Maria
Luisa Suprani Querzoli
Il 27 agosto 1917 la Battaglia della Bainsizza
(capace di risultati notevoli, seppur decisamente inferiori alle proiezioni del
Comandante la II Armata) accenna a volgere al termine quando uno scoppio violentissimo
getta nel panico l’intera città di Udine, sede del Comando Supremo:
[…] alle 11,19, mentre sto per
entrare [al Comando Supremo], avviene una esplosione formidabile, che scuote
tutte le case, rompe tutti i vetri, spacca tutti i tramezzi. […] La gente si
getta fuori delle case, scarmigliata. La scena è impressionante. Le detonazioni
si seguono con violenza e frequenza sempre maggiori. Sembra di essere fra un
violentissimo bombardamento. […] Circolano le prime voci, che hanno qualche
certezza: è scoppiata la polveriera di Sant’Osvaldo. Ci sono là 100.000 bombe,
polveri, 40.000 quintali di fieno, i depositi di benzina di tutta la 2ª armata.
È una cosa spaventevole.[1]
Il panico toccò il punto massimo all’idea (dimostratasi in
seguito non veritiera) che anche i gas venefici presenti nei proiettili a liquidi speciali aleggiassero nell’aria.
Per numero di vittime e perdita di materiali la stima del
danno appare subito grave.
Circola la voce che lo scoppio
sia doloso. Gabriele D’Annunzio dice che a Roma è scoppiata l’altro ieri sera
la polveriera di forte Appio, con un centinaio di morti. Ad Alessandria è
successo suppergiù lo stesso.[2]
Il giornalista Rino Alessi, a differenza del colonnello Gatti,
si interroga senza perifrasi: «[c]hi o che cosa ha fatto saltare la polveriera? Ecco il tragico
interrogativo a cui forse nessuno risponderà lasciando nell’aria i più atroci
dubbi. Altre polveriere sono saltate, come Lei forse sa, in altre parti della
Penisola. Chi o che cosa le ha fatte saltare?»[3].
Il dubbio circa il dolo assunse particolare consistenza ma – dato il
frangente critico – non si ritenne opportuno far luce per evitare la ricaduta
che l’emergere di verità destabilizzanti avrebbe potuto avere sul morale già incrinato
dell’Esercito (e della Nazione).
In seguito si giunse alla conferma[4]
dei sospetti che fin da subito circolarono.
Un incidente analogo (seppure di portata ben minore) si era
già verificato in zona di guerra, circa dieci giorni prima.
L’XI Battaglia dell’Isonzo ancora
non aveva avuto inizio quando, nell’area del XXVII Corpo d’Armata[5],
lo scoppio di una bombarda[6]
compromise la sorpresa con cui il Comandante
d’Armata intendeva fiaccare il nemico in un tratto della fronte il cui presidio
appariva rarefatto: l’intento principe che muoveva Capello tanto da fargli
distorcere, nella sostanza, gli ordini ricevuti era costituito dalla
soppressione del pericolo incombente da Tolmino, affidata appunto al XXVII
Corpo.
Lo scoppio che si verificò in
quel settore compromise quindi un elemento essenziale del piano lungimirante,
lasciando indirettamente in vita i presupposti che avrebbero portato alla
sconfitta dell’ottobre successivo.
La possente vittoria della
Bainsizza mise a tacere tutto e sulle difficoltà incontrate dal XXVII Corpo
d’Armata non si ritornò più di tanto, attribuendole esclusivamente (ed erroneamente[7])
al mancato impulso del generale Vanzo.
Esposte le premesse ci si può
chiedere se anche l’incidente che interessò l’area del XXVII Corpo d’Armata (da
valutarsi soprattutto nella portata delle sue conseguenze, capaci di decapitare l’intento di Capello e, indirettamente,
di dare origine ai presupposti della sconfitta) era di matrice dolosa.
Il dubbio appare ragionevole.
Il computo delle responsabilità
circa l’esito della XXII Battaglia dell’Isonzo (computo a suo tempo teso più a trovare capri
espiatori per tacitare gli animi che a far luce sulla verità storica[8])
non sarà completo se non quando, seppur a distanza di oltre un secolo, si risalirà
ai mandanti di tali scoppi, la cui
serrata successione appare tutt’altro che accidentale.
[1] A. Gatti, Caporetto. Dal diario di guerra inedito
(maggio – dicembre 1917) (a cura di A.
Monticone), Bologna: Il Mulino, 1964, pp.
194 – 195.
[2] Ivi, p. 196.
[3] R. Alessi, Lo scoppio della polveriera di Sant’Osvaldo, 27 agosto 1917, in Dall’Isonzo al Piave, Milano: Mondadori,
1966, p. 103.
[4] Cica le conferme inerenti al dolo cfr. G.
Del Bianco, La guerra ed il Friuli,
vol. 2 (Sull’Isonzo e in Carnia. Gorizia.
Disfattismo), Udine: Del Bianco Editore, 2001.
[5] Il XXVII Corpo era allora comandato dal
generale Augusto Vanzo, prima di essere sollevato dall’incarico (e sostituito
con il generale Pietro Badoglio, comandante il II Corpo).
[6] Cfr. L. Capello, Note di Guerra, vol. II, Milano: Fratelli Treves Editori, 1921, p.
109.
[7] Anche sotto il comando di Badoglio il
XXVII Corpo d’Armata continuò a confrontarsi con obiettive difficoltà (cfr. ibidem) capaci di interferire negativamente con gli obiettivi auspicati dal Comandante d’Armata
(cfr. ivi, p. 113).
[8] Il riferimento è alla Relazione che concluse
i lavori della Commissione d’Inchiesta istituita dal R.D. 12 gennaio 1918 n. 35.
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