Il generale Luigi Capello nella
Grande Guerra
Il presente lavoro intende fornire un
apporto alla rilettura della Grande Guerra.
Quando ci si addentra
nell’analisi di questo periodo, affrancarsi dalla tradizione (tendente, nel
tempo, a cristallizzare il fenomeno bellico in immagini non sempre rispondenti alla
realtà esperita) risulta complesso: è necessario recuperare la massima aderenza
ai documenti senza per questo dimenticare la loro contestualizzazione storica al
fine di poter giungere ad una riflessione lineare e mai ‘di parte’ (che spesso
costituisce un substrato inconsapevole).
Negli aspetti più stantii della tradizione non è difficile scorgere un retaggio
della politica fascista, in cerca di miti da sostituire alla storia sui quali
fondare il proprio procedere. Il Ventennio si rese così responsabile di un ‘furto
della memoria’ attraverso l’appropriazione strumentale del valore di figure e
di motti fortemente evocativi che, da questa distorsione, risultarono indelebilmente
alterati nella loro essenza.
La figura del generale
Capello percorse l’iter opposto: fu
proprio il suo presunto (quanto improbabile) coinvolgimento nell'attentato a
Mussolini a condannarla all’oblio più tenace nonostante la portata del suo
contributo alla vittoria italiana. Il profilo del liberatore della Santa Gorizia e del vincitore della Bainsizza
venne deliberatamente oscurato, nel timore che le sue scelte democratiche stimolassero
in molti un pensiero critico disfunzionale agli obiettivi politici prefissati.
Il valore di Capello
non poté così tranquillamente confluire
nell’epopea della Grande Guerra anche
perché fu eletto, insieme ad altre figure eccellenti, a capro espiatorio della
grave sconfitta che funestò l’Italia nell’ottobre del 1917. La prospettiva storica
ha permesso di vedere la chiara matrice politica del lavoro della Commissione
d’Inchiesta, nominata a ridosso dei fatti e, soprattutto, a guerra non ancora conclusa:
la persona del Generale venne pesantemente attaccata, anche a causa delle
testimonianze (non sempre attendibili sul piano concreto) di Sottoposti che mal
sopportavano la sua insofferenza nei riguardi di chi non si dimostrava solerte
nel compimento del dovere. Poco importa che in seguito le responsabilità
attribuitegli dalla Commissione subissero un ridimensionamento più vicino al
vero: tale riconoscimento tardivo venne vincolato ad un’adesione al regime che
egli, nonostante le condizioni nient’affatto rosee in cui si trovava, rifiutò
con fierezza.
Luigi Capello
rappresenta il prototipo della figura scomoda
e, si aggiunga, ancor più invisa perché non così facilmente attaccabile sul
piano professionale. La sua abilità nel trovare soluzioni innovative unita a
rara capacità di convincimento del suo interlocutore lo rese incompatibile con
chi continuava a misurare la guerra con gli stessi criteri della vita di
guarnigione. Anche il suo status (non
apparteneva alla nobiltà di spada e
il suo temperamento ‘esagerato’ ne costituiva la dimostrazione più lampante),
in chiaro contrasto con la posizione di responsabilità raggiunta, influì nella
percezione che di lui ebbe il mondo militare del tempo, decisamente
conservatore.
È fondamentale
ricordare, come molti documenti citati nel lavoro attestano, che le innovazioni
di metodo e di gestione degli uomini da lui portate avanti strenuamente
nonostante le resistenze incontrate vennero poi applicate con successo dopo la sua uscita di scena determinata
dallo scacco subito dalla II Armata nella XII Battaglia dell’Isonzo.
La sconfitta di
Caporetto rappresenta un fenomeno corale, causato da una pluralità di fattori
fra i quali non fu estraneo il palesarsi di un pensiero obsolescente, lo stesso
pensiero farraginoso avversato, non senza conseguenze (positive sul piano
bellico e negative su quello personale), dal generale Capello. Risulta
fuorviante convogliare le cause complesse della sconfitta in capo a pochi colpevoli che altro non rappresentano se
non la punta dell’iceberg di un
sistema i cui principi sottesi risultano disfunzionali rispetto alle istanze del
tempo. Le dinamiche che si sprigionarono
durante l’intero conflitto, prima e dopo l’ottobre del 17, trovarono comunque
il Generale costantemente dalla parte sbagliata.
Non è questa
un’apologia di un uomo bensì la ricostruzione della sua figura storica e del
contesto in cui si trovò a vivere e ad operare, dove la complessità dei fatti e
la loro essenza scaturiscono dalle intersezioni delle diverse prospettive dei numerosi
protagonisti.
La verità strenuamente perseguita da Luigi Capello esce da questa ricostruzione
nel suo alternarsi di luci e ombre, verità che si esalta nella distinzione fra lezioni apprese e lezioni ancora da
apprendere.
MLSQ
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