E pochi luoghi come la prigione delle S.S. ci ricordano il vincolo, storico e umano che lega la Resistenza, militare e civile nell'Italia occupata dai nazisti, alla Guerra di Liberazione: che le Forze Armate italiane e le formazioni partigiane hanno combattuto sul campo di battaglia come parte integrante dello sforzo bellico alleato nella campagna 1943-45.
Una tra le tante prove di questa verità la troviamo nella lettera di un martire di Via Tasso: il Generale di Brigata Aerea Sabatino Martelli Castaldi che dopo le torture subite con i compagni di cella, militari e civili, verrà trucidato nelle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944.
La sua ultima lettera alla moglie dimostra la dedizione al dovere e al tempo stesso il disprezzo per la tracotanza spietata del nemico nazista. Sono parole esemplari, come un testamento politico risorgimentale, sempre valido, senza tempo, senza frontiere.
«4 marzo 1944.
I giorni passano, e, oggi, 47°, credevo proprio che fosse quello buono, e invece ancora non ci siamo. Per conto mio non ci faccio caso e sono molto tranquillo e sereno, tengo su gli umori di 35 ospiti di sole quattro camere con barzellette, pernacchioni (scusa la parola ma è quella che ci vuol) e buon umore. Unisco una piantina di qui per ogni evenienza e perché, a mezzo del latore, quest'altra settimana me la rimandi completata. Penso la sera in cui mi dettero 24 nerbate sotto la pianta dei piedi nonché varie scudisciate in parti molli, e cazzotti di vario genere. Io risposi con un pernacchione che fece restare i tre manigoldi come tre autentici fessi. (Quel pernacchione della 24a frustata fu un poema! Via Tasso ne tremò ed al fustigatore cadde di mano il nerbo. Che risate! Mi costò tuttavia una scarica ritardata di cazzotti). Quello che più pesa qui è la mancanza di aria. Io mangio molto poco altrimenti starei male e perderei la lucidità di mente e di spirito che invece qui occorre avere in ogni istante.
(Ultimo messaggio, scritto sul muro della cella di Via Tasso).
Quando il tuo corpo, non sarà più, il tuo, spirito sarà ancora più, vivo nel ricordo dichi resta - Fa che
possa essere sempre di esempio.»
Aggiungo un'altra testimonianza, laconica ma altamente espressiva dell'amor di Patria di un partigiano, Medaglia d'Oro, che potrebbe essere sottoscritta da migliaia di combattenti per la libertà. «(...) l’amavo troppo la mia Patria, non la tradite, e voi tutti giovani d’Italia seguite la mia vita e avrete il compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire una nuova unità nazionale». Firmato: Giancarlo Puecher Passivanti, ventenne, figlio di Giorgio, deportato e morto nel campo di Mauthausen.
Ritorna anche il ricordo di Luciano Bolis, che decise di uccidersi in carcere per non crollare sotto la tortura, ed essere costretto a svelare i nomi dei colleghi patrioti. Ma non ci riuscì. «Avevo trovato una lametta da barba, arrugginita. Riuscii solo a tagliarmi le corde vocali». Ma almeno i torturatori non ce la fecero a farlo parlare. Luciano, Medaglia d’Argento della Resistenza.
Giustamente Enzo Bettiza definisce “memoricidio” l’oblio, spesso tollerato, se non esplicitamente da alcuni voluto, in cui rischia di cadere quel periodo cruciale della nostra storia, Il Secondo Risorgimento d’Italia.
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