mesi e mesi che le loro autorità diplomatiche stavano insistendo per averne almeno qualche notizia. Ancora recentemente mi risulta che ex-prigionieri inglesi e francesi, provenienti da campi di concentramento dislocati nell’interno del Paese, sono passati alla spicciolata, ma sotto buona guardia, per Mosca diretti ad Odessa o ad altro porto d’imbarco; le loro rispettive autorità diplomatiche non erano state preavvisate del loro passaggio e, venutene casualmente a conoscenza, non riuscirono ad ottenere l’autorizzazione di prendere con essi contatto, durante la breve sosta in una delle stazioni di questa Capitale.

Si dice qui, e do l’informazione per quello che può valere, che spesso molte famiglie russe non hanno avuto notizia ufficiale della morte in combattimento dei loro cari; la hanno dovuta solo presumere quando, al momento del congedamento delle classi, non sono più tornati indietro.

Evidentemente le autorità governative sovietiche, secondo tradizioni ereditate dal regime precedente, non danno a questo fatto tutta l’importanza che esso riveste invece negli Stati occidentali ove – durante la guerra – una delle più grandi preoccupazioni dei governanti è stata appunto di organizzare il servizio delle notizie sui caduti e sui prigionieri di guerra.

Non vi è dubbio – ripeto – che in tutta la questione i russi non si siano ben resi conto di certi sentimenti dell’opinione pubblica italiana. Ma bisogna pur dire che da noi la gente si è lasciata trascinare fuori della realtà, e ha dato corpo a illusioni e leggende del tutto inconsistenti.

La situazione mi sembra, invece, debba essere definita nei seguenti punti:

 

1°) – la speranza che la maggior parte degli 80-100mila uomini dati come dispersi dal nostro Comando, fossero prigionieri dell’URSS, è stata smentita da quel poco che è affiorato sulla nostra disastrosa ritirata, come ha già detto altra volta l’Ambasciatore QUARONI. La Maggior parte di quei “dispersi” sono purtroppo caduti, o uccisi in combattimento, o assiderati dal freddo nella ritirata, oppure stroncati dallo stesso freddo e dalla fame nel primissimo periodo della prigionia, quando fatalmente l’andamento della battaglia e la scarsa organizzazione di questo servizio non permetteva ai comandi di prima linea dell’esercito rosso di occuparsi dei prigionieri, che venivano fatti affluire nelle retrovie in condizioni disperate.

 

2°) – Un secondo gruppo di qualche migliaia di prigionieri, che erano rimasti vivi dopo le prime settimane, sono deceduti nel corso della lunga prigionia per non aver potuto resistere fisicamente al ripetersi dei duri inverni e alle privazioni loro imposte.

Come è già stato riferito, questa Ambasciata ha richiesto ripetutamente al Ministero degli Esteri sovietico l’elenco dei nostri militari deceduti in prigionia. Non mi faccio però molte illusioni in proposito. Anche se alla fine ci manderanno questi elenchi, non saranno completi.

I campi di prigionieri sono assai numerosi e dislocati in località, lontanissime l’una dall’altra, del territorio sovietico; tenuto conto dell’esistente organizzazione burocratica, è legittimo qualche dubbio che le autorità centrali riescono a raccogliere notizie e dati che, concernendo prigionieri ormai scomparsi, non figurano certo più nei documenti amministrativi dei vari campi.

Cito, ad esempio, il caso del capitano Guido Giglioli fratello del Console Giglioli. Il Ministero degli Affari Esteri dell’URSS ci aveva dato nel luglio scorso notizia ufficiale del suo decesso. Ora dopo mesi e mesi di insistenti richieste da parte nostra, non è ancora riuscito a procurarsi il certificato di morte. Eppure è da escludere che vi sia un interesse qualsiasi a non consegnarci tale certificato, perché - se per ipotesi questo interesse vi fosse stato – il Ministero non vi avrebbe comunicato ufficialmente l’avvenuto decesso. La mancata consegna del documento è in realtà da ascriversi a difficoltà d’ordine, e sarebbe forse il caso di dire “disordine, amministrativo”.

 

3°) È da presumersi poi che non meno di qualche centinaio di prigionieri, fuggiti dai campi o liberati per una ragione o per un’altra, si trovino dispersi nel territorio sovietico, magari accasati con donne locali. Essi difficilmente riusciranno o vorranno dare notizie. Solo, sporadicamente ne rivedremo di tanto in tanto riaffiorare qualcuno da questo immenso territorio, quando ragioni di necessità o di nostalgia li spingeranno ad avvicinarsi all’ambasciata allo scopo di ottenere sussidi o un appoggio per il rimpatrio.

 

4°) – Secondo la dichiarazione fatta dal Capo Ufficio Italia, è stato trattenuto nell’URSS un gruppo di criminali di guerra, di cui le autorità sovietiche ci daranno l’elenco al termine del procedimento giudiziario che li riguarda. Si tratterebbe solo di un gruppo di una trentina di persone.

 

5°) – Oltre ai militari di cui al numero 3 e 4 e a quelli rimpatriati, si trovano ancora nostri prigionieri in Russia?

In Italia si parla di migliaia e diecine di migliaia. Qui si dice nel modo più reciso che non ce ne sono più, ed anzi non si nasconde un vivo malumore per i dubbi affiorati nella nostra stampa. Il tono delle comunicazioni e conversazioni ufficiali è assai chiaro; particolarmente vibrata a questo riguardo la smentita Tass, di cui ho riferito con telegramma odienrno n. 826.

Quale è la vera situazione?

Premetto che non ho elementi sicuri di giudizio, ma sono portato a credere che nostri militari si trovino ancora nei vari campi di concentramento (e di lavoro obbligatorio), dispersi fra prigionieri di altra nazionalità. È difficile azzardare presunzioni sul numero di essi. Ma credo che, fino ad un certo punto, sia da escludere la cattiva fede da parte sovietica. Mi spiego meglio: le Autorità centrali sovietiche sanno certamente della presenza di questi nostri prigionieri in Russia ma non sono riuscite a rintracciarli per provvedere al loro rimpatrio. Si tratterebbe in altre parole di quei prigionieri “dispersi”, della cui residenza attuale – come ha detto vagamente il Capo dell’Ufficio Italia – le Autorità sovietiche non avrebbero notizie.

 

 

 

 

 

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