La Definizione
Massimo Coltrinari
(ricerca23@libero.it)
Il fatto che la violenza bellica e la violenza di possono esplicare su tutti i cittadini dello Stato fa si che spesso i confini tra le varie figure su cui esse sono esercitate sono labili e spesso confusi.
Uno degli aspetti più difficili da dipanare è la presenze situazione che non fa alcuna differenza tra prigioniero di guerra, internato, deportato, in una confusione che spesso è fonte di quella indifferenza di cui queste figure sono oggetto nella pubblica opinione con sommo avvilimento di quei soggetti che sono stati oggetto di prigionia, internamento e deportazione. Sulla scorta della individuazione dei soggetti che abbiamo individuato su cui si esercita la violenza bellica e la violenza occorre dare, per una più ampia base di comprensione, una risposta alle seguenti domante:
Chi è il Prigioniero di guerra?
Chi è l’Internato?
Chi è il Deportato?
Date risposte a queste domande mettere a confronto gli istituti che si hanno, ovvero le pecularietà e le differenze tra Prigionia, Internamento e Deportazione.
Chi è il Prigioniero di Guerra?
A questa domanda si può risponde con una definizione di primo approccio “Il prigioniero di guerra è un uomo che, armato, vuole uccidermi; io mi difendo, lo disarmo e lui chiede di non essere ucciso”. In Diritto Internazionale, la risposta e più articolata:
“Prisoner-of war status (subsection 2): Members of other militias and members of other volunteer corps, including of organized resistence movements, belonging to a Party to the conflict and operating in or outside their own territory, even if this territory is occupied, provided that such militias or volunteer corps, including such organized resistence movements, fulfill following conditions:
(a) that of being commanded by a person responsible for his subordinates;
(b) that of having a fixed distinctive sign recognizable at a distance;
(c) that of carrying arms openly;
that of conducting their operations in accordance with the laws and customs of war.
Per giungere a questa attuale definizione il percorso è stato lungo. Grozio, il padre del Diritto Internazionale, avvicinava ancora i Prigionieri di guerra agli "schiavi", senza accordare loro alcun diritto o protezione.
Criterio fondamentale per individuare la figura del Prigioniero di Guerra è che la Prigionia di guerra non è una pena, ma una misura di sicurezza. Ovvero si vuole impedire che il combattente rientri nelle file del proprio esercito e riprenda le armi.
I fini della prigionia di guerra quindi si raggiungono con l'adozione di misure normalmente adeguate per impedire la fuga. Ovvero il rientro nell’Esercito di provenienza. Da ciò discende che, essendo la prigionia non una pena, la fuga o il tentativo di fuga non è e non deve costituire un reato; e quindi, se il prigioniero di guerra viene nuovamente catturato è esente da pena, ed il tentativo di evasione può essere oggetto solo di esenzioni disciplinari.Il Prigioniero di guerra è considerato a disposizione dello Stato nemico e non del corpo di truppa che lo ha catturato e, se è ferito, o malato deve essere curato adeguatamente.E' immune da misure di rappresaglia e da penalità collettive; conserva la proprietà dei suoi beni, salvo le armi e parte dell'equipaggiamento militare.Gli Ufficiali sono esenti dal lavoro manuale; Sottufficiali e Truppa possono essere costretti al lavoro.Regola generale che non può essere codificata dal Diritto Bellico è che il prigioniero di guerra deve essere trattato umanamente e che sempre abbia la possibilità di rivolgere eventuali reclami alle rappresentanze della potenza protettrice. I Prigionieri di guerra non possono essere costretti a prendere le armi contro il proprio Stato né tanto meno partecipare allo sforzo bellico dello Stato cattore o detentore.
A grandi linee il profilo del prigioniero di guerra ha questi caratteri che emergono da varie Convenzioni Internazionali che si sono susseguite nel tempo e che sono culminate nelle cosiddette Convenzioni di Ginevra, la più importante delle quali è quella del 27 luglio 1929, con cui si affrontò la Seconda Guerra Mondiale, e visti i non brillanti risultati ottenuti, la 3^ Convenzione del 12 agosto 1949, in special modo gli art. 12 e seguenti.
Alla seconda domanda, chi è L’Internato di guerra?, si risponde intendendo per “internato di guerra un cittadino di uno Stato nemico che, dati alcuni presupposti, rappresenta potenzialmente o realmente un pericolo per lo Stato stesso o per un altro Stato e per questo viene ristretto nelle sue libertà.”
L'Internato di guerra, nella sostanza è un cittadino non belligerante, che è entrato in potere dello Stato nemico; questi, al fine di garantirsi nella sua sicurezza, ovvero per impedire azioni volte contro di esso, adotta misure cautelative nei confronti del cittadino stesso, sempre in ragione dello stato di guerra. L’Internato di guerra può essere anche il cittadino, a prescindere se è atto a portare le armi o meno, dello Stato che, per determinate caratteristiche o ragioni, lo stato stesso lo ritiene oggetto di misure cautelative per la propria sicurezza.
Nella Seconda Guerra Mondiale ha preso consistenza la figura dell'Internato Militare, che potrebbe rappresentare una contraddizione in termini essendo il Militare il cittadino atto a portare le armi e quindi soggetto della Prigionia di Guerra.
L'Internato Militare proviene da corpi di esercito che, disarmati, non sono stati assimilati come prigionieri di guerra, non essendo tra le nazioni, lo stato di guerra; per la sicurezza dello Stato cattore, questi corpi di esercito sono stati prima disarmati e poi privati della libertà con la misura dell'internamento. Ovvero per la sicurezza dello Stato cattore si è esercitata la libertà di internare quei soldati arresisi di uno Stato potenzialmente nemico atti a portare le armi. L'Internato Militare quindi non è un prigioniero di guerra, con i suoi diritti e doveri, ma un cittadino atto a portare le armi che viene ristretto in campo dì concentramento perché un potenziale nemico. Il fenomeno dell'Internamento Militare nella Seconda Guerra Mondiale è tipicamente italiano. Ovvero con la firma dell'Armistizio fra l'Italia e le Nazioni Unite veniva a cessare lo stato di guerra. La Germania, alleata dell'Italia fino all'8.9.43, in virtù del Patto d'Acciaio del 1939, considerava l'uscita dalla guerra con l'armistizio un vero e proprio tradimento dell'Italia. Quindi per la sua sicurezza procedeva sia all'occupazione di gran parte del territorio italiano sia al disarmo e all'internamento in Germania di soldati italiani, considerati potenziali nemici. Da qui il fenomeno dell’Internamento Militare Italiano nella seconda guerra mondiale , che, però, non è solamente italiano.
La figura giuridica dell’Internato Militare esisteva già prima della Seconda Guerra Mondiale nel Diritto Internazionale, trovandosi o essendo presentati ai confini di uno Stato neutrale Reparti ed Unita di un esercito che venivano disarmati e posti sotto custodia delle autorità di quest’ultimo, affinché non potessero intraprendere azioni belliche.
L’Internato Militare Italiano, che nasce dalla particolare situazione generatesi nel nostro Paese a seguito degli eventi armistiziali dell’8 settembre 1943, con la presenza sul in Italia del Governo del re, legittimo, e della Repubblica Sociale Italia fondata da Benito Mussolini il 23 settembre 1943, può essere assimilato all’Internato di Guerra, ovvero internamento di cittadini di uno stato potenzialmente nemico o atto a essere potenzialmente in grado di intaccare la sicurezza dello Stato che procede all’internamento.
Alla terza, chi è il Deportato di Guerra? domanda a cui si risponde definendo il Deportato “il cittadino di un territorio occupato dallo Stato nemico, il quale, per garantirsi nella propria sicurezza, traduce in un altro territorio che giudica più congruo alla propria sicurezza, lo stesso cittadino”.
Il deportato, che per chiarezza chiamiamo deportato ( per ragioni ) di guerra subisce una azione dovuta allo stato di guerra da parte del nemico. E’ un cittadino non belligerante e tutti i componenti di una popolazione, o l’intera popolazione, possono essere deportati.
Nei territori occupati dalle truppe di uno Stato nemico si possono sviluppare movimenti di resistenza armata al diritto di occupazione da parte dell'esercito nemico. Tali movimenti possono dar vita alla figura del "partigiano", ovvero del "civile" (ovvero del non belligerante) che con le armi si oppone all'occupazione.
In questo stato di cose emergono le figure del Partigiano, dell’Ostaggio, del Patriota, del Resistente, del Combattente per la Libertà, tutte figure che il conflitto genera e su cui la violenza bellica si esplica in tutta la sua potenzialità.
I partigiani, riuniti in gruppi o bande ricercano l'appoggio della popolazione civile. E' un fenomeno che si sviluppò nel secondo conflitto mondiale su vasta scala, anche se nel corso della storia dell'umanità si possono fare molti esempi di civili armatesi contro l'occupante.
La reazione a tale situazione è la presa di ostaggi, di rappresaglie, di repressioni collettive, di coercizioni e di, non da ultimo, deportazioni.
Durante la seconda guerra mondiale, la Germania, come stato occupante, considerava la presa di ostaggi legittima, la punizione collettiva come rappresaglia diritto dell'occupante; il partigiano come belligerante combattente illegittimo, e quindi senza alcuna protezione giuridica, contro il quale poteva essere esercitata la violenza bellica senza alcuna restrizione, e il diritto di deportare come misura di sicurezza. Invocava al riguardo l'art. 50 del Regolamento alla Convenzione dell'Aja del 1907, che autorizza l'occupante a tutto ciò. Ma la convenzione del 1907 si riferiva a conflitti del secolo scorso e, per essere invocato, doveva essere applicato nello spirito e nella norma della Convezione di inizio secolo.
Le figure or ora descritte si pongono fuori della tutela delle leggi di guerra e delle Convenzioni e quindi sono soggetti all’esplicarsi della violenza bellica in tutta la sua entità.
Le figure fino ad ora descritte si riferiscono sempre a soggetti su cui si esercita la violenza bellica e la violenza,ovvero nella accezione che fra due o più Stati vi sia lo Stato di guerra. E’ anche vero, pero, che istituti come l’Internamento e la Deportazione, non sono riferibili solo allo stato di guerra, essendo presenti anche nel momento in cui la guerra non è stata dichiarata. Si può dire, in altre parole che non esistendo lo stato di guerra non è esercita la violenza bellica, ma è esercita quello che finora abbiamo chiamo ma violenza nella semplice accezione del termine.
E’ necessario, a questo punto, fare una precisazione. Occorre introdurre il concetto, generato dalla Rivoluzione Francese, del Cittadino che è parte integrate dello Stato, ovvero il controllo delle masse da parte dello Stato stesso. Quindi la natura dello Stato: liberale, democratico, totalitario, dittatoriale e gli strumenti che nell’ambito di ogni configurazione vengono messi in atto.
Questo approccio all’Istituto dell’Internamento è comune a tutti gli Stati, compreso il nostro. E’ facile constatare che, in tema di Internamento volto allo sterminio, il pensiero si rivolga ad uno Stato in particolare. In realtà tutti gli Stati hanno avuto un grado pi o meno diverso di impiego dell’Internamento, compreso il nostro, che in tema di Internamento di particolare durezza ha, come vedremo, esempi non ceto marginali.
Rinviando all’apposito capitolo, in questa sede basti dire che dallo Stato pi tollerante a quello più intollerante esistono mezzi che vengono messi in essere in relazione alla propria sicurezza in relazione ai diritti e libertà del cittadino. In Pratica, per l’argormento che stiamo trattando, in ogni Stato sono presenti misure, da quelli minime e minimali a quelle dal più ampio spettro, che possono far capo all’Internamento ed alla Deportazione
Su queste basi si può dire che, nel momento in cui uno Stato dichiara la guerra, nei confronti dei propri cittadini, estende o introduce misure che già possono preesistere in tempo di pace volte alla salvaguarda della sua sicurezza generale. Si può dire che l’Internamento e la Deportazione esistono, o possono esistere, nei confronti dei propri cittadini anche in tempo di pace. Si ha quindi l’Internamento in pace e la Deportazione in pace, da cui discende l’Internato che possiamo chiamare “civile” o, meglio semplicemente Internato e, per similitudine il Deportato “civile, o meglio, il Deportato.
Nascono quindi altre due domande, che ci dobbiamo porre, superando il presupposto che esiste lo Stato di guerra, ovvero che si possa esercitare la violenza bellica, ovvero che lo Stato, ai fini della propria sicurezza, eserciti solo quello che abbiamo individuato come “violenza.
Chi è, in tempo non di guerra ovvero di pace, l’Internato?
Chi è, in tempo non di guerra ovvero di pace, il Deportato?
Alla prima domanda si può rispondere definendo l’Internato (civile), il cittadino colpito in via amministrativa da misure restrittive della sue libertà personali senza aver commesso alcuna violazione di legge ed averne subito il giudizio, o, in presenza di leggi, queste lo qualifichino in categorie ritenute pericolose per la sicurezza dello Stato”
Alla seconda domanda si può rispondere definendo il il Deportato (Civile), il cittadino colpito da misure generali prese in nome della sicurezza generale dello stato prese in via amministrativa appartenente ad una popolazione, ad un gruppo, ad una categoria ad un contingente o essere compreso in una lista di nomi che viene sradicato dal proprio territorio di origine e trasportato in un altro parte del territorio dello Stato.
Ci si può chiedere perché sia necessario avventurarsi su questi terreni che assumono, soopratutto se si pone uno sguardo al secolo appena trascorso, dimensioni planetarie. La ragione è quella di porre un ordine una mappa di orientamento in questa materia che è avvolta, almeno a nostro parere, in una confusione cronica e diffusa.I termini Prigioniero,Internato, Deportato vengono usati in modo intercambiabile spesso sovrapposti e spesso confusi con quello di carcerato, e criminale comune; la distinzione fra lo stato di guerra e la pace spesso sottintesa, gerando anche essa ulteriore confusione fino ad arrivare, come già detto, che la pubblica opinione non percepisce nelle sue reali dimensioni questi fenomino e li lascia, anche per il loro carattere, cadere nell’oblio e nella dimenticanza ferendo chi ebbe a subure queste misure non certo per colpa o volontà propria.
La Confusione Regnante
Esiste, quindi, una estrema confusone in cui è avvolta tutta la materia che stiamo trattando. Analizziamone quindi i motivi e confrontiamo i punti in comune e le peculiarità come introduzione alla loro struttura ed articolazione
Ma vi sono profonde differenze tra l’uno e l’altro.
Chi è in un campo di concentramento per prigionieri di guerra sa che al termine della guerra la sua detenzione termina; chi è in un campo di concentramento per Internati sa che la sua detenzione è “sine die”, fino a quando lui non viene più considerato un pericolo per lo Stato che lo detiene a prescindere o meno dallo stato di guerra; in alcuni aspetti dell’Internamento addirittura si arriva a concepire il campo di concentramento come un campo di sterminio, ove chi entra non è previsto che esca vivo, data la sua pericolosità sociale, presunta o reale che sia.
Sempre considerando lo stato di guerra, l’Internamento di cittadini, stranieri e non, è volto all’allontanamento dall’intera zona di guerra e conseguente inoltro all’interno di uno Stato in una località militarmente non importante dove sia facile esercitare la sorveglianza e precludere il mantenimento di relazioni considerate lesive della sicurezza dello Stato con l’ambiente originario. Quindi chi né è colpito si sente parte integrante del propri stato e sa che le misure prese nei suoi confornti termineranno con la fine della guerra.
E’ evidente la grande differenza esistente, sotto il profilo concettuale, con la Prigionia di guerra.
La prigionia militare è lo strumento che serve per neutralizzare i soldati di uno stato nemico ad esercitare la violenza bellica. Quindi la prigionia di guerra è applicabile solo ai militari ( ovvero dei cittadini di uno stato atti alla belligeranza) che possono portare le armi e quindi l’offesa.
La Prigionia di guerra, quindi, è strettamente legata alla vicenda bellica, ed è fissata nella sua attuazione da precise Convezioni che nel tempo si sono via via perfezionate.
L’Internamento di guerra, invece, ancora è soggetto alle esigenze dello Stato che via via si possono presentare.
Dall’originare esigenza di cautelarsi da persone che potrebbero intaccare la propria sicurezza durante lo stato di guerra, uno Stato ha allungato la lista di quelli che potevano, per la sua sicurezza, essere pericolosi, per i più svariati motivi. Quindi l’internamento è diventato tale per ragioni politiche, indi per ragioni religiose, razziali, etniche, comportamentali, fino ad arrivare a quello occasionale e speditivi.
Abbiamo, quindi, l’Internamento in pace, come misura intena dettata dallo Stato per garantirsi della propria sicurezza interna.
Con queste premesse appare evidente che non si può presentare tutto l’Insieme dell’Internamento relativo ad ogni singolo stato. Il campo di esposizione sarà limitato ai concetti generali riferiti a questo istituto, e poi un breve exursus sul suo utilizzo da parte del nostro Stato dalla unificazione ad oggi, con un particolare cenno allo stato di guerra, senza tralasciare, lì dove si presenti la necessità o l’occasione di fare riferimento a vicende relative all’Internamento di altri Stati di particolare significato. Sarà la bibliografia di riferimento e di rinvio a dare poi, per chi volesse approfondire i temi preposti, a dare gli strumenti per una più ampia conoscenza di questo Istituto.
Perché tutta questa confusione, oltre al fatto delle scarsa conoscenza di questi istituti.
Una probabile risposta stà nel fatto che comune a tutti è il campo di concentramento.
Questa situazione è data dal fatto che il comune denominatore tra Prigionia ed Internamento è “ il campo di concentramento”, con tutto quello che ciò significa. Infatti sia il Prigioniero di Guerra che l’Internato è ristretto nel “campo di concentramento” e, nella maggioranza dei casi, il trattamento ricevuto è lo stesso: privazione della libertà, umiliazioni, efferatezze, violenze ecc. Questo, in genere, porta a parlare di equipollenza tra Prigionia di guerra ed Internamento di guerra e Deportazione di Guerra.
Nessun commento:
Posta un commento