CONCLUSIONI
In
conclusione di questo elaborato, emerge che l’assassinio dell’Arciduca
Francesco Ferdinando a Sarajevo il 28 giugno 1914 non fu l’unica causa dello
scoppio del primo conflitto mondiale, ma un casus
belli risultato di decenni di politica europea e piani militari progettati
molto tempo prima di questo episodio. Una storia iniziata con l’Unità d’Italia,
patrocinata senza volerlo da Napoleone III per scalzare l’Austria dal dominio
italiano, consolidata da Bismark che elaborò il suo “sistema” per legare le
Potenze europee di modo che la Francia si trovasse isolata e non potesse dare
vita a coalizioni antitedesche mentre il nuovo Impero si consolidava in Centro
Europa; quando Bismark venne allontanato dal potere dal giovane ed
irresponsabile Kaiser Guglielmo II, il “sistema” si sfaldò permettendo
l’alleanza tra Francia e Russia e ingenerando nei militari tedeschi il dilemma
strategico della guerra su due fronti, dilemma che tentarono in vari modi di
risolvere sino a quanto Schlieffen elaborò il suo famoso Piano per attaccare e
soggiogare rapidamente la Francia, parando nel contempo il colpo della Russia a
oriente, fidando nella lenta mobilitazione dell’enorme esercito dello Zar e
nella perizia degli austro-ungarici.
Il
Piano Schlieffen risulta essere stato elaborato su concezioni ben delineate sul
piano strategico (assorbire l’attacco
francese previsto dal Piano XVII in Lorena, territorio boscoso adatto alla
difesa e marciando nel contempo sul territorio pianeggiante belga e olandese
aggirando in tal modo le fortificazioni confinarie francesi per calare su
Parigi e, dopo, attaccare i difensori francesi alle spalle; successivamente,
sfruttando gli ottimi collegamenti ferroviari francesi e tedeschi, trasferire
l’esercito a oriente pronto per combattere i russi, considerati estremamente
arretrati sul piano militare così come aveva dimostrato la recente sconfitta
contro i giapponesi) e tattico (Schlieffen era un noto estimatore della
battaglia di Canne e dell’accerchiamento dell’ala).
Tuttavia
questo Piano aveva insiti vari difetti che non furono adeguatamente
considerati, data anche l‘arroganza risultato della ritenuta superiorità
militare tedesca acquisita dopo le ultime guerre, tutte vittoriose, come ad
esempio:
-
la bassa considerazione sul piano politico dell’invasione di Stati neutrali e
la sicurezza che essi avrebbero capitolato al massimo dopo una breve resistenza
-
i 42 giorni necessari per battere la Francia si basavano solo sulle tabelle di
marcia tedesche e non consideravano le contromosse francesi,
-
oltre a non valutare adeguatamente il problema delle linee di rifornimento che
man mano si allungavano per i tedeschi e diminuivano per i francesi,
-
l’enorme mole di uomini necessari per poter realizzare un piano di tale
portata, unità che seppur conteggiate da Schlieffen non esistevano al momento
attuale,
-
un sistema ferroviario di una efficienza straordinaria (e che detto sistema non
venisse danneggiato dai “franchi tiratori”) per evitare ingorghi dato l’enorme
flusso di uomini e mezzi che avrebbe dovuto gestire,
-
non si considerava la forza che si sarebbe dovuta lasciare a controllare i
territori francesi posto che la Francia avesse capitolato in breve tempo mentre
il grosso veniva trasferito a oriente,
-
non si considerava che dal 1904 al 1914 l’esercito russo, seppur gravato da
deficienze assai rilevanti, aveva fatto dei passi in avanti e si era
modernizzato grazie all’alleanza con la Francia.
Inoltre,
dettaglio forse ancor più importante, la Germania nel 1914 basò il proprio
intervento non sul Piano Schlieffen così concepito, bensì sulla versione
rivista dal Generale Moltke, il quale eliminando l’Olanda dall’equazione per
poter mantenere una linea commerciale neutrale ed evitare sbarchi nemici da
quel fronte, creò un ingorgo intorno a Liegi, che avrebbe dovuto capitolare in
brevissimo tempo e avrebbe comunque creato un imbuto logistico rilevante per
garantire il transito di così tante forze, senza considerare che proprio questo
imbuto permise all’esercito belga di ritirarsi vittoriosamente e continuare a
infastidire le retrovie nemiche per tutto il resto della guerra assorbendo
forze che sarebbero risultate più utili altrove. Moltke inoltre deviò dal
concetto-base di Schlieffen rinforzando troppo l’ala sinistra che avrebbe
dovuto avere solo una funzione di contenimento a scapito della destra,
accarezzando l’ipotesi, se le circostanze lo avessero permesso, di chiudere la
campagna in un tempo ancor più breve sfondando le linee frontalmente e,
inoltre, inviò alcune forze a proteggere la Prussia orientale per evitare che i
ricchi possedimenti tedeschi venissero invasi dai russi, i quali riuscirono a
mobilitare e attaccare in tempi molto più ridotti di quelli previsti.
Altri
errori emergeranno nelle prime settimane, e Moltke pagherà assai caro il fatto
di essersi mantenuto sempre così lontano dal fronte (avendo di conseguenza
comunicazioni non aggiornate al momento attuale dati i sistemi non ottimali) e
di avere lasciato mano libera eccessiva ai suoi comandanti d’Armata
(ratificando solo successivamente disposizioni già adottate, in particolare
Rupprecht di Baviera, Kluck e in misura minore Bulow), i quali avrebbero avuto
bisogno di una guida forte e sicura da parte di un Generale che conoscesse il
quadro d’insieme, mentre loro presero iniziative forse utili limitatamente al
loro settore, ma estremamente deleterie a livello di strategia complessiva; le
loro decisioni condizionarono le sorti della battaglia della Marna, in cui si
cercò di correre ai ripari tardivamente ordinando un ripiegamento che avrebbe
potuto essere evitato con una gestione più accorta delle risorse.
Guidati
dal loro orgoglio e dalla propria superbia, i tedeschi commisero errori
macroscopici, come non considerare che nel giugno 1914 disponevano, oltre
all’Austria, di un terzo alleato, l’Italia, una nazione giovane e gravata da
perenni e irrisolti problemi di bilancio, che si era trovata a gravitare
nell’orbita degli Imperi Centrali, subito dopo l’Unità, a causa dei dissapori
con la vicina Francia e desiderosa di mettere al sicuro la propria Unità.
Alleata con austriaci e tedeschi dal 1882, durante i primi anni l’Italia aveva
progettato vari piani operativi contro la Francia per adempiere ai suoi doveri,
sebbene non ne fosse considerata all’altezza e nonostante le si richiedesse
soltanto, in caso di guerra, di vincolare quante più forze francesi avesse
potuto attaccando il baluardo naturale delle Alpi o di studiare possibili
sbarchi sul litorale provenzale per poi risalire il Rodano, ma sempre tenendo
d’occhio l’alleato austriaco, il quale era assai desideroso di recuperare i
territori italiani perduti, in particolar modo dopo l’ascesa allo Stato
Maggiore del Generale Conrad Von Hotzendorf, il quale non mancava mai di
suggerire una guerra preventiva ogni volta che l’Italia si trovava in
difficoltà (terremoto di Messina, guerra di Libia). Desiderando rendersi più
utile, sin dai primi anni l’Italia aveva proposto di inviare truppe a
combattere sul Reno insieme alla Germania sapendo bene che quello sarebbe stato
il fronte principale e il più utile su cui effettuare pressione, vagliando
anche l’ipotesi di invadere la neutrale Svizzera qualora l’Austria non si fosse
resa disponibile a permettere l’uso delle proprie ferrovie, ma inizialmente
tale proposta venne accolta con sufficienza. Quando infine essa fu pienamente
accettata con le convenzioni del 1888 e fu stabilito di inviare la 3°Armata sul
fronte del Reno mentre le altre forze avrebbero protetto le coste e avrebbero
compiuto azioni offensive sulle Alpi, i tedeschi pensarono di schierarla
sull’ala sinistra di Schlieffen, sulla direttrice d’attacco Belfort-Epinal. Se
questo progetto fosse stato realizzato, Schlieffen e Moltke avrebbero potuto
rinforzare ulteriormente l’ala destra, la più importante, in modo da
consentirle di avere una potenza d’urto tale da schiacciare la resistenza
belga, britannica e francese e avrebbero potuto disporre di ingenti forze senza
contare le unità che l’Italia avrebbe vincolato sulle Alpi, probabilmente
impedendo la creazione della 6°Armata di Manoury a Parigi. Su questi
presupposti è molto probabile che la battaglia della Marna, così come la
conosciamo, non si sarebbe mai verificata e che Parigi sarebbe caduta o che i
francesi avrebbero costituito un’ulteriore linea difensiva molto più arretrata.
Postulando che le circostanze avrebbero comunque determinato una situazione
analoga a quella verificatasi effettivamente sulla Marna, le forze recuperate
avrebbero potuto coprire il varco creatosi tra la 1° e la 2°Armata tedesche, evitando
quel ripiegamento ordinato dal comando tedesco che, di fatto, trasformò la
guerra di movimento in guerra di trincea. Inoltre giova sottolineare che,
seppure il settore di Belfort fosse quello predeterminato, Moltke non aveva
escluso di dover impiegare gli italiani anche in altri settori, sia a oriente
in supporto agli austriaci, sia a garantire le comunicazioni nel nord tenendo a
bada i belgi, svincolando in tal modo ulteriori forze tedesche, che sarebbero
servite eventualmente per intrappolare la 5°Armata francese e conseguire una
vittoria forse decisiva; inoltre l’operazione navale, pianificata con le
convenzioni, avrebbe potuto garantire la difesa delle coste italiane e nel
contempo danneggiare sensibilmente i movimenti della flotta francese e, soprattutto,
i trasferimenti di unità dai possedimenti coloniali.
Quando,
dopo la Marna, i tedeschi e gli austriaci si resero conto dell’errore militare
commesso e del rischio che l’Italia abbandonasse la neutralità e si schierasse
con le Potenze dell’Intesa, cercarono di correre ai ripari anche con metodi
abbietti, magari promettendo il Trentino ma elaborando stratagemmi per poi
negarlo alla fine della guerra, tuttavia né le promesse tardive austriache, né
la missione Bulow a Roma riuscirono a riparare l’errore commesso, un errore
che, seppur sia impossibile valutare adeguatamente fino a che punto avrebbe
potuto o meno garantire la vittoria degli Imperi Centrali, senza dubbio avrebbe
cambiato il corso della storia come è conosciuta oggi.

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