1866 QUATTRO BATTAGLIE PER IL VENETO

1866 QUATTRO BATTAGLIE PER IL VENETO
Il volume e acquistabile presso tutte le librerie, oppure si può chiedere alla Casa Editrice (ordini@nuovacultura.it) o all'Istituto del nastro Azzurro (segreteriagenerale@istitutonastroazzurro.org)

1866 Il Combattimento di Londrone

ORDINE MILITARE D'ITALIA

ORDINE MILITARE D'ITALIA
CAVALIERE DI GRAN CROCE

Collana Storia in Laboratorio

Il piano editoriale per il 1917 è pubblicato con post in data 12 novembre 2016

Per i volumi pubblicati accedere al catalogo della Società Editrice Nuova Cultura con il seguente percorso:
www.nuovacultura.it/catalogo/collanescientifiche/storiainlaboratorio

.La collana Storia in Laboratorio 31 dicembre 2014

.La collana Storia in Laboratorio 31 dicembre 2014
Collana Storia in Laboratorio . Scorrendo il blog si trovano le indicazioni riportate sulla quarta di copertina di ogni volume. Ulteriori informazioni e notizie possono essere chieste a: ricerca23@libero.it

Testo Progetto Storia In Laboratorio

Il testo completo del Progetto Storia in Laboratorio è riportato su questo blog alla data del 10 gennaio 2009.

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La Collana Storia in Laboratorio al 31 dicembre 2011

La Collana Storia in Laboratorio al 31 dicembre 2011
Direttore della Collana: Massimo Coltrinari. (massimo.coltrinari@libero.it)
I testi di "Storia in Laboratorio"
sono riportati
sul sito www.nuovacultura.it
all'indirizzo entra/pubblica con noi/collane scientifiche/collanastoriainlaboratorio/pagine 1 e 2

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mercoledì 29 dicembre 2010

a tutti i lettori di questo blog


i più sinceri auguri
di un sereno, felice e prospero
2011

giovedì 9 dicembre 2010

Visite a Roma
Villa Farnesina
La spettacolare dimora di Agostino Chigi a Trastevere
12 dicembre 2010, domenica, 16.00
La sorpresa di scoprire un esempio splendidamente conservato di villa cinquecentesca, si offre a chi, lasciandosi alle spalle il traffico del Lungotevere, si incammini per via della Lungara e si trovi di fronte al cancello che introduce alla “Villa Farnesina”. Edificata ai primi del Cinquecento come dimora “suburbana” - rievocazione delle architetture del mondo antico in una mirabile fusione di architettura e natura - per Agostino Chigi, il potente banchiere senese, soprannominato “Il Magnifico” per la sue ricchezze, lo splendore e la munificenza cui informo' la sua vita, l'azione di mecenatismo che svolse a favore degli artisti e che lo avrebbero fatto ricordare come una delle figure chiave della cultura del pieno Rinascimento
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Il complesso di San Lorenzo in Palatio
La Scala santa, il Sancta Sanctorum e la cappella di San Silvestro
18 dicembre 2010, sabato, 10.00
Nell'avviare l'audace impresa di demolizione e ricostruzione del palazzo Lateranense, Sisto V dispose che venissero preservate alcune preziose “reliquie” del vetusto Patriarchio: la Scala Santa, il Sancta Sanctorum, il Triclinio Leoniano. Mentre quest'ultimo sarebbe rimasto fatalmente decontestualizzato come struttura a se' stante (la monumentale abside sormontata da un timpano e inquadrata da paraste attualmente visibile a ridosso del lato destro della Scala Santa) la Scala d'onore dell'antica residenza papale, e che la tradizione aveva condotto ad identificare con quella del Pretorio di Pilato percorsa da Gesu', venne traslata da Domenico Fontana nella sede attuale
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Refrigerium sull'Appia antica
Colazione di archeologia culinaria
19 dicembre, domenica 2010, 10.30
Un appuntamento molto particolare per i soci di Info.roma.it. Un incontro dove si coniugano storia, archeologia e gastronomia, in un ambiente altamente suggestivo come e' l'Appia antica. Da molti anni la signora Giulia Passarelli studia e propone quella che potremmo definire "archeologia culinaria". Come si mangiava nell'antica Roma? Quella che vi presentiamo e' una mattinata nel giardino della antica proprieta' Passarelli, dove avremo la possibilita' di visitare in esclusiva, un grande sepolcro del II secolo a.C., detto degli Equinozi. Ignoto il nome del personaggio per il quale fu edificato, venne chiamato convenzionalmente degli Equinozi perche' le finestre che vi si aprono, durante gli equinozi permettevano alla luce del sole di entrare ed andare a battere al centro
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Santa Sabina ed il complesso dei Domenicani
La Basilica, l'area archeologica ed il convento dei Domenicani
19 dicembre 2010, domenica, 15.30
L'Aventino e' uno dei luoghi piu' ameni e affascinanti di Roma. Legato ad antiche leggende sulle origini di Roma, fin dall'antichita' fu occupato da luoghi di culto, quali il Tempio della Luna, il Tempio di Diana e di Minerva, vi furono eretti anche i templi dedicati alle divinita' portate a Roma con il rito dell'evocatio , ossia rapite alle citta' conquistate come la Giunone Regina di Veio o il Vertumno da Volsinii. Piu' tardi fecero il loro ingresso le divinita' orientali come Giove Dolicheno, l'egiziana Iside il cui luogo e' stato rinvenuto sotto la chiesa di Santa Sabina, o Mitra il cui culto si svolgeva sotto l'attuale chiesa di Santa Prisca. In seguito alla Lex Icilia del 456 a.C. il colle fu concesso alla plebe per edificarvi le loro case
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Palazzo Barberini
La residenza dei Barberini e il nuovo allestimento della Galleria Nazionale d'Arte antica
19 dicembre, domenica, 16.00
Risultato di una lunga e stratificata vicenda costruttiva, il Palazzo Barberini acquisi' solo nella prima meta' del Seicento, grazie al concorso dei piu' importanti architetti attivi sulla scena romana – Carlo Maderno, Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini - l'attuale fisionomia, studiata per consacrare l'ascesa di una famiglia papale. La gloria della potenza barberiniana, celebrata da Pietro da Cortona nello spettacolare, scenografico affresco visibile sulla volta del Salone, trovo' espressione anche nell'allestimento di un'imponente raccolta di sculture e dipinti, andata in parte dispersa, ma di cui restano alcune preziose testimonianze, quali la celeberrima Fornarina di Raffaello ... >>> info e dettagli

Prenotazioni
Per effettuare prenotazioni, e' preferibile usare la procedura automatica sul sito Info.roma.it,

lunedì 20 settembre 2010

E' uscito il volume
L'investimento e la presa di Ancona
La conclusione della campagna di annessione delle marche
20 settembre - 8 ottobre 1860
di
Massimo Coltrinari
278 pagine, ill., 20,00 euro,
è reperibile in tutte le librerie d'Italia.
In Ancona, presso la Libreria Canonici, Corso Garibaldi 112;
per ordini diretti, ordini@nuovacultura.it, oppure risorigmento23@libero.it

Il volume riporta la prefazione del Sindaco di Ancona,
Prof. Fiorello Gramillano

lunedì 5 luglio 2010

Intellettuali in svendita per il Duce
Sottoposto a processo di epurazione nel 1944, Giuseppe Ungaretti giustificò i finanziamenti che aveva percepito regolarmente ogni mese dal regime per un totale di 144.000 lire sostenendo che si trattava di «una sovvenzione» che si dava a «persone onorevolissime» affinché «potessero proseguire con regolarità il loro lavoro». Si sarebbe trattato, insomma, a suo parere, di una normalissima «sovvenzione statale» paragonabile a quella concessa a un «agricoltore» per consentirgli di «portare a termine lavori di bonifica» o a uno «scienziato» per permettergli di «proseguire le sue ricerche di laboratorio». Il fatto di averla accettata, pertanto, aveva fatto sì che egli avesse potuto dedicarsi ai suoi studi letterari e alla sua poesia «con qualche continuità».Le cose, in realtà, stavano diversamente. La concessione di sovvenzioni, fisse o saltuarie, a intellettuali o a riviste e giornali rispondeva a una logica ben precisa: quella di costruire il consenso e favorire la formazione di una intellettualità militante. Un saggio dello storico Giovanni Sedita dal titolo Gli intellettuali di Mussolini. La cultura finanziata dal fascismo (Le Lettere, pagg. 258, euro 20), in libreria da oggi, ricostruisce, per la prima volta, sulla base di una ricchissima documentazione inedita, la mappa completa dei finanziamenti erogati dal regime al mondo della cultura e illustra anche le modalità che dovevano essere seguite per consentire agli intellettuali di poter accedere alle sovvenzioni. Queste, infatti, venivano erogate soltanto a seguito di una precisa richiesta formale da parte dell’interessato, probabilmente proprio per evitare che assumessero quel carattere di «sovvenzioni statali» richiamato da Ungaretti nel suo memoriale difensivo. Le elargizioni venivano da un fondo segreto extra-bilancio nel quale confluiva denaro proveniente dalla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza attraverso stanziamenti «invisibili» che non influivano sul bilancio ordinario del Ministero della Cultura Popolare. Gli intellettuali, insomma, per poter ottenere queste sovvenzioni erano costretti a mettere in moto un meccanismo che prevedeva il loro personale coinvolgimento e attivava, come osserva Sedita, una «triade» formata dal duce, dal capo della polizia e dal ministro della Cultura popolare: l’istanza del richiedente veniva infatti proposta dal Minculpop a Mussolini che l’autorizzava (o, eventualmente, la rigettava) di proprio insieme al capo della polizia. Il beneficiario, poi, doveva rilasciare quietanza con alcune righe di ringraziamento. Il tutto veniva, infine, archiviato in un fascicolo personale. Nel corso degli anni Trenta, nell’arco cioè di un decennio, fra il 1932 e il 1943, furono erogati segretamente oltre 600 milioni a 906 intellettuali e 387 giornali, riviste e agenzie di stampa. Gli intellettuali non erano trattati tutti allo stesso modo: duecento di essi ricevevano un compenso fisso mensile che, di fatto, li trasformava in «collaboratori esterni», in una vera e propria «manovalanza intellettuale». Tra questi figurano nomi illustri della letteratura e della poesia: da Sibilla Aleramo a Vincenzo Cardarelli, da Guelfo Civinini a Marcello Gallian, da Alfonso Gatto a Corrado Covoni, da Amalia Guglielminetti a Gianna Mancini, da Tomaso Monicelli ad Ada Negri, da Vasco Pratolini a Rosso di San Secondo, da Fabio Tombari a Giuseppe Ungaretti. Le cifre complessive variano, naturalmente, da persona a persona e anche in funzione della data di ingresso nella categoria dei sovvenzionati fissi. Così, per esempio, a fronte di somme elevate versate alla Aleramo (168.000) o a Tombari (118.500) o a Ungaretti (144.000) si segnano cifre più modeste come quelle versate a Pratolini (6.000). Quest’ultimo riuscì ad avere una sovvenzione fissa di 500 lire (il più piccolo assegno mensile corrisposto dal Minculpop) solo nel giugno 1942 per interessamento personale di Alessandro Pavolini, ma aveva comunque ottenuto altre 5.000 lire di sovvenzioni saltuarie.
Anche fra i giornalisti «sovvenzionati fissi» si trovano nomi di rilievo come Emanuele Bonfiglio, Felice Chilanti, Ivon de Begnac, Ernesto De Marzio, Giulio Evola, Ugo Indrio, Oreste Mosca, Giovanni Preziosi, Stanis Ruinas, Emilio Settimelli, Edgardo Sulis, Ruggero Zangrandi. E quella dei giornalisti, anzi, è la categoria percentualmente «più pagata» dell’universo culturale del regime. Non mancano neppure, nella lista, esponenti dello spettacolo come il regista Enrico Fulchignoni, l’attrice Irma Grammatica, i musicisti Pietro Mascagni e Onesto Murolo. Se si passa, poi, agli elenchi relativi alle sovvenzioni occasionali, si ritrova gran parte dell’intellettualità italiana del tempo, da Goffredo Bellonci a Sem Benelli, da Romano Bilenchi a Vitaliano Brancati, da Achille Campanile a Lucio d’Ambra, da Libero de Libero a Curzio Malaparte, da F. T. Marinetti a Salvatore Quasimodo da Ottone Rosai a Sante Monachesi, da Francesca Bestini a Paola Borboni.Lo studio dei finanziamenti elargiti dal fascismo agli intellettuali è illuminante non solo per comprendere - come è negli intendimenti dell’autore - il funzionamento della «macchina del consenso», ma anche per capire le biografie individuali e per cercare di spiegare i motivi per i quali molti intellettuali, che nel dopoguerra si sarebbero trovati su posizioni politiche diverse, si lasciarono sedurre dalle sirene del regime. In proposito, uno dei più grandi giornalisti del Novecento, Giovanni Ansaldo, che, dopo essere stato antifascista avrebbe diretto il quotidiano della famiglia Ciano e nel dopoguerra Il Mattino di Napoli, in un gustoso articolo, pubblicato sotto pseudonimo nel marzo 1948, spiegò, cinicamente ma verosmilmente, il rapporto tra Mussolini e gli intellettuali sostenendo che gli artisti hanno sempre avuto nostalgia delle carezze degli uomini di governo. E di Ansaldo - il cui nome non è in alcuna delle liste di percettori di finanziamenti o sovvenzioni - Mussolini disse che era uno dei pochi giornalisti italiani con i quali fosse possibile «discutere di cultura del fascismo» e che, in un panorama affollato di persone che dicono sempre «sì!», quest’uomo - che pure faceva «sforzi eroici per sentirsi fascista» e membro del partito cui era stato iscritto d’autorità da Ciano per affidargli la direzione di Il Telegrafo - era persino capace di dire «no!». Che è un riconoscimento non da poco.

mercoledì 31 marzo 2010

SEZIONE “Studenti e cultori della materia”
Progetto Storia in Laboratorio
Seminari di Studio sulla Guerra di Liberazione
ANRP ANEI ANCGLIRRFA

I SEMINARIO
LA CRISI ARMISTIZIALE
DALLA CADUTA DEL FASCISMO ALLA PROCLAMAZIONE DELL’ARMISTIZIO
Roma 9 aprile 2010, Casa della Memoria ore 14,30
Roma, 10 Aprile 2010, ore 9,30 Palazzo Salviati – Tensostruttura


I Tornata.
La situazione pregressa e la situazione Militare
Coordina Massimo Coltrinari


Programma

Ore 14,30 – Saluti di Benvenuto
. Amb. Alessandro Cortese de Bosis
. Dott. Stefano Caccialupi
. Prof. Enzo Orlanducci

– Massimo Coltrinari Introduzione al Seminario

- Alberto Marenga, “Il Secondo Risorgimento” e il Seminario. Da Chianciano a
Roma

– Giorgio Prinzi – Salvare Il Salvabile. Una Ipotesi II Parte

Ore 15.00 – Pierivo Facchini : La Campagna di Tunisia quale prologo allo sbarco in Sicilia
ed alla caduta del fascismo

Ore 15,30 – Gianluca Bonci: La Campagna di Sicilia

Ore 16.00 - Claudio Bencivegna La situazione delle FF.AA. Italiane alla vigilia dell’8
Settembre in Italia

Ore 16,30 – Michele Cuccaro: Riflessioni sull’estate del 1943

Ore 17,00 - Ruggero Cucchini: L’Italia nel tunnel. La situazione dei reparti italiani l’8
settembre e i prodomi dell’intermanento

Ore 17,30 – Osvaldo Biribicchi – La Lotta per il Potere II parte

Ore 18,00 – Francesco Elia: Il diritto internazionale e gli eventi del 1943 in Italia

Ore 18,30 - Interventi.



II Tornata
10 aprile 2010 ore 9,30 -12,30

Per gli Italiani il momento delle scelte.
I Presupposti della Guerra di Liberazione
Coordina: M Coltrinari


Ore 9,30 – Massimo Coltrinari: Introduzione . Per gli Italiani il momento delle scelte

Ore 9,45 – Alessandra Poggi Il 25 luglio 1943

Ore 10,00 – Elena Mazzone l’8 settembre 1943 in Calabria

Ore 10,30 – Chiara Albanese: L’8 settembre 1943 in Sicilia

Ore 10.45 – Antonio Spadafora: La Svizzera e l’8 Settembre

Ore 11,00 – Anna La Rosa. L’estate del 1943. Il momento delle scelte

Ore 11,15 - Azzurra Gianchetta. Gli Italiani: il momento delle scelte

Ore 11,30 - Annalisa Manfreda. Gli Italiani: il momento delle scelte

Ore 11,45 : Interventi:
Giuseppe Suglia, Roberto Ceresoli, Stefano Trevisano, Giuseppe Galliano

Ore 12.00: Massimo Coltrinari. Conclusione
***


martedì 23 marzo 2010

Sezione
Studenti e Cultori della materia
Riunione del 21 marzo 2010
Chianciano
Sono state poste le basi per una nuova “scuola” di storici non ideologizzati con i quali sarà possibile riscrivere, ma in alcuni casi scrivere per la prima volta, gli eventi di uno dei periodi più tragici per l’Italia, quello legato alle vicende armistiziali dell’8 Settembre 1943, alle scelte che vennero individualmente o in gruppo fatte dai singoli, militari o civili che fossero, delle conseguenze di tali scelte, spesso imposte dal contingente, che sfociarono in tragedie ancora poco note o addirittura ignorate se si esclude i pochi super informati addetti ai lavori.
L’occasione è stata data da un seminario di studi della durata di due giorni che si è svolto a Chianciano nell’ambito del Consiglio Nazionale dell’Associazione Nazionale Combattenti della Guerra di Liberazione inquadrati nei Reparti regolari delle Forze Armate (Ancfargl) che ha sancito la nascita di una nuova sezione specialistica denominata “Studiosi e cultori della materia” alla quale saranno ammessi, dopo un periodo di prova biennale, studiosi avviati o giovani promettenti leve impegnati in dottorati di ricerca su materie attinenti la Guerra di Liberazione. L’iniziativa fa seguito alla creazione da parte dell’organo associativo, la rivista “il Secondo Risorgimento d’Italia” scaricabile dalla pagina web http://www.secondorisorgimento.it/rivista/sommari/quadrosommari.htm, di una collana di volumi, di cui il sesto della serie “Salvare il salvabile” ha costituito il filo conduttore del seminario nonostante esso sia ancora in fase avanzata di pubblicazione, ma ancora in bozze di stampa e non in libreria.
La tesi sostenuta dal volume è fortemente innovativa, se pure non originale in assoluto come ipotesi, comunque sotto il profilo del “quadro indiziario” di fonti documentali ad essa convergenti appare articolata e ben argomentata, come mai in precedenza, nel delineare uno scenario in cui una fazione, se non il vertice politico militare del tempo nel suo complesso, aveva intrapreso le trattative armistiziali con il fine ultimo di adescare, in perfetto accordo con la Germania ancora alleata, gli angloamericani in una trappola, in un inganno strategico volto a sfruttare le informazioni scambiate in sede di trattative per ributtarli in mare e magari riconquistare la Sicilia che Hitler il 19 luglio a Feltre aveva descritto come la futura Stanlingrado della coalizione nemica.
Il piano ipotizzato nel volume di prossima pubblicazione e commercializzazione non avrebbe però funzionato all’atto pratico per il crollo del fronte interno che il regime aveva sottovalutato, nonostante a seguito dell’avvicendamento di Mussolini con Badoglio il 25 luglio avesse dovuto ricorrere al metodo del bastone (forti misure di ordine pubblico) e della carota, proclamando la caduta del fascismo, sia pure con l’instaurazione di un governo militare e non della democrazia pre regime.
Ai giovani studiosi (età media 30 anni) che hanno partecipato al seminario il direttore e coordinatore Massimo Coltrinari aveva solo fornito uno spunto di approfondimento, senza neppure fare loro leggere, per non influenzarli, il relativo capitolo del volume “Salvare il salvabile”. Il risultato delle loro ricerche è stato sorprendente, in particolare per quanto riguarda una delle argomentazioni a sostegno della tesi di “inganno strategico” secondo la quale la cosiddetta “fuga da Roma” fu un semplice trasferimento a Chieti, dove nel requisito Palazzo Mezzanotte si era cominciato a mettere in piedi una sorta di comando supremo prima che gli eventi, sfuggiti di mano, portassero ad un cambio di programma e l’imbarco sulla corvetta “Baionetta” per fare rotta verso Brindisi e formalizzare quella resa, che avrebbe dovuto invece, secondo l’ipotesi del libro, fungere da specchietto per le allodole. Numerosi gli elementi aggiuntivi frutto di una ricerca condotta in loco, rispetto quelli già riportati in “Salvare il salvabile”, nel senso del potere e delle istituzioni del tempo.
Perora non possiamo dire di più, se non che, in particolare le relazioni relative ai reparti italiani impiegati all’Estero e colti dall’armistizio oltremare, hanno disegnato uno scenario che è difficile immaginare.
Nel congedarci, Massimo Coltrinari ci informa che una analoga due giorni di più ampio respiro si terrà a Roma il 9 e 10 aprile prossimi. Non dispera in quei giorni di avere in mano le prime copie definitive del libro.
Giorgio Prinzi

martedì 19 gennaio 2010

IL PROCESSO DI NORIMBERGA E LE SUE EREDITA’ GIURIDICHE


1. PREMESSA
Circa sessant’anni anni fa, Il 1° ottobre del 1946, il Presidente del Tribunale di Norimberga, lord Geoffrey Lawrence, pronunciò il verdetto.[1] Furono comminate 12 condanne a morte, di cui una in contumacia. La data dell’esecuzione fu fissata per il 16 ottobre. Hermann Goring, l’imputato più importante al processo[2], si tolse la vita il giorno prima con una fialetta di cianuro. La notte successiva furono eseguite 10 impiccagioni in 103 minuti, utilizzando tre grandi forche issate all’interno della palestra del carcere di Norimberga. Il boia era John Wood , un sergente americano che morì qualche anno più tardi collaudando di persona una sedia elettrica[3]. Le ceneri dei gerarchi nazisti furono sparse dopo l’esecuzione nel letto del fiume Isar. Svanirono così, complice anche il destino, le tracce di alcuni tra i più significativi protagonisti di Norimberga.
Il processo di Norimberga offrì alla comunità internazionale le basi, etiche prima ancora che giuridiche, per perseguire quegli individui che si erano macchiati dei più gravi crimini contro il diritto dei popoli (crimini di guerra, crimini contro l’umanità e crimini contro la pace)[4]. Si prescindeva, a tal fine, da taluni principi cardine del procedimento penale, per affermare con forza il diritto punitivo della comunità internazionale verso i crimini lesivi di valori universali[5].
Ma dopo Norimberga - e Tokyo sul versante orientale[6] - vi fu una stasi dell’attività dei Tribunali internazionali, legata al lungo periodo della guerra fredda. In questo periodo i principi di Norimberga non furono più applicati, nonostante non fossero mancate le occasioni per farlo (ad esempio in Cambogia, in Vietnam, in Algeria, e così via).
Dopo la caduta del Muro di Berlino, le emergenze umanitarie degli anni ‘90 hanno imposto alla comunità internazionale un cambio di rotta. Importante, in tal senso, è stato anche il ruolo dei media che hanno portato nei salotti di tutto il mondo le atrocità commesse nelle aree di conflittualità. Ciò ha spinto la comunità internazionale a reagire con la costituzione dei Tribunali ad hoc (ex-Jugoslavia, Ruanda) e dei Tribunali ibridi (Sierra Leone, Timor Est, Kosovo) prima, e della Corte Penale Internazionale poi.
In tale contesto, si tratta di verificare se i moderni Tribunali internazionali abbiano mantenuto lo “spirito” di Norimberga e, conseguentemente, esaminare in quali termini sia corretto oggi, a distanza di sessant’anni, parlare di eredità giuridica di Norimberga.

2. L’EREDITA’ DA RIFIUTARE
Lo statunitense Robert Jackson, capo dell’accusa a Norimberga, durante un suo intervento del 21 novembre 1945, manifestò la speranza che quel processo potesse “apparire ai posteri come l’adempimento dell’aspirazione umana alla giustizia”.
Non occorre un’analisi particolarmente profonda per constatare, con una nota di rammarico, che quella nobile speranza è rimasta in parte disattesa.
Le critiche al Tribunale di Norimberga furono aspre e riguardarono principalmente il mancato rispetto di alcuni canoni del giusto processo, con particolare riferimento alla violazione dei principi della irretroattività della legge penale e della giustizia uguale per tutti[7].

a. Il principio di irretroattività della legge penale
Tra i principi universalmente riconosciuti a cui si ispira il diritto penale, quello della irretroattività della legge penale (nullum crimen, nulla poena sine lege praevia) occupa un posto di rilevanza assoluta.
Proprio sulla presunta violazione di questo principio furono sollevate le maggiore critiche al Tribunale di Norimberga, che secondo i più fondò i suoi verdetti su leggi create post factum. Tali critiche non erano riferite ai crimini di guerra, la cui punibilità era già da tempo riconosciuta dal diritto internazionale dei conflitti armati[8], quanto ai crimini contro l’umanità e ai crimini contro la pace.
In ordine alla prima fattispecie (crimini contro l’umanità), i crimini commessi all’interno di uno Stato sovrano contro i propri cittadini erano allora considerati quali affari interni, ove il diritto internazionale non poteva assolutamente interferire. Ma non si intendeva lasciare impuniti tali crimini[9]. Si cercò così di superare il problema attraverso un artifizio interpretativo, dichiarando punibili solo i crimini contro l’umanità in stretta connessione temporale con i crimini di guerra. Pertanto tutti i crimini commessi prima dell’inizio della guerra, compreso lo sterminio di massa degli ebrei già cominciato, non rientrarono in questa categoria e rimasero impuniti[10].
Tali argomentazioni giuridiche appaiono poco convincenti. Ritenuto giusto e prioritario punire i responsabili di tali crimini, allora si sarebbe dovuto ammettere, chiaramente, l’infrazione del principio di irretroattività della legge penale. Difatti tale principio, nel caso di specie, poteva anche essere sacrificato da superiori esigenza di giustizia, in quanto in conflitto con altri interessi maggiormente meritevoli di tutela giuridica (quali la repressione dei più gravi crimini contro l’umanità).
Anche in relazione alla seconda fattispecie (crimini contro la pace per aver diretto guerre di aggressione contro altri Stati), valgono le medesime argomentazioni. E’ vero che la Germania aveva firmato nel 1928 il patto Briand-Kellogg[11] e, con tale adesione, aveva espressamente rinunciato alla guerra di aggressione. Tale patto, tuttavia, non prevedeva alcuna sanzione per i trasgressori. In altri termini, pur costituendo il crimine in parola una palese violazione del diritto delle genti, nessuna norma del diritto internazionale prevedeva la sua punibilità. Anche in questo caso, pertanto, si sarebbe dovuta ammettere esplicitamente la violazione del principio di irretroattività, da sacrificare per superiori esigenze di giustizia.
In tal senso, come sostiene il Merkel, “il principio che i crimini più gravi non possono rimanere impuniti, se non si vuole far vacillare la coscienza della legge della collettività, acquista un peso maggiore del divieto di retroattività” [12].

b. La giustizia dei vincitori
A Norimberga fu sollevata dalla difesa anche la questione della giustizia dei vincitori sui vinti, talvolta a prescindere dalla gravità dei crimini commessi da entrambe le parti. Nessun procedimento giudiziario fu infatti intentato a carico degli alleati.
Con riferimento ai crimini di guerra, Sergio Bertelli ha recentemente pubblicato un saggio sull’inutilità della maggioranza degli attacchi aerei alleati[13]: “A Norimberga mancavano alcune sedie”, sostiene l’Autore con riferimento a tali attacchi. Ed in effetti le forze alleate, durante la seconda guerra mondiale, condussero tantissimi bombardamenti devastanti, non tutti operativamente giustificabili[14]. Basta citare il nome di alcune città per ricordare: Rotterdam, Coventry, Londra, Dresda, Roma, Milano, in parte la stessa Norimberga. Ed ancora, sul versante orientale, Hiroshima e Nagasaki.
La stessa eccezione fu sollevata dalla difesa per il crimine di aggressione, atteso che l’Unione Sovietica, che sedeva sul tavolo degli accusatori, aveva invaso la Polonia a seguito del patto “segreto” Hitler-Stalin del 1939.
Lord Geoffrey Lawrence, Presidente del Tribunale di Norimberga, chiamato ad esprimersi su questi fatti potenzialmente lesivi dei principi del giusto processo, liquidò definitivamente la questione con queste parole: ”Non sediamo qui per giudicare se altre potenze non abbiano rispettato lo ius gentium, o abbiano commesso delitti contro l’umanità o crimini di guerra. Siamo qui per giudicare questi imputati per questi fatti”[15].
La legge non fu uguale per tutti neanche tra i vinti. Difatti, nel nostro Paese non vi fu una Norimberga italiana. Uno dei pochi a pagare fu il Gen. Nicola Bellomo (Comandante del Presidio militare di Bari, che tra l’altro fu insignito di medaglia d’argento per le operazioni militari contro i tedeschi nella difesa del porto di Bari). Nell’immediato dopoguerra fu condannato a morte da una Corte militare inglese con l’accusa di avere ucciso personalmente due ufficiali inglesi prigionieri nel campo pugliese di Torre Tresca dopo un tentativo di fuga. Il Gen. Bellomo sosteneva che ai militari fu sparato mentre fuggivano (l’uccisione in caso di fuga era allora ammessa dalle consuetudini internazionali, fatto che ora è invece ammesso solo in casi estremi). La Corte ritenne invece che i due erano stati uccisi dopo la cattura, e che quindi si trattò di una vera e propria esecuzione (vietata dall’art. 211 c.p.m.g., che recepiva l’ art. 8 della IV Convenzione dell’Aja del 1907 sulla guerra terrestre). Fu fucilato da un plotone d’esecuzione a Nisida l’11 settembre 1945[16].
La questione della giustizia amministrata dai vincitori è stata nuovamente riproposta nel Tribunale ad hoc per l’ex Jugoslavia, ove Slobodan Milosevic ha sostenuto durante il processo di “partecipare ad una gara di nuoto con le mani e i piedi legati”.[17] La stessa eccezione è stata più di recente sollevata in aula da Saddam Hussein nel corso del processo instaurato dinanzi al Tribunale speciale iracheno[18].
Nei casi esaminati, non si può invocare il precedente di Norimberga, in base al quale sarebbe lecito processare il solo criminale di guerra nemico militarmente sconfitto. Fare giustizia non vuol dire perseguire e condannare esclusivamente coloro che, tra i vinti, hanno infranto le leggi dell’umanità. Significa, anche, garantire una legge uguale per tutti e che questa, poi, sia effettivamente applicata. Il mondo non si dovrebbe infatti dividere in buoni (vincitori) e cattivi (perdenti). I criminali di guerra possono appartenere a tutte le forze in campo e i crimini di guerra devono sempre essere perseguitati da indipendentemente da chi li abbia commessi[19].
Anche gli Stati vittoriosi, dunque, devono accettare che i propri cittadini, qualora responsabili di gravi violazioni di norme dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, siano sottoposti a processo.

3. L’EREDITA’ DA ACCETTARE
Ma il processo di Norimberga, certamente censurabile da un punto di vista giuridico, era forse il meglio che la comunità internazionale in quel dato momento storico potesse esprimere.
Oggi, dopo 60 anni, qualcosa è cambiato, soprattutto con riferimento ai principi del giusto processo, che trovano piena affermazione nello Statuto della Corte Penale Internazionale (ma solo per gli Stati che vi hanno aderito)[20]. Questo non intacca, tuttavia, l’importanza dell’esperienza di Norimberga, la cui vera eredità giuridica è legata alla trasmissione di alcuni principi importanti: tra questi, quello che l’ordine superiore non libera dalla responsabilità penale e, soprattutto, quello della legittimazione della giurisdizione penale universale.

a. L’ordine superiore e la responsabilità penale
In base a quanto affermato dai giudici di Norimberga, l’ordine superiore non libera da responsabilità penale. Ne consegue che il combattente, quando l’ordine è manifestamente illegittimo, ha il dovere non eseguire l’ordine e ribellarsi ad esso. Il principio, importantissimo, è stato oggi recepito dagli ordinamenti dei tribunali internazionali, ed in particolare dallo Statuto della Corte Penale Internazionale. Ai sensi dell’’art. 33 di tale Statuto, infatti, la circostanza che il crimine di guerra sia avvenuto per esecuzione di un ordine del Governo o del superiore non fa venir meno la responsabilità penale (peraltro, l’ordine di commettere atti di genocidio o crimini contro l’umanità è considerato sempre palesemente illegittimo).

b. La legittimazione della giurisdizione penale universale
Ma il più importante principio, per la prima volta affermato a Norimberga, è quello della legittimazione della giurisdizione penale della comunità internazionale, che si sostanzia attraverso una limitazione del potere statale di fronte a gravi violazioni di valori universali.
Principio che, sia pur attraverso un cammino difficile, ha trovato ospitalità nello Statuto della Corte Penale Internazionale. Come è stato sottolineato da un insigne giurista italiano[21], infatti, "lo Statuto di Roma vuole rappresentare la piena affermazione di un diritto punitivo della Comunità internazionale su tutti gli individui colpevoli dei più gravi crimini contro la pace e la sicurezza del genere umano”.
Lo scopo principale della giurisdizione penale universale, in tal senso, è quello di “ristabilire simbolicamente la norma infranta in nome della collettività”[22], atteso che le norme violate senza alcuna sanzione tendono ad indebolirsi e scomparire dall’ordinamento giuridico, anche nel caso di norme poste a tutela di valori universali.
Senza il seme di Norimberga difficilmente si parlerebbe, oggi, di una giustizia penale universale.

4. L’EREDITÀ IGNORATA
Ma dall’esperienza di Norimberga si potevano trarre altri utili ammaestramenti, non sempre recepiti negli Statuti dei moderni Tribunali internazionali. Il riferimento, in particolare, è al fattore tempo e al fattore luogo, ossia all’importanza che il processo si concluda in tempi ragionevoli e si svolga, laddove le circostanze ambientali lo consentano, sul luogo di commissione dei crimini.

a. Fattore tempo (conclusione del processo in tempi ragionevoli)
Il processo di Norimberga si svolse dal 20 novembre 1945 al 1° ottobre 1946, con una durata complessiva inferiore ad un anno. La conclusione rapida era legata alla convinzione che tempi processuali troppo lunghi avrebbero potuto non assicurare quella giustizia che la comunità internazionale chiedeva invece a gran voce.
Ebbene, questi insegnamenti non sempre sono stati presi in considerazione negli ultimi anni. Ad esempio, l’attività del Tribunale ad hoc per l’ex Jugoslavia si è contraddistinta per una giustizia lenta e macchinosa (in 14 anni di attività, sono state incriminate 161 persone e si sono conclusi processi contro 94 accusati, con un numero limitato di condanne[23]).
Recentemente un gruppo di esperti in diritto internazionale umanitario ha effettuato una ricerca sulla deterrenza della pena[24]. In questa ricerca è emersa l’importanza della rapidità nella sanzione, in quanto non c’è giustizia senza rapidità. In tal senso, ritardare la giustizia è come negare la giustizia. Si conferma così, a distanza di anni, l’importanza del fattore tempo nella conclusione di un processo internazionale per crimini contro il genere umano, il tutto in linea con gli insegnamenti di Norimberga[25].

b. Fattore luogo (svolgimento del processo, ove possibile, sul luogo del crimine)
Norimberga è il luogo ove furono emanate le leggi razziali del 1935. La scelta di Norimberga quale città simbolo del potere nazista e della persecuzione contro gli ebrei non fu pertanto casuale[26].
A distanza di anni, alcuni Tribunali internazionali sono stati istituiti nei Paesi ove i crimini sono stati commessi. E’ il caso, ad esempio, del Tribunale ibrido per la Sierra Leone, con sede a Freetown, che ha ottenuto risultati decisamente confortanti: la gente crede nella giustizia in quanto, nel caso di specie, è più facile acquisire prove testimoniali ed assicurare i colpevoli alla legge.[27]
La stessa esperienza positiva si è registrata anche a Sarajevo con la Camera per i crimini di guerra in Bosnia ed Erzegovina; si tratta di un Tribunale ibrido, in quanto vi è una presenza di due giudici internazionali e di un giudice locale. Lavora con solo il 5% del budget del Tribunale ad hoc per la ex-Jugoslavia ma, dopo poco più di 1 anno di attività, ha già trattato sei casi e tre di essi sono già in appello. Questa Camera è fondamentale nel processo di riconciliazione in atto nel Paese, perché è importante la percezione che la giustizia sia fatta (“Justice must not only be done, but seen to be done”[28]).
Pertanto, quali utili ammaestramenti dall’esperienza di Norimberga in ordine al fattore luogo, si può affermare che la giustizia deve essere non solo fatta, ma anche avvertita dalla popolazione locale (facendo attenzione che la giustizia conseguita sia quanto più possibile aderente alla giustizia che la popolazione locale si attende). Conseguentemente, quando le circostanze ambientali e di sicurezza lo consentano, sarebbe opportuno portare il tribunale sul luogo del crimine[29].

5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Ritorno sui crimini lesivi di valori universali che, per la prima volta, tra luci e ombre, il Tribunale di Norimberga ha cercato di sanzionare.
I fatti, come visto, hanno dimostrato che il monito dell’umanità di non tollerare mai più le gravissime atrocità poste in essere durante la seconda guerra mondiale è rimasto in parte inascoltato,[30] a causa del ripetersi di crimini di guerra e crimini contro l’umanità senza una reazione forte, decisa e coerente della comunità internazionale.
Dopo e nonostante il processo di Norimberga, la giustizia internazionale non sempre è riuscita ad affermarsi, apparendo selettiva in quanto ai crimini da perseguire e condizionata dagli interessi statali. Anche la Corte Penale Internazionale ancora oggi stenta a decollare, condizionata fortemente dalla mancata ratifica dello Statuto di Roma da parte di molti Stati di importanza strategica nello scacchiere mondiale. Viene così in parte disattesa la speranza di una piena affermazione di un diritto punitivo sovranazionale su tutti gli individui che si sono macchiati dei più gravi crimini contro il genere umano.
Ma il valore etico e giuridico di Norimberga va oltre tutto ciò: grazie a Norimberga, si può oggi dire che, pur in un sistema ancora in evoluzione, la comunità internazionale voglia sempre più affermarsi quale giudice non più tollerante verso chi offende gravemente la coscienza etica e giuridica dei popoli, anche per crimini commessi all’interno del proprio Paese nei confronti della propria gente[31].
Il processo di Norimberga, dunque, pur con le sue tonalità in chiaro e scuro, rappresenta una grande conquista e un’importante tappa verso la civiltà giuridica. Non è infatti importante che, a Norimberga, i principi del giusto processo siano stati sempre pienamente rispettati. Essenziale è stato invece - come affermato sessant’anni fa dal Calamandrei - che “la violazione delle leggi dell’umanità abbia cominciato a trovare un tribunale e una sanzione. Quel che conta è il precedente, che domani varrà come legge per tutti, per i vinti e per i vincitori.”[32] Nella sentenza di Norimberga, pertanto, c’è racchiusa, implicita, la ferma condanna delle più gravi atrocità contro il genere umano e in tal senso deve essere considerata, valorizzata e attualizzata la sua eredità.

[1] A Norimberga si tennero anche altri dodici processi minori, ma il più importante fu il primo, che vide come imputati i ventuno alti gerarchi nazisti superstiti. Il Tribunale di Norimberga fu costituito dalle 4 potenze vincitrici della 2^ guerra mondiale (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica).
[2] Comandante della Luftwaffe e tra gli artefici del riarmo nazista.
[3] Cfr. Enzo Biagi, La seconda guerra mondiale. Parlano i protagonisti. Il terzo Reich muore in palestra, Rizzoli, Milano, 1989.
[4] Crimini previsti dall’art. 6 dello Statuto del Tribunale di Norimberga.
[5] Cfr. Massimo Nava, L’arma spuntata del giudizio universale, Corriere della Sera, 12 luglio 2002.
[6] Il Tribunale di Tokyo (o Tribunale internazionale per l’estremo oriente) fu istituito il 9 gennaio 1946 per giudicare i crimini contro il genere umano commessi dai giapponesi. Vi facevano parte rappresentanti dell’Australia, del Canada, delle Filippine, della Nuova Zelanda e dell’Olanda. Si concluse nel novembre del 1948.
[7] Tra i principi violati, vi è anche quello del mancato ricorso al giudice naturale precostituito per legge, atteso che il Tribunale di Norimberga è stato istituito post factum.
[8] Cfr. Edoardo Greppi, I crimini di guerra e contro l’umanità nel diritto internazionale, Utet, Torino, 2001, p. 67. L’autore evidenzia che “se è vero che la componente di diritto convenzionale risaliva a pochi decenni prima (Aja 1907, Ginevra 1929), la parte consuetudinaria appariva antica e consolidata”. A conferma di ciò, alcuni Tribunali nazionali, che dopo Norimberga furono chiamati a giudicare su crimini di guerra commessi durante la 2^ guerra mondiale, fecero ampio ricorso al diritto consuetudinario. Ad esempio, la Corte marziale di Bruxelles nel 1950 condannò un Ufficiale tedesco capo dei campi di detenzione in Belgio accusato di gravi sevizie contro i PoWs. La difesa aveva fatto notare come il diritto dell’Aja allora vigente non vietava atti di sevizie e tortura. Tuttavia non si poteva non punire. La Corte applicò la clausola Martens secondo cui “… i civili ed i combattenti rimangono sotto la protezione e l’imperio del diritto delle genti, quali risultano dalle consuetudini stabilite [fra le nazioni civili], dai principi di umanità e dai precetti della pubblica coscienza.”. Tale clausola, che tutela le parti deboli di un conflitto offrendo loro talune garanzie minime, è di origine consuetudinaria (anche se poi ripresa nel tempo in tutte le più importanti Convenzioni). Recentemente, anche il Tribunale ibrido per la Sierra Leone ha giudicato sulla base del diritto internazionale consuetudinario, condannando l’ex Ministro della Difesa (Hinga Norman) al crimine di arruolamento dei bambini minori di 15 anni. La difesa sosteneva che il crimine non era contestabile in base alle leggi internazionali vigenti nel periodo in cui i fatti erano stati commessi. La Corte, con una maggioranza di 3 a 1, ha sostenuto invece che il reato era già previsto dalle consuetudini internazionali.
[9] Il Pubblico Ministero Robert Jackson, nella sua ultima requisitoria, rivolgendosi ai giudici così concluse: “Se voi dite che questi uomini non sono colpevoli, sarebbe come dire che non c’è stata guerra, non c’è stato massacro, non ci sono stati crimini”.
[10] Cfr. Reinhard Merkel, Norimberga e la giustizia degli uomini, 17 novembre 1995, visionabile al sito www.presentepassato.it.
[11] Il patto Briand-Kellogg fu firmato il 27 agosto del 1928 da 15 Stati e successivamente da altri 50. Con esso erano consentite le solo guerre di difesa o di sanzione autorizzate dalla comunità internazionale.
[12] Reinhard Merkel, Norimberga e la giustizia degli uomini, cit.
[13] Sergio Bertelli, Le piccole Dresda d’Italia, Ideazione, luglio-agosto 2005.
[14] Durante i bombardamenti della 2^ guerra mondiale, i rappresentanti delle forze alleate (in particolare Churchill) sostennero che i loro attacchi erano giustificati per rappresaglia (in quei tempi non vietata anche se condotta contro la popolazione civile).
[15] Anche il Tribunale di Tokyo, chiamato in causa sul bombardamento atomico degli alleati, giudicò, non senza imbarazzo, la questione non pertinente.
[16] Cfr. Sergio Dini, Il contributo della giurisprudenza italiana all’evoluzione del diritto umanitario, in Studi di diritto internazionale umanitario di Giuseppe Porro, Giappichelli editore, Torino, 2004; Federico Marzollo, Ancora un approfondimento sul Gen. Bellomo, Vita associativa. L’Autore fa riferimento ad un documentario prodotto dalla BBC nel 1980 relativo al processo farsa contro il Gen. Bellomo, ove sembra che la decisione di condanna a morte fosse già stata presa dallo staff civile inglese prima della costituzione della Corte militare.
[17] In ordine alle presunte responsabilità della NATO durante le operazioni militari nell’ex-Jugoslavia, il Procuratore del Tribunale, Carla Del Ponte, aveva nominato in data 14 maggio 1999 un Comitato di esperti allo scopo di verificare se il materiale probatorio potesse giustificare l’apertura di una istruttoria. Il 2 giugno 2000 il Procuratore ha comunicato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la propria decisione di non procedere, accogliendo le conclusioni del rapporto redatto dal Comitato di esperti, con le quali non si riteneva utile che fossero condotte ulteriori investigazioni da parte del Procuratore in quanto la normativa non appariva sufficientemente chiara ed era improbabile che le indagini potessero portare all’acquisizione di materiale probatorio tale da poter sostenere le accuse.
[18] Il Tribunale speciale iracheno è stato istituito, come i Tribunali ad hoc, post factum. La sua procedura non sempre appare ispirata ai principi del giusto processo. Sul punto cfr. Natalino Ronzitti, Esiste una giustizia internazionale in grado di processare i capi di Stato?, visionabile al sito www.affarinternazionali it.
[19] Cfr. Arturo Marcheggiano, “Alcune Proposte”, contributo scritto nell’ambito della XXIX tavola rotonda sui problemi del DIU sul tema ”Giustizia e riconciliazione: un approccio integrato” tenuta dal 7 al 9 settembre 2006 a Sanremo presso l’Istituto internazionale di diritto umanitario.
[20] La Corte Penale Internazionale è stata istituita nel 2002 a seguito dell’entrata in vigore del suo trattato istituzionale del 1998 (raggiungimento 60^ ratifica). Gli Stati che sinora hanno aderito sono 104: tra questi non compaiono Cina, Giappone, Russia, Stati Uniti ed altri importanti Paesi. La Corte ha una giurisdizione complementare, ossia è competente solo qualora lo Stato avente titolo non possa o non voglia giudicare il colpevole. La Corte è rispettosa del principio del giudice naturale precostituito per legge (trattasi di un tribunale permanente) e del principio di irretroattività della norma penale (giudica infatti solo sui fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore).
[21] Giuliano Vassalli, Statuto di Roma. Nota sull’istituzione di una Corte Penale Internazionale, in Rivista di studi politici internazionali, 1991, pag. 10.
[22] Reinhard Merkel, Norimberga e la giustizia degli uomini, cit.
[23] Dati ricavati dal 13° Rapporto annuale del Tribunale per l’ex-Jugoslavia, consultabile in internet sul sito www.un.org/icty.
[24] I risultati della ricerca sono stati presentati a Sanremo presso l’Istituto internazionale di diritto umanitario nell’ambito della XXIX tavola rotonda sui problemi del DIU (6/8 settembre 2006).
[25] Un processo rapido non è tuttavia sempre possibile. Ad esempio nel caso del Tribunale internazionale per il Ruanda, ove il numero dei possibili imputati tra gli Hutu era talmente elevato che non consentiva una chiusura rapida del processo.
[26] Sulla scelta incisero anche motivazioni logistiche. Infatti Norimberga offriva un Palazzo di giustizia ancora intatto e un carcere posto nelle immediate vicinanze.
[27] Intervento del Prof. David Crane, già Procuratore Capo del Tribunale per la Sierra Leone, tenuto a Sanremo presso l’Istituto internazionale di diritto umanitario nell’ambito della XXIX tavola rotonda sui problemi del DIU in data 8 settembre 2006.
[28] Intervento del Giudice Almiro Rodriguez, della Camera per i crimini di guerra in Bosnia ed Erzegovina, tenuto a Sanremo presso l’Istituto internazionale di diritto umanitario nell’ambito della XXIX tavola rotonda sui problemi del DIU in data 8 settembre 2006.
[29] L’osservazione è valida per i tribunali internazionali, nei cui Statuti non è prevista la comminazione della pena di morte. Ne deriva l’inopportunità di processare un criminale sul luogo del crimine dinanzi a tribunali nazionali, qualora l’ordinamento locale preveda la sanzione della pena di morte (come nel caso del Tribunale speciale iracheno).
[30] In tal senso continua purtroppo a mantenere una sua attualità, nonostante le conquiste giuridiche dell’umanità, il vecchio brocardo latino “Inter arma silent leges”, poi ripreso nel 1999 dal giudice della Corte Suprema USA William Renqwist con la formulazione “The laws are not silent in war time. They speak with a muted voice”.
[31] La giustizia penale, perché abbia un senso compiuto, deve tuttavia essere accompagnata da un processo di riconciliazione nazionale. E’il caso dell’Africa del Sud, ove vi è stato un processo di riconciliazione riuscito, attraverso la rinuncia a perseguire taluni crimini (per evitare di umiliare il perdente), ma senza cadere mai nella trappola dell’impunità.
[32] Piero Calamandrei, Le leggi di Antigone, Il Ponte, novembre 1946, visionabile al sito www.presentepassato.it.

domenica 17 gennaio 2010

Paolino Orlandini
".................. e si scatenò la seconda Guerra Mondiale"
Una ricerca articolata su tredici capitoli, dedicata agi studenti impegnati nel Progetto Storia in Laboratorio
Paolino Orlandini è Medaglia d'Argento al valor Militare, Partigiano combattente e volontario nei Gruppi di Combattimento
Presidente
della Sezione di Ancona
della Associazione Nazionale Combattenti della Guerra di Liberazione
I Capitoli della ricerca sono riportati sul blog in 13 post numerati da 1 a 13 sotto la data del 17 gennaio 20010
informazioni : ricerca23@libero.it
approfondimenti:risorgimento23@libero.it
La ricerca di Paolino Orlandini può essere integrata con gli articoli pubblicati sulla rivista "Il Secondo Risorgimento d'Italia", disponibile on line
all'indirizzo:entra/sezione rivista/indici
Capitolo 1
Paolino Orlandini "............................... e si scatenò la Seconda Guerra Mondiale"

DARE A CESARE QUELLO CHE E’ DI CESARE
Una considerazione generale

Tanto si è scritto sulla Seconda guerra mondiale. Libri su libri; libri ridotti o trasformati in film; documentari cinematografici, articoli su giornali e riviste; conferenze di storici e ricerche storiche trasmesse dai tanti canali televisivi. I più grandi avvenimenti sono stati ricordati in centinaia, se non migliaia, di cerimonie e commemorazioni. Celebrati e osannati generali, anche i più mediocri che impararono a condurre grandi unità nel corso della guerra che si sviluppò in Italia.
A leggere i libri ed i servizi giornalistici o a seguire le celebrazioni o le conferenze di storici, si è sentito parlare del grande apporto alla lotta per la liberazione dei popoli e per la democrazia, delle sole grandi potenze cosiddette “occidentali”, come se fossero state le uniche a battersi contro il nazi-fascismo. Della Potenza che pagò con oltre 20 milioni di morti, sui 52 milioni costati ai popoli del mondo; delle migliaia di città piccole e grandi distrutte dalla furia distruggitrice delle armi; dalla distruzione morale e fisica di intere popolazioni; della fame sopportata con estrema dignità dai popoli dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, se ne è parlato poco e sempre meno nelle ricorrenti date celebrate affinchè la “memoria” rimanga bene impressa nelle menti.
Addirittura per legge si sono stabilite le date da ricordare: la Shoah (lo sterminio degli ebrei) e l’eccidio degli italiani in terra d’Istria. Nel contempo si tenta di oscurare la Resistenza italiana e la Guerra di liberazione dall’occupazione nazista e dalla dittatura fascista, alla cui opera di demolizione partecipano pseudo storici e giornalisti famosi un giorno, per osannare il risorgimento italiano dalle ceneri in cui aveva ridotto l’Italia il ventennio fascista e le sue guerre.
Orrendi delitti che vanno ricordati a futura memoria, ma che non devono prevalere sui tanti delitti commessi sia da “amici”, sia da “nemici”. Parlare degli uni e non degli altri si corre il rischio di distorcere la verità, quella vera e non quella che qualcuno vorrebbe fosse avvenuta e farla passare per quella assoluta.
L’ultimo libro dello storico Petacco (in una trasmissione televisiva con Baudo raccontava la “storia dell’oro di Dongo”, dicendo: si dice che …..) pone sul medesimo piano Hitler e Stalin. Due “amici” che si accordarono per dividersi la Polonia. Come due “amici di merende”. Non sapendo più cosa scrivere per screditare soprattutto una parte in causa, tra l’altro quella vincitrice, si inventa le “amicizie terribili”. E il libro viene pubblicizzato in televisione!
Io non sono uno storico, però ho sempre cercato la verità, per cui ho effettuato tante ricerche mettendo le mani su fatti ed avvenimenti timidamente narrati e nascosti in armadi e credenzoni per farli cadere nell’oblio, affinchè prevalessero le nuove letture di storici prezzolati o del tutto soggettivi.
Mi piacerebbe leggere da questi, i delitti compiuti dagli italiani nei territori occupati dall’esercito fascista, dei loro soprusi nei confronti delle popolazioni; mi piacerebbe conoscere, almeno i nomi, dei criminali di guerra denunciati dai vari governi europei e africani, le cui documentazioni sono nascoste in archivi blindati di Londra e di New York (ONU); mi piacerebbe conoscere i risvolti della politica fascista in rapporto ai “circoli imperialisti” dei vari paesi europei e americani coperti dai governi in nome della “democrazia” occidentale; come mi piacerebbe trovare alcuni libri che narrino gli avvenimenti che portarono alla Seconda guerra mondiale.
Ho detto dei milioni di morti sopportati dell’URSS. Morti che vengono oscurati dalla politica di coloro che l’hanno voluti oscurare e si continua a farlo, per una sola ragione: quella di isolare l’eventuale sua notorietà accrescendone invece la stima, la fiducia, la simpatia, la riconoscenza.
Ma il motivo, sicuramente non è solo questo. Nell’URSS c’era sin dall’inizio del suo sorgere un regime i cui principi potevano influire sul pensiero dei popoli del mondo occidentale e non solo, per rivoluzioni che si sarebbero rivolte contro le cosiddette democrazie, contro i circoli dominanti finanziari, economici e industriali; contro il grande capitale, contro il colonialismo, contro l’imperialismo. E allora bisognava non soltanto oscurare le verità, ma amplificare le incertezze, i contrasti, i modi sicuramente poco “democratici” di governare, per cui si creò prima la “cortina di ferro” voluta da Churchill per sbarrare e rinchiudere entro i loro confini quei paesi che erano rimasti nell’area di influenza politica sovietica. Ma occorreva creare attorno ad essa anche una barriera psicologica che passò sotto il nome di “l’impero del male”, ampliando nel mondo tutto ciò che appariva negativo e nel contempo veniva attuata qualsiasi forma di collaborazione con il mondo esterno inventando la favola dei 100 milioni di morti compiuti dai comunisti nel mondo.
Per questa operazione venne creata tra Europa e il nord America, il Patto che tuttora esiste, della NATO. Nel Medio Oriente il Patto di Bagdad e in Estremo Oriente il Patto della SEATO. Tutte alleanze antisovietiche per paura che il comunismo avanzasse oltre le loro barriere. E su questo grande disegno si svilupperanno poi ogni forma di corrosione del potere comunista fino alla sua implosione e collassamento che non hanno portato grande giovamento alle cosiddette democrazie occidentali. Anzi, nel mondo si è creato il dominio di una sola potenza, quando prima vi era un equilibrio esercitato dalle due grandi potenze URSS e USA, che impedivano all’una o all’altra di fare ciò che più gli aggradava.
La politica di accerchiamento o di contenimento impose all’URSS una politica interna di ristrettezze per arricchire il proprio armamento per far fronte ad un eventuale attacco esterno da parte dell’imperialismo. Una politica autarchica diretta solo ad uno scopo preciso, in contrapposizione alle necessità dettate dalla ricostruzione del dopoguerra e dello sviluppo. In più questa politica alimentava le rivendicazioni di intere popolazioni, di intere categorie di persone le quali venivano fronteggiate con violenza specie là dove la rivendicazione diventava nazionalista e quindi politica.
Da qui quella che ho chiamato l’implosione, la quale si estese a tutte le nazioni vicine governate dai partiti comunisti.
Si svilupparono controrivoluzioni che in certi luoghi riportarono alla ribalta forze assopite la cui resurrezione ancora oggi non è giovata ad un qualche cosa che portasse vantaggio alle popolazioni medesime. Tanto che in diverse di esse, i comunisti governano, oppure avanzano ad ogni tornata elettorale e in qualche altra la gente dice “è meglio quando si stava peggio!”.
Ed oggi che una sola potenza mondiale detta legge, si dice che ciò sia il peggiore dei mali. Contro questa potenza mondiale è nato un movimento terroristico sostenuto dai popoli arabi già utilizzati dagli americani stessi per circoscrivere o bloccare l’espansionismo sovietico. E’ nato il movimento con a capo Bin Laden che mira allo “annientamento degli Stati Uniti d’America” attraverso azioni terroristiche e di sobillazione al sabotaggio contro coloro che vorrebbero comandare su tutti o impadronirsi con la prepotenza delle risorse primarie per meglio gestirle a proprio piacimento.
Indubbiamente per l’umanità, questa nuova situazione reca incertezze e soprattutto maggiore povertà per i più poveri, mentre vanno arricchendosi i popoli già ricchi, i quali si accodano al carro, per ora vincente, guidato dal grande capitalismo americano.
Questa politica è stata rivolta anche contro la Resistenza italiana riportando alla luce forze che il popolo italiano aveva combattuto e vinto e che era sicuro non ritornassero: invece…..!
Stiamo assistendo ad un rigurgito anche nazista che vorrebbe riproporre in Italia ed in Europa e non solo, una guerra di religione e razzista con conseguente negazionismo della storia recente che contribuisce soltanto ad esacerbare le idee della gente, deviandole dai veri obiettivi, per meglio gestire le modifiche del sistema atte a dominare. Una specie di guerra tra poveri che si azzuffano, per sopravvivere mentre chi fomenta veleggia sulle disgrazie altrui.
Tutti dovremmo porci questo problema ed insieme trovare lo sbocco libero e democratico delle popolazioni.
Capitolo 2
Paolino Orlandini "......... e si scatenò la seconda Guerra Mondiale"

LA STORIA POCO RACCONTATA

Ma a noi interessa la storia poco raccontata o addirittura “oscurata”. Devo dire che parecchi archivi sono ancora vietati ai giornalisti ed agli storici, mentre altri sono stati aperti a Londra, Berlino, Mosca, Washington e persino una parte di quello Vaticano. Però non sono tanti coloro che vi vanno a mettere il naso, anche perché vengono poste barriere burocratiche lunghe e farraginose che non aiutano i ricercatori se non quelli che hanno alle spalle potenti università, agguerriti editori o propri mezzi per cui, quegli archivi, non hanno dato ancora i risultati che si sperava avessero dato. Figuriamoci come potranno essere utilizzati i documenti ancora rinchiusi negli archivi dei singoli Stati in guerra fra loro tra il 1940 e il 1945 e dell’ONU, di cui sono state annunciate le aperture dopo i 70 anni dalla fine della guerra.
E’ chiaro che allora dobbiamo accontentarci di leggere vecchi libri, alcuni dei quali ritrovabili, che narrano della Prima guerra mondiale e il periodo di preparazione della Seconda che ci interessa di più per estrapolare quanto vogliamo conoscere del contributo alla vittoria sul nazi-fascismo da parte dei popoli dell’URSS.
Io ho trovato uno stralcio del “libro bianco” del Ministero degli Affari Esteri della Svezia, edito a Stoccolma nel 1947 da cui emergono notizie sui francesi, sugli inglesi, sui tedeschi del primo dopoguerra, in “vista” della guerra ormai inevitabile in Europa che poi sfocerà nella 2^ guerra mondiale. Leggendolo ho capito tante cose, e quello che ho capito voglio raccontarlo, perché sono certo che pochissime persone le hanno potute leggere per valutare poi gli avvenimenti, senza tentare di addolcire la pillola o giustificare qualcuno. Ciascuno poi trarrà le proprie deduzioni.

Prima di affrontare questo aspetto della storia della preguerra, credo necessiti descrivere per sommi capi la situazione politica europea fra la Prima e la Seconda guerra mondiale. Il materiale l’ho attinto dal libro di Gabriele Ranzato edito da Laterza nel 2006, dal titolo: “Il passato di bronzo. L’eredità della guerra civile nella Spagna democratica”.
Ranzato, parlando oggi degli avvenimenti che dettero vita all’aggressione alle democrazie europee da parte dei paesi dittatoriali e nazi-fascisti, fa un quadro riassuntivo dell’Europa di quei tempi partendo dal 1918, da quando cioè si crea la repubblica dei soviet in Russia, si sopprime l’assemblea costituente e nel 1922 si crea l’URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche). Oltre a questi avvenimenti, in Italia nel 1922 i fascisti marciano su Roma e nel 1926 si forma lo stato totalitario; in Bulgaria, nel 1923 ha luogo un putsch militare; in Spagna nel 1923 si da vita alla dittatura di Primo de Rivera; in Turchia, nel 1923 ha inizio l’autoritarismo del gen. Mustafà Kemal il quale, dopo la fine dell’impero ottomano avvenuta nel 1922, condusse una guerra contro la Grecia per rincorporare i territori sottratigli dal trattato di pace, costringendo gli alleati vincitori a ritrattare la nuova pace a Losanna.
In Albania nel giro di pochi anni succede di tutto. Riconosciuta definitivamente la sua indipendenza il 9 novembre 1921 e solo nel 1926 con il trattato di Parigi, i suoi definitivi confini. Nel frattempo si impone nella vita interna del paese l’avventuriero Ahmed Zogu, prima come ministro dell’interno poi come presidente del consiglio dei ministri e alla fine, nel 1924 cacciato dal Paese. Vi rientrò nel 1925 e divenne presidente della repubblica.
Il 10 settembre 1928 firma un decreto che trasforma la repubblica in monarchia e lui diviene re degli albanesi.
In Portogallo, nel 1926 avviene un putsch militare che assume il potere nel paese; lo stesso accade in Polonia, mentre in Lituania viene data vita ad una dittatura.
Nel 1929 in Jugoslavia avviene un colpo di stato monarchico e serbo-slavo; l’anno dopo in Romania il re Carlo II, con l’aiuto di A. Calinesco ministro dell’interno del governo Cristea, attuò una sua dittatura personale che durò fino al settembre 1939 quando venne ucciso dalle Guardie di Ferro per rappresaglia contro l’assassinio del loro capo Codreanu.
In Portogallo nuovamente nel 1932 inizia la dittatura di Antonio de Oliveira Salazar. In Lituania nello stesso anno si conferma definitivamente la dittatura.
In Germania, Hitler trionfa alle elezioni del 14/9/1930 e il 30 gennaio 1933 diviene cancelliere. Nel mese di marzo successivo nuova vittoria elettorale, il partito nazional-socialista conquista 288 seggi su 647. Viene sciolto il partito comunista e annullati i suoi seggi nel Reichstag. Il mese dopo, e precisamente il 7 aprile 1933, viene promulgata la prima legge razziale nazista.
In Austria tra il 1933-34 prende il potere Dollfuss creando una dittatura clerico-fascista; in Estonia nel 1934 si attua la dittatura, così avvenne in Lettonia. In Grecia nel 1936 si attua un colpo di stato e il re, morto il primo ministro Demestris, affida il governo a Metaxs, il quale assume i pieni poteri.
La Spagna si rinnova. I repubblicani vinceranno le elezioni e nel 1936 avviene la rivolta militare guidata dal gen. Francisco Franco e quindi l’inizio della guerra civile. Nel 1938 l’Austria viene annessa definitivamente al Terzo Reich; negli anni 1938-39 la Cecoslovacchia verrà smembrata e in parte annessa al Reich tedesco. Si deve aggiungere che nel 1933 in Ungheria il parlamento dà segni antisemiti, quindi la democrazia viene messa in discussione.

Se questa descritta brevemente è la situazione politica europea, vediamo lo stesso brevemente, salvo parlarne in seguito, la situazione politica dei grandi Paesi ove vigeva la democrazia.
Ranzato dopo aver passato in rassegna gli avvenimenti dopo la guerra civile spagnola, con razionalità si butta sui fatti concreti analizzando la “democrazia”. E si domanda: quale democrazia del passato appare, appunto in assenza di una guerra civile, una democrazia se osservata con gli occhi delle democrazie odierne? Probabilmente nessuna – si risponde da solo – con la parzialissima eccezione, forse, della Repubblica di Weimar della Germania del primo dopoguerra.
Il fatto è che la democrazia – si pone ancora Ranzato – non è un’essenza immutabile che resta tale indipendentemente dalle forme del suo precipitare in storica esistenza, non è un semplice e immodificabile tipo ideale. La democrazia è un processo, provvisto di tortuose anse e non immune, complici le guerre e le crisi economiche o morali, da inversioni di marcia, di tendenze o addirittura di arretramenti.
Nulla è mai veramente conquistato e nulla è mai veramente perduto.
Su questo argomento gli storici non hanno verità assolute e non possono permettersi di condannare il relativismo. Chi potrebbe altrimenti considerare democratico un paese che non fa votare le donne; che non concede i diritti civili alle minoranze etniche o razziali; chi esercita con la forza e la repressione il dominio sulle colonie, dove vivono cittadini senza diritti o con minori diritti? Con il nostro sguardo di oggi e con le nostre non negoziabili esigenze, la Germania del 1914 non è certo democratica. Alla stessa stregua però della Francia repubblicana e rivale in guerra; così come non è democratica l’Italia del 1919-22 (affossata dal fascismo); non è democratica e discriminatrice l’America di Roosevelt (seppure “arsenale della democrazia” e poi restauratrice della libertà europea); non è democratica l’imperiale Inghilterra di Chamberlain (che però resistette poi, a lungo e da sola, con Churchill, al nazismo e al fascismo).
Le democrazie, dunque, in quegli anni, non erano veramente tali, se paragonate ai nostri valori condivisi. Tra l’altro erano tutti quanti paesi colonialisti. Così l’Olanda e il Belgio. Quindi tutte democrazie quanto meno “imperfette”, termine oltremodo ambiguo, perché non crediamo al termine, altrettanto ambiguo, di “democrazia perfetta”.
C’è di più da dire: le democrazie “imperfette” erano pochissime tra le due guerre mondali, nella stessa Europa, il quadro era veramente sconfortante ove dilagarono infatti le dittature e il totalitarismo, come abbiamo visto parlando della situazione politica dei vari paesi europei.
Capitolo 3
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LA GERMANIA DOPO LA PRIMA GUERRA MONDIALE E LE MODIFICHE DEI CONFINI EUROPEI ORIENTALI


Abbiamo appena detto quanto successe in Germania e poiché la fonte dell’aggressione nazista al mondo civile e democratico fu proprio questa nazione, vediamone meglio gli avvenimenti partendo dalla fine della Prima guerra mondiale.
Le fortune dell’impero germanico sono legate alla storia dei re di Prussia. Divenne una grande potenza economica ed industriale che si infranse con la guerra scoppiata nel 1914.
La Germania faceva parte assieme all’Austria dell’alleanza difensiva chiamata “Triplice Alleanza”. Sin dal 20 maggio 1882 ebbe rinnovi fino a quello stipulato il 5 dicembre 1912 con l’aggiunta dell’Italia e con i mutamenti avvenuti nel Sangiaccato di Novi Pazar (1), in Libia e in Albania. Già scossa dagli ultimi avvenimenti dell’ultimo decennio, la Triplice Alleanza poteva considerarsi finita quando, allo scoppio della Prima guerra mondiale, l’Italia, constatato che non ricorreva il casus foederis, proclamava la propria neutralità (1° agosto 1914); ma veniva denunciata, formalmente dall’Italia stessa, solo il 3 maggio 1915 lasciando sussistere l’alleanza fra la Germania e l’Austria-Ungheria.

Alla Triplice Alleanza, appartenne, in forza di accordi particolari, anche la Romania. A fronte della Triplice Alleanza venne costituita la “Triplice Intesa”, formata da Gran Bretagna, Francia e Russia. Il primo accordo denominato Intesa Cordiale venne stipulato fra Gran Bretagna e Francia nel 1904; dopo l’accordo fra Gran Bretagna e Russia del 1907 si dette il nome di Triplice Intesa, che divenne vera e propria alleanza il 5 settembre 1914, un mese dopo lo scoppio della guerra.
In seguito aderirono ad essa il Giappone e l’Italia. Gli Stati Uniti d’America, pur partecipando alla guerra comune, conservarono sempre una posizione riservata. L’Intesa può dirsi terminata con la sopravvenuta pace conseguita attraverso trattati complessivi e particolari fra le potenze vincitrici e quelle soccombenti.
Da quarant’anni le grandi potenze si fronteggiavano nel tentativo di assestare il colpo definitivo al nemico di sempre. Tutti aspettavano che si iniziasse e finalmente iniziò.
Le ragioni, ancora oggi sia trascorso quasi un secolo, gli storici non hanno stabilito il perché. Le ragioni vere.
Tutto iniziò con l’assassinio dell’Arciduca ereditario d’Austria, Francesco Ferdinando a Sarajevo il 28 giugno 1914, ad opera dello studente Principi, serbo di nazionalità austriaca, esponente di una vasta congiura che risultò essere stata organizzata in Serbia.
L’Arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie divennero eredi al trono di Austria-Ungheria dopo che l’arciduca Rodolfo d’Asburgo (figlio dell’Imperatore Francesco Giuseppe) si suicidò il 30 gennaio 1889 assieme all’amante Maria Vatsera, in un padiglione di caccia del castello di Mayerling, nella Bassa Austria.
Il fatto scatenò gli eventi: una dichiarazione di guerra dopo l’altra coinvolse l’Austria-Ungheria, la Serbia, la Russia, la Germania, la Francia, la Gran Bretagna, il Montenegro, il Giappone, gli Stati Uniti e infine anche l’Italia, la quale, già legata ai due imperi centrali da un trattato difensivo come detto in precedenza, ruppe gli indugi neutralistici ed entrò in guerra contro la Germania, l’Austria-Ungheria e la Russia.
La guerra fu lunghissima e terminò nel novembre del 1918 con la vittoria della Triplice Intesa.
La Germania, che con Guglielmo I° re di Prussia era assurta a impero germanico divenendo una grande potenza militare ed economica nonché una grande potenza coloniale, venne sconfitta e dal trattato di Versailles venne solennemente punita.
Cosa previde questo trattato sottoscritto fra le parti in causa il 28 giugno 1919? Intanto si costituiva il patto fondamentale della Società delle Nazioni (2) e per la Germania venne prevista la cessione dell’Alsazia-Lorena alla Francia; Eupen e Malmédy al Belgio; la Posnania e la maggior parte della Prussia occidentale alla Polonia; il territorio di Hultschin alla Cecoslovacchia; i territori di Memel e Danzica (quest’ultima doveva costituirsi in città libera) alle principali potenze alleate e associate. Doveva rinunciare a tutte le colonie che venivano divise fra Inghilterra, Unione Sud-Africana, Australia, Nuova Zelanda, Francia, Giappone e Belgio. In più dovevano essere restituiti altri territori alla Francia, al Portogallo e alla Cina. Inoltre venivano sottoposti a plebiscito l’Alta Slesia, lo Schleswig (quindi perduti dalla Germania) e la parte sud della Prussia orientale; il bacino della Saar (per 15 anni a disposizione della Società delle Nazioni), e tutto il territorio tedesco sulla sinistra del fiume Reno, una striscia di 50 Km. ad est e l’isola di Helgoland dovevano essere smilitarizzate. Infine, la Germania doveva rinunciare a possedere sommergibili ed aerei militari; doveva limitare il suo esercito a 100.000 volontari e la sua Marina Militare limitata a 108.000 tonnellate e si impegnava a pagare le riparazioni di guerra.

L’Austria-Ungheria subì analoga sorte con il trattato di Saint-Germain del 1919. Nel 1916 moriva l’imperatore Francesco Giuseppe I° e gli succedeva il pronipote Carlo (in Austria era conosciuto come Carlo I°, mentre in Ungheria, come Carlo IV).
La guerra segnò lo sfacelo della Duplice Monarchia che, sconfitta dagli italiani a Vittorio Veneto, firmava il 3 novembre 1918 l’armistizio di Villa Giusti.
L’11 novembre l’imperatore dichiarava di abbandonare il potere sovrano in Austria, il 13 anche in Ungheria. Così finiva la monarchia austro-ungherese. Un impero che dominava 12 milioni di tedeschi, 10 di ungheresi, 8 e mezzo di cechi e slovacchi, 5 di polacchi, 1,3 di sloveni, 3,25 di romeni, 800 mila di italiani e diverse altre minori entità si dissolse e sulle rovine della Duplice Monarchia si costituirono tre Stati: Austria tedesca, Cecoslovacchia e Ungheria. Notevoli territori passavano all’Italia, alla Serbia (Jugoslavia), alla Romania e alla Polonia.
Prima l’Austria-Ungheria esercitava il suo dominio che comprendeva: il primo, detto anche Cisleithania, l’Alta e Bassa Austria, il Salisburgo, il Tirolo con il Trentino, il Vorarlberg, la Carinzia, la Stiria, la Carniola, la contea di Gorizia e Gradisca, Trieste, l’Istria, la Dalmazia, la Boemia, la Moravia, la Slesia Austriaca, la Galizia, la Bucovina; il secondo, detto anche Transleithania, l’Ungheria propria detta, compresa la Slovacchia con la Transilvania e il Banato di Temesvar, la Croazia e Slavonia e Fiume.
Il Trattato di Saint-Germain-en-Laye prevedeva anche, l’abolizione del servizio militare obbligatorio limitando l’entità dell’esercito a 30.000 uomini e riduzione degli armamenti ad esigue proporzioni. Infine venne imposto il pagamento delle riparazioni di guerra. Gli Stati Uniti firmarono il trattato ma non lo ratificarono.
La terza potenza della Triplice Alleanza, la Russia, ebbe una sorte diversa a causa di quanto accadde sul fronte interno. Intanto occorre dire che la Russia non faceva parte della Triplice, ma era alleata per cui venne trascinata nella guerra mondiale, ma non subì le sorti dei trattati di Versailles.
Capitolo 4.
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NASCE IL PRIMO STATO SOCIALISTA

Dallo scoppio della guerra in avanti le cose in Russia non andavano bene da quando lo Zar Nicola II°, dominato dalla Zarina Alessandra e dal monaco Rasputin, non riusciva a condurre la guerra. Insufficienti erano i rifornimenti di viveri e munizioni per l’esercito; sospettata di tedescofilia l’intera cricca dirigente; demoralizzazione diffusa fra l’esercito per il protrarsi della guerra e le sconfitte patite: tutto contribuì alla crisi.
Il crearsi di una formazione progressista alla Duma (Camera dei Deputati) nell’agosto del 1915 e l’uccisione di Rasputin nel dicembre 1916, costituirono i primi tentativi degli elementi liberali per salvare il paese dal baratro cercando di rovesciare la cricca reazionaria al potere. E quando alcuni reggimenti, il 12 marzo 1917, si rivoltarono a Pietrogrado, la coalizione dei partiti progressisti assunse il potere, costituendo un governo sotto la presidenza del principe Lvov. Tre giorni dopo, lo Zar abdica a favore del fratello Michele, il quale rinuncia al trono; il potere resta nelle mani del governo provvisorio, che solo il 15 proclama la repubblica.
Invano il governo, a capo del quale, al principe Lvov (il 21 luglio) era succeduto il socialista Kerenskij, si sforza di contenere l’avanzata austro-ungarica e tedesca e la dissoluzione interna; i soldati disertano (è la Caporetto russa), gli elementi estremisti (bolscevichi e social rivoluzionari di sinistra), specialmente attraverso i neocostituiti Consigli (Soviet) degli operai, dei soldati e dei contadini, prendono sempre più mano al governo, e le nazionalità diverse della grande Russia mirano a darsi un’organizzazione autonoma.
In queste condizioni scoppia la rivoluzione bolscevica del 7 novembre 1917 che trasforma la repubblica in Repubblica Socialista dei Soviet di Russia con un governo presieduto da Vladimiro Ilic Ulianov (Nicola Lenin). Questo governo non domina da principio che su una parte della Russia, nelle altre zone resistono forze antibolsceviche, mentre le singole nazionalità approfittano per realizzare le loro mire indipendentizie.
Il governo bolscevico firma a Brest Litovsk (3) l’armistizio il 15 dicembre 1917 e il 3 marzo successivo, la pace con la Quadruplice nemica, a condizioni gravissime, che la successiva vittoria dell’Intesa annullerà e trasporta la capitale a Mosca il 14 marzo dello stesso anno.
Il governo bolscevico, va sempre più consolidandosi all’interno, riesce ad avere ragione di tutti gli eserciti antibolscevichi (tra il 1919 e il 1920) e, parte con la forza delle armi, parte suscitando all’interno di essi la rivolta degli elementi simpatizzanti, a ricondurre nel suo seno alcuni di quegli Stati indipendenti che si erano staccati tra il 1918 e 1922. Questa riunione dei piccoli Stati venne operata, prima attraverso trattati fra i singoli governi con quello centrale, poi con la ricostituzione anche formale di un unico Stato, a struttura federale che assunse il nome di Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS o CCCP).
Dal nuovo Stato restano staccate la Polonia, la Lituania, Lettonia, Estonia e Finlandia, di cui l’URSS riconobbe l’indipendenza. Inoltre, venne ceduto alla Turchia un tratto di territorio transcaucasico e la Bessarabia. Questi territori verranno rincorporati in gran parte nel 1939-40, con esclusione dei 7/8 della Finlandia, della Polonia Occidentale e del lembo di Transcaucasia, ma con l’aggiunta della Galizia orientale e della Bucovina settentrionale.
Variazioni avverranno ai confini con la Russia Bianca (uno degli Stati membri dell’URSS) e con la Russia sub carpatica o Rutenia.
Il trattato di Brest Litovsk verrà annullato con l’ingresso di quello di Versailles, meno rigido per i perdenti specie per quelle nazioni che non furono fra le provocatrici del conflitto.

D’altro canto, nel 1932, finiva anche il Piano Dawes (4) contro la Germania in quanto in Europa, la politica delle grandi potenze stava cambiando con l’ingresso nella ribalta storica dello Stato socialista nato dal disfacimento della Russia zarista. Politica doppia, coperta e meno coperta, in una parola: ambigua.
Ambigua, perché mentre le politiche ufficiali promuovevano questioni, quelle condotte da circoli finanziari internazionali puntavano agli business futuri, aggirando le questioni sollevando problemi. E qui diventa più difficile far capire le cose, perché subentra la “paura” del grande mondo economico finanziario: e se la rivoluzione russa si allargasse oltre i confini in cui si è maturata e realizzata, travalicando i confini degli stati “democratici” e capitalistici?
Le teorie di Carlo Marx e di Federico Engels fatte proprie da Vladimiro Ilic Ulianov (Lenin) e il libro scritto dal Primate della Chiesa anglicana di Canterbury “I 10 giorni che sconvolsero il mondo”, fecero aguzzare le orecchie a chi da subito voleva intervenire per bloccare sul nascere i loro effetti, chi, invece, intendeva magari approfittarne per opportune collaborazioni ed affari. Hitler e Mussolini erano ancora nella fase ascensionale per cui qualcuno già pensava a come utilizzarli contro il “nuovo” nemico. Dal punto di vista teorico sarebbe stata improbabile qualsiasi azione vittoriosa, occorreva pensare ad altro. Il piano Dawes non serve più. Allora?
Capitolo 5
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…… E ALLORA OCCORRE GUARDARE LA GERMANIA

Chi non sa che le banche e i trust americani agendo in pieno accordo con il governo tedesco, nel periodo succeduto al Trattato di Versailles, investirono nell’economia tedesca e concessero alla Germania tanti crediti ammontanti a miliardi di dollari e che furono impiegati per la ricostruzione e lo sviluppo del potenziale bellico industriale della Germania stessa?
Se sappiamo questo, capiamo anche che per prepararsi ad una nuova guerra, occorreva assicurarsi nuove armi moderne, per cui la Germania doveva ricostruire e sviluppare la sua industria pesante e innanzitutto l’industria metallurgica e quella bellica della Ruhr, che sotto il Trattato di Versailles non poteva più utilizzare.
Per fare ciò occorreva un intero sistema di provvedimenti destinati alla ricostruzione dell’industria pesante e del potenziale bellico-industriale tedesco.
Una funzione enorme in quest’opera lo ebbe il Piano Dawes concernente le riparazioni dalla Germania mediante il quale, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna contavano di porre l’industria tedesca alle dipendenze dei monopoli americani e britannici.
Questo Piano spianò la strada all’afflusso di capitale straniero, soprattutto americano, per cui già dal 1925 cominciò l’ascesa economica e finanziaria dell’economia tedesca. Al tempo stesso aumentarono le esportazioni,le quali nel 1927 raggiunsero i valori del 1913, e per ciò che riguarda i manufatti aumentarono del 13% ai prezzi del 1913.
Nei sei anni trascorsi tra il 1924 e il 1929 l’afflusso di capitale straniero in Germania, è stato da 10 a 15 miliardi di marchi di investimenti a lunga scadenza e di 6 miliardi di investimenti a breve scadenza. Il capitale finanziario americano in questi investimenti ebbe una compartecipazione del 70%. I maggiori impegni nel finanziamento dell’industria pesante, facevano capo alle famiglie Dupont, Morgan, Rockefeller, Lamont ed altri magnati della finanza statunitense.
I monopoli americani più importanti legati strettamente ai consorzi militari e alle banche furono: il consorzio chimico americano “Dupont de Nemours”; il trust automobilistico “General Motors” e il trust chimico imperiale britannico “Imperial Chemical Industries” in stretta collaborazione con il consorzio chimico tedesco “I.G. Farbenindustrie”, con il quale nel 1926 avevano concluso un accordo per la ripartizione dei mercati mondiali per lo smercio delle materie esplosive.
Presidente della direzione della ditta “Rohm and Haas” a Filadelfia, negli Stati Uniti, prima della guerra, era socio e capo di questa industria a Darmstadt (Germania). L’ex direttore di questo consorzio, Rudolf Muller, operò nella “Bizonia” ed ha avuto una funzione di prim’ordine nei circoli dirigenti dell’unione cristiano-democratica. Nel periodo fra il 1931 e il 1939, il capitalista tedesco Schmitz, presidente del consorzio “I.G. Farbenindustrie” e membro del consiglio di amministrazione della “Deutsche Bank”, controllava la ditta americana “General Dyestuffs Corporation”.
Dopo la Conferenza di Monaco del 1938, il trust americano “Standards Oil” concluse un contratto con la “I.G. Farbenindustrie”, con il quale quest’ultima, partecipava agli utili ricavati dalla benzina per aerei prodotta negli Stati Uniti e, in compenso, rinunciava alla esportazione dalla Germania della sua benzina sintetica, le cui riserve venivano allora accumulate dalla Germania a scopi militari.
Non soltanto i monopoli capitalistici americani avevano rapporti economici con la “nuova Germania”, ma esistevano rapporti non solo commerciali, ma anche militari, fino alla vigilia della guerra, tra la federazione dell’industria britannica e il gruppo industriale tedesco del Reich. I rappresentanti di questi due monopoli hanno pubblicato nel 1939 a Düsseldorf una dichiarazione comune, nella quale, fra l’altro, si diceva che lo scopo dell’accordo era “il desiderio di garantire la collaborazione più completa possibile dei sistemi industriali dei loro Paesi”.
E ciò avvenne nei giorni in cui la Germania Hitleriana inghiottiva la Cecoslovacchia! Non c’è da meravigliarsi se a questo proposito la rivista londinese “Economist” scrisse: “Non v’è forse, nell’atmosfera di Düsseldorf qualche cosa che fa perdere la ragione agli uomini sensati? (Corwin D. Edwards, “Economic and Political Aspects of Internationale Cartels” – 1947).
Un esempio caratteristico del legame fra capitali americani, inglesi e tedeschi, viene data dalla nota Banca “Schröder” nella quale aveva una funzione dirigente il trust tedesco dell’acciaio “Vereinigte Stahlwerke A.G.” organizzato da Stinnes Thyssen, ed altri magnati dell’industria della Ruhr con centri a New York e a Londra. Negli affari di questa banca esercitava una funzione dirigente Allen Dulles, direttore a New York degli Schröder di Londra, di Colonia e di Amburgo, della ditta “J.H. Schröder Banting Corporation”. Nel centro di questa banca a New York aveva una parte importante lo studio forense degli avvocati “Sullivan and Cromwell” diretta John Foster Dulles, (5) strettamente legato al trust petrolifero mondiale dei Rockefeller, lo “Standard Oil Company”, come della più potente banca d’America “Chase National Bank”, che hanno investito enormi capitali nell’industria tedesca del primo dopoguerra.
Nel libro di Richard Sasuly, “I. G. Farben, Boni and Gaer, NewYork, 1947”, si sottolinea il fatto che non appena al periodo successivo al Trattato di Versailles, in Germania l’inflazione fu arrestata e consolidato il marco, con i prestiti che tra il 1924 e 1930, inondarono la Germania. Il debito estero della nazione era aumentato di oltre 30 miliardi di marchi.
Contemporaneamente alla banca anglo-tedesco-americana Schröder, nel finanziamento del trust tedesco dell’acciaio “Vereinigte” ebbe in quegli anni la funzione principale una delle più grandi banche di New York, la “Dillon Read and Company”, fra i cui direttori per diversi anni figurava James Vincent Forrestal, ministro della guerra degli Stati Uniti fino al 1947. (6)
Questa pioggia d’oro di dollari americani, fecondò l’industria pesante della Germania hitleriana ed in particolare la sua industria bellica. Fu, quindi, la rinascita tedesca la premessa all’aggressione hitleriana. Fu questa situazione economico-finanziaria e politica a produrre enormi quantità di armamenti di prim’ordine, molte migliaia di carri armati, di aeroplani, di pezzi di artiglieria e di navi da guerra modernissime, e altri tipi di armamenti.
Un altro fattore decisivo che contribuì a scatenare la rivalsa tedesca e l’aggressione hitleriana, fu la politica dei circoli dirigenti della Gran Bretagna e della Francia, nota come politica di “pacificazione” della Germania hitleriana, politica di rinuncia alla sicurezza collettiva. Fu questa rinuncia alla sicurezza collettiva che permise l’aggressione tedesca, l’aggressione di Hitler. (7)
All’aggressione, Hitler si era preparato sin dal 1934 da quando incrementò la produzione di armi.
Solo in quell’anno la sua industria di guerra aveva costruito 840 aerei di ogni tipo; nel 1936 ne costruì 2530; nel 1938, 3350 e nel 1939, 4733.
Con estrema rapidità aumentarono anche le forze armate: nel 1936 la Germania aveva 31 divisioni, alla fine del 1938 ne aveva 52 e verso la fine del 1939, ne aveva 103. Gli effettivi dell’esercito dal 1932 al 1939 crebbero da 104.218 a 3.734.104.
Il 22 agosto 1939, una settimana prima dello scoppio della 2^ guerra mondiale, Adolfo Hitler nel corso di una riunione a Berghof, pronunciò uno dei suoi discorsi programmatici, nel quale, tra l’altro dichiarò: “La Polonia verrà spopolata e vi saranno insediati i tedeschi (…) Alla Russia, signori, accadrà altrettanto (…) Sconfiggeremo l’Unione Sovietica. Allora, verrà l’epoca del dominio mondiale tedesco”.
(….) “I tedeschi sono una razza superiore e hanno il diritto di dominare il mondo!” – affermerà in un discorso successivo.