1866 QUATTRO BATTAGLIE PER IL VENETO

1866 QUATTRO BATTAGLIE PER IL VENETO
Il volume e acquistabile presso tutte le librerie, oppure si può chiedere alla Casa Editrice (ordini@nuovacultura.it) o all'Istituto del nastro Azzurro (segreteriagenerale@istitutonastroazzurro.org)

1866 Il Combattimento di Londrone

ORDINE MILITARE D'ITALIA

ORDINE MILITARE D'ITALIA
CAVALIERE DI GRAN CROCE

Collana Storia in Laboratorio

Il piano editoriale per il 1917 è pubblicato con post in data 12 novembre 2016

Per i volumi pubblicati accedere al catalogo della Società Editrice Nuova Cultura con il seguente percorso:
www.nuovacultura.it/catalogo/collanescientifiche/storiainlaboratorio

.La collana Storia in Laboratorio 31 dicembre 2014

.La collana Storia in Laboratorio 31 dicembre 2014
Collana Storia in Laboratorio . Scorrendo il blog si trovano le indicazioni riportate sulla quarta di copertina di ogni volume. Ulteriori informazioni e notizie possono essere chieste a: ricerca23@libero.it

Testo Progetto Storia In Laboratorio

Il testo completo del Progetto Storia in Laboratorio è riportato su questo blog alla data del 10 gennaio 2009.

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La Collana Storia in Laboratorio al 31 dicembre 2011

La Collana Storia in Laboratorio al 31 dicembre 2011
Direttore della Collana: Massimo Coltrinari. (massimo.coltrinari@libero.it)
I testi di "Storia in Laboratorio"
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giovedì 31 dicembre 2009

I LIONS e LO SBARCO DI ANZIO
Di Eduardo Belcastro
Per il 24 gennaio 2009 il Presidente dei Lions di Anzio e Nettuno Katia Sacco con il gen. Michele Corrado e l’avv. Paolo. Perin hanno organizzato una conferenza dal titolo” 65 anni dall’operazione Shingle, il tragico 1944 di Anzio e Nettuno”. Nei saloni dell’Hotel Lido Garda, sono stati esposti alcune foto d’epoca dello sbarco ed alcuni pezzi d’antiquariato: vecchia radio, mitragliatrice ed altri.
Relatore il Brigadiere Generale Massimo Coltrinari ( titolare di Storia Militare all’ISSMI, h a curato il comparto”Albania” per il Co.Re.Mit.E., autore de” i prigionieri Militari Italiani nella Seconda Guerra Mondiale). Il Presidente Katia Sacco ha ringraziato le alte Autorità presenti: il Generale Castagnetti Fabrizio( Capo di Stato Maggiore dell’Esercito), il Gen. Antonio Gucciardino ( ispettore e Direttore Generale armamenti terrestri), il Generale C.A. Luigi Pellegrino ( comandante delle trasmissioni ed informatica del Co.tie di Anzio) ,il ten.di vascello Matteo Gragnani ( Comandante della Capitaneria diAnzio) , il Colonnello Salzano ( Comandante dell’Uttat di Nettuno ).,il dr. Giampiero Coppola ( Presidente della II Circoscrizione ) , i Presidenti dei Club ( dr. Damiano Tassone di Velletri, dr. Giuseppe De Santis di Roma Castelli Romani, dr. Alberto Vinci di Roma Mare, dr. Berardi di Latina Host, dr. Nicolò Piazza e dr. Rocchi Francesco), il Presidente Eugenio Bartolino dell’Upter di Nettuno.. Ha introdotto il relatore l’avv. Paolo Perin, che ha tracciato la storia del Club e della costruzione del Monumento alla pace dello scultore Toth .. Il Gen.Coltrinari ha tracciato alcuni eventi particolari dello Sbarco di Anzio partendo dalla battaglia di Montelungo, del Gen. Lucas che con il VI Corpo d’Armata sbarcava alle 2 del 22 gennaio, mentre la 3^ Divisione britannica aveva preso terra a sud e nord di Anzio. Ha ricordati della collaborazione di Vassalli, Bencivenga, Malfatti, Montezemolo e di Amendola. . Dopo un’ora di spiegazione degli avvenimenti ha preso la parola Silvano Casaldi, responsabile del Museo di Forte San Gallo di Nettuno il quale ha descritto alcuni aneddoti dello sbarco e sui successivi contatti con i reduci che son venuti a rivedere i luoghi della battaglia.. Al termine alcuni presenti hanno rivolto alcune domande ai relatori, si citano quelli del Gen. Corrado che ha chiesto lumi sulla jepp che arrivò alle porte di Roma e del past Presidente Nicolò Piazza su come hanno influito l’esercito ed i carabinieri alla sconfitta tedesca e sul perché questa pagina di storia sia poco conosciuta e diffusa. Sia il Gen. Coltrinari che il Casaldi hanno spiegato,
esaurientemente, i fatti prospettati. Il Presidente della II Circoscrizione, dr. Coppola, ha ringraziato il Club, anche da parte del Governatore, per l’alto senso e per gli innumerevoli avvenimenti e services .

mercoledì 30 dicembre 2009

Materiali per la Giornata della memoria

La Definizione
di Prigioniero di guerra ed Internato di Guerra ed Internato. Differenze.

Massimo Coltrinari
(ricerca23@libero.it)

Il fatto che la violenza bellica e la violenza di possono esplicare su tutti i cittadini dello Stato fa si che spesso i confini tra le varie figure su cui esse sono esercitate sono labili e spesso confusi.
Uno degli aspetti più difficili da dipanare è la presenze situazione che non fa alcuna differenza tra prigioniero di guerra, internato, deportato, in una confusione che spesso è fonte di quella indifferenza di cui queste figure sono oggetto nella pubblica opinione con sommo avvilimento di quei soggetti che sono stati oggetto di prigionia, internamento e deportazione. Sulla scorta della individuazione dei soggetti che abbiamo individuato su cui si esercita la violenza bellica e la violenza occorre dare, per una più ampia base di comprensione, una risposta alle seguenti domante:
Chi è il Prigioniero di guerra?
Chi è l’Internato?
Chi è il Deportato?
Date risposte a queste domande mettere a confronto gli istituti che si hanno, ovvero le pecularietà e le differenze tra Prigionia, Internamento e Deportazione.
Chi è il Prigioniero di Guerra?
A questa domanda si può risponde con una definizione di primo approccio “Il prigioniero di guerra è un uomo che, armato, vuole uccidermi; io mi difendo, lo disarmo e lui chiede di non essere ucciso”. In Diritto Internazionale, la risposta e più articolata:
“Prisoner-of war status (subsection 2): Members of other militias and members of other volunteer corps, including of organized resistence movements, belonging to a Party to the conflict and operating in or outside their own territory, even if this territory is occupied, provided that such militias or volunteer corps, including such organized resistence movements, fulfill following conditions:
(a) that of being commanded by a person responsible for his subordinates;
(b) that of having a fixed distinctive sign recognizable at a distance;
(c) that of carrying arms openly;
that of conducting their operations in accordance with the laws and customs of war.
Per giungere a questa attuale definizione il percorso è stato lungo. Grozio, il padre del Diritto Internazionale, avvicinava ancora i Prigionieri di guerra agli "schiavi", senza accordare loro alcun diritto o protezione.
Criterio fondamentale per individuare la figura del Prigioniero di Guerra è che la Prigionia di guerra non è una pena, ma una misura di sicurezza. Ovvero si vuole impedire che il combattente rientri nelle file del proprio esercito e riprenda le armi.
I fini della prigionia di guerra quindi si raggiungono con l'adozione di misure normalmente adeguate per impedire la fuga. Ovvero il rientro nell’Esercito di provenienza. Da ciò discende che, essendo la prigionia non una pena, la fuga o il tentativo di fuga non è e non deve costituire un reato; e quindi, se il prigioniero di guerra viene nuovamente catturato è esente da pena, ed il tentativo di evasione può essere oggetto solo di esenzioni disciplinari.Il Prigioniero di guerra è considerato a disposizione dello Stato nemico e non del corpo di truppa che lo ha catturato e, se è ferito, o malato deve essere curato adeguatamente.E' immune da misure di rappresaglia e da penalità collettive; conserva la proprietà dei suoi beni, salvo le armi e parte dell'equipaggiamento militare.Gli Ufficiali sono esenti dal lavoro manuale; Sottufficiali e Truppa possono essere costretti al lavoro.Regola generale che non può essere codificata dal Diritto Bellico è che il prigioniero di guerra deve essere trattato umanamente e che sempre abbia la possibilità di rivolgere eventuali reclami alle rappresentanze della potenza protettrice. I Prigionieri di guerra non possono essere costretti a prendere le armi contro il proprio Stato né tanto meno partecipare allo sforzo bellico dello Stato cattore o detentore.
A grandi linee il profilo del prigioniero di guerra ha questi caratteri che emergono da varie Convenzioni Internazionali che si sono susseguite nel tempo e che sono culminate nelle cosiddette Convenzioni di Ginevra, la più importante delle quali è quella del 27 luglio 1929, con cui si affrontò la Seconda Guerra Mondiale, e visti i non brillanti risultati ottenuti, la 3^ Convenzione del 12 agosto 1949, in special modo gli art. 12 e seguenti.

Alla seconda domanda, chi è L’Internato di guerra?, si risponde intendendo per “internato di guerra un cittadino di uno Stato nemico che, dati alcuni presupposti, rappresenta potenzialmente o realmente un pericolo per lo Stato stesso o per un altro Stato e per questo viene ristretto nelle sue libertà.”

L'Internato di guerra, nella sostanza è un cittadino non belligerante, che è entrato in potere dello Stato nemico; questi, al fine di garantirsi nella sua sicurezza, ovvero per impedire azioni volte contro di esso, adotta misure cautelative nei confronti del cittadino stesso, sempre in ragione dello stato di guerra. L’Internato di guerra può essere anche il cittadino, a prescindere se è atto a portare le armi o meno, dello Stato che, per determinate caratteristiche o ragioni, lo stato stesso lo ritiene oggetto di misure cautelative per la propria sicurezza.
Nella Seconda Guerra Mondiale ha preso consistenza la figura dell'Internato Militare, che potrebbe rappresentare una contraddizione in termini essendo il Militare il cittadino atto a portare le armi e quindi soggetto della Prigionia di Guerra.
L'Internato Militare proviene da corpi di esercito che, disarmati, non sono stati assimilati come prigionieri di guerra, non essendo tra le nazioni, lo stato di guerra; per la sicurezza dello Stato cattore, questi corpi di esercito sono stati prima disarmati e poi privati della libertà con la misura dell'internamento. Ovvero per la sicurezza dello Stato cattore si è esercitata la libertà di internare quei soldati arresisi di uno Stato potenzialmente nemico atti a portare le armi. L'Internato Militare quindi non è un prigioniero di guerra, con i suoi diritti e doveri, ma un cittadino atto a portare le armi che viene ristretto in campo dì concentramento perché un potenziale nemico. Il fenomeno dell'Internamento Militare nella Seconda Guerra Mondiale è tipicamente italiano. Ovvero con la firma dell'Armistizio fra l'Italia e le Nazioni Unite veniva a cessare lo stato di guerra. La Germania, alleata dell'Italia fino all'8.9.43, in virtù del Patto d'Acciaio del 1939, considerava l'uscita dalla guerra con l'armistizio un vero e proprio tradimento dell'Italia. Quindi per la sua sicurezza procedeva sia all'occupazione di gran parte del territorio italiano sia al disarmo e all'internamento in Germania di soldati italiani, considerati potenziali nemici. Da qui il fenomeno dell’Internamento Militare Italiano nella seconda guerra mondiale , che, però, non è solamente italiano.
La figura giuridica dell’Internato Militare esisteva già prima della Seconda Guerra Mondiale nel Diritto Internazionale, trovandosi o essendo presentati ai confini di uno Stato neutrale Reparti ed Unita di un esercito che venivano disarmati e posti sotto custodia delle autorità di quest’ultimo, affinché non potessero intraprendere azioni belliche.
L’Internato Militare Italiano, che nasce dalla particolare situazione generatesi nel nostro Paese a seguito degli eventi armistiziali dell’8 settembre 1943, con la presenza sul in Italia del Governo del re, legittimo, e della Repubblica Sociale Italia fondata da Benito Mussolini il 23 settembre 1943, può essere assimilato all’Internato di Guerra, ovvero internamento di cittadini di uno stato potenzialmente nemico o atto a essere potenzialmente in grado di intaccare la sicurezza dello Stato che procede all’internamento.

Alla terza, chi è il Deportato di Guerra? domanda a cui si risponde definendo il Deportato “il cittadino di un territorio occupato dallo Stato nemico, il quale, per garantirsi nella propria sicurezza, traduce in un altro territorio che giudica più congruo alla propria sicurezza, lo stesso cittadino”.
Il deportato, che per chiarezza chiamiamo deportato ( per ragioni ) di guerra subisce una azione dovuta allo stato di guerra da parte del nemico. E’ un cittadino non belligerante e tutti i componenti di una popolazione, o l’intera popolazione, possono essere deportati.

Nei territori occupati dalle truppe di uno Stato nemico si possono sviluppare movimenti di resistenza armata al diritto di occupazione da parte dell'esercito nemico. Tali movimenti possono dar vita alla figura del "partigiano", ovvero del "civile" (ovvero del non belligerante) che con le armi si oppone all'occupazione.
In questo stato di cose emergono le figure del Partigiano, dell’Ostaggio, del Patriota, del Resistente, del Combattente per la Libertà, tutte figure che il conflitto genera e su cui la violenza bellica si esplica in tutta la sua potenzialità.

I partigiani, riuniti in gruppi o bande ricercano l'appoggio della popolazione civile. E' un fenomeno che si sviluppò nel secondo conflitto mondiale su vasta scala, anche se nel corso della storia dell'umanità si possono fare molti esempi di civili armatesi contro l'occupante.

La reazione a tale situazione è la presa di ostaggi, di rappresaglie, di repressioni collettive, di coercizioni e di, non da ultimo, deportazioni.
Durante la seconda guerra mondiale, la Germania, come stato occupante, considerava la presa di ostaggi legittima, la punizione collettiva come rappresaglia diritto dell'occupante; il partigiano come belligerante combattente illegittimo, e quindi senza alcuna protezione giuridica, contro il quale poteva essere esercitata la violenza bellica senza alcuna restrizione, e il diritto di deportare come misura di sicurezza. Invocava al riguardo l'art. 50 del Regolamento alla Convenzione dell'Aja del 1907, che autorizza l'occupante a tutto ciò. Ma la convenzione del 1907 si riferiva a conflitti del secolo scorso e, per essere invocato, doveva essere applicato nello spirito e nella norma della Convezione di inizio secolo.
Le figure or ora descritte si pongono fuori della tutela delle leggi di guerra e delle Convenzioni e quindi sono soggetti all’esplicarsi della violenza bellica in tutta la sua entità.

Le figure fino ad ora descritte si riferiscono sempre a soggetti su cui si esercita la violenza bellica e la violenza,ovvero nella accezione che fra due o più Stati vi sia lo Stato di guerra. E’ anche vero, pero, che istituti come l’Internamento e la Deportazione, non sono riferibili solo allo stato di guerra, essendo presenti anche nel momento in cui la guerra non è stata dichiarata. Si può dire, in altre parole che non esistendo lo stato di guerra non è esercita la violenza bellica, ma è esercita quello che finora abbiamo chiamo ma violenza nella semplice accezione del termine.

E’ necessario, a questo punto, fare una precisazione. Occorre introdurre il concetto, generato dalla Rivoluzione Francese, del Cittadino che è parte integrate dello Stato, ovvero il controllo delle masse da parte dello Stato stesso. Quindi la natura dello Stato: liberale, democratico, totalitario, dittatoriale e gli strumenti che nell’ambito di ogni configurazione vengono messi in atto.

Questo approccio all’Istituto dell’Internamento è comune a tutti gli Stati, compreso il nostro. E’ facile constatare che, in tema di Internamento volto allo sterminio, il pensiero si rivolga ad uno Stato in particolare. In realtà tutti gli Stati hanno avuto un grado pi o meno diverso di impiego dell’Internamento, compreso il nostro, che in tema di Internamento di particolare durezza ha, come vedremo, esempi non ceto marginali.

Rinviando all’apposito capitolo, in questa sede basti dire che dallo Stato pi tollerante a quello più intollerante esistono mezzi che vengono messi in essere in relazione alla propria sicurezza in relazione ai diritti e libertà del cittadino. In Pratica, per l’argormento che stiamo trattando, in ogni Stato sono presenti misure, da quelli minime e minimali a quelle dal più ampio spettro, che possono far capo all’Internamento ed alla Deportazione

Su queste basi si può dire che, nel momento in cui uno Stato dichiara la guerra, nei confronti dei propri cittadini, estende o introduce misure che già possono preesistere in tempo di pace volte alla salvaguarda della sua sicurezza generale. Si può dire che l’Internamento e la Deportazione esistono, o possono esistere, nei confronti dei propri cittadini anche in tempo di pace. Si ha quindi l’Internamento in pace e la Deportazione in pace, da cui discende l’Internato che possiamo chiamare “civile” o, meglio semplicemente Internato e, per similitudine il Deportato “civile, o meglio, il Deportato.
Nascono quindi altre due domande, che ci dobbiamo porre, superando il presupposto che esiste lo Stato di guerra, ovvero che si possa esercitare la violenza bellica, ovvero che lo Stato, ai fini della propria sicurezza, eserciti solo quello che abbiamo individuato come “violenza.
Chi è, in tempo non di guerra ovvero di pace, l’Internato?
Chi è, in tempo non di guerra ovvero di pace, il Deportato?

Alla prima domanda si può rispondere definendo l’Internato (civile), il cittadino colpito in via amministrativa da misure restrittive della sue libertà personali senza aver commesso alcuna violazione di legge ed averne subito il giudizio, o, in presenza di leggi, queste lo qualifichino in categorie ritenute pericolose per la sicurezza dello Stato”

Alla seconda domanda si può rispondere definendo il il Deportato (Civile), il cittadino colpito da misure generali prese in nome della sicurezza generale dello stato prese in via amministrativa appartenente ad una popolazione, ad un gruppo, ad una categoria ad un contingente o essere compreso in una lista di nomi che viene sradicato dal proprio territorio di origine e trasportato in un altro parte del territorio dello Stato.

Ci si può chiedere perché sia necessario avventurarsi su questi terreni che assumono, soopratutto se si pone uno sguardo al secolo appena trascorso, dimensioni planetarie. La ragione è quella di porre un ordine una mappa di orientamento in questa materia che è avvolta, almeno a nostro parere, in una confusione cronica e diffusa.I termini Prigioniero,Internato, Deportato vengono usati in modo intercambiabile spesso sovrapposti e spesso confusi con quello di carcerato, e criminale comune; la distinzione fra lo stato di guerra e la pace spesso sottintesa, gerando anche essa ulteriore confusione fino ad arrivare, come già detto, che la pubblica opinione non percepisce nelle sue reali dimensioni questi fenomino e li lascia, anche per il loro carattere, cadere nell’oblio e nella dimenticanza ferendo chi ebbe a subure queste misure non certo per colpa o volontà propria.

La Confusione Regnante

Esiste, quindi, una estrema confusone in cui è avvolta tutta la materia che stiamo trattando. Analizziamone quindi i motivi e confrontiamo i punti in comune e le peculiarità come introduzione alla loro struttura ed articolazione

Ma vi sono profonde differenze tra l’uno e l’altro.
Chi è in un campo di concentramento per prigionieri di guerra sa che al termine della guerra la sua detenzione termina; chi è in un campo di concentramento per Internati sa che la sua detenzione è “sine die”, fino a quando lui non viene più considerato un pericolo per lo Stato che lo detiene a prescindere o meno dallo stato di guerra; in alcuni aspetti dell’Internamento addirittura si arriva a concepire il campo di concentramento come un campo di sterminio, ove chi entra non è previsto che esca vivo, data la sua pericolosità sociale, presunta o reale che sia.
Sempre considerando lo stato di guerra, l’Internamento di cittadini, stranieri e non, è volto all’allontanamento dall’intera zona di guerra e conseguente inoltro all’interno di uno Stato in una località militarmente non importante dove sia facile esercitare la sorveglianza e precludere il mantenimento di relazioni considerate lesive della sicurezza dello Stato con l’ambiente originario. Quindi chi né è colpito si sente parte integrante del propri stato e sa che le misure prese nei suoi confornti termineranno con la fine della guerra.

E’ evidente la grande differenza esistente, sotto il profilo concettuale, con la Prigionia di guerra.
La prigionia militare è lo strumento che serve per neutralizzare i soldati di uno stato nemico ad esercitare la violenza bellica. Quindi la prigionia di guerra è applicabile solo ai militari ( ovvero dei cittadini di uno stato atti alla belligeranza) che possono portare le armi e quindi l’offesa.
La Prigionia di guerra, quindi, è strettamente legata alla vicenda bellica, ed è fissata nella sua attuazione da precise Convezioni che nel tempo si sono via via perfezionate.
L’Internamento di guerra, invece, ancora è soggetto alle esigenze dello Stato che via via si possono presentare.
Dall’originare esigenza di cautelarsi da persone che potrebbero intaccare la propria sicurezza durante lo stato di guerra, uno Stato ha allungato la lista di quelli che potevano, per la sua sicurezza, essere pericolosi, per i più svariati motivi. Quindi l’internamento è diventato tale per ragioni politiche, indi per ragioni religiose, razziali, etniche, comportamentali, fino ad arrivare a quello occasionale e speditivi.
Abbiamo, quindi, l’Internamento in pace, come misura intena dettata dallo Stato per garantirsi della propria sicurezza interna.

Con queste premesse appare evidente che non si può presentare tutto l’Insieme dell’Internamento relativo ad ogni singolo stato. Il campo di esposizione sarà limitato ai concetti generali riferiti a questo istituto, e poi un breve exursus sul suo utilizzo da parte del nostro Stato dalla unificazione ad oggi, con un particolare cenno allo stato di guerra, senza tralasciare, lì dove si presenti la necessità o l’occasione di fare riferimento a vicende relative all’Internamento di altri Stati di particolare significato. Sarà la bibliografia di riferimento e di rinvio a dare poi, per chi volesse approfondire i temi preposti, a dare gli strumenti per una più ampia conoscenza di questo Istituto.

Perché tutta questa confusione, oltre al fatto delle scarsa conoscenza di questi istituti.
Una probabile risposta stà nel fatto che comune a tutti è il campo di concentramento.


Questa situazione è data dal fatto che il comune denominatore tra Prigionia ed Internamento è “ il campo di concentramento”, con tutto quello che ciò significa. Infatti sia il Prigioniero di Guerra che l’Internato è ristretto nel “campo di concentramento” e, nella maggioranza dei casi, il trattamento ricevuto è lo stesso: privazione della libertà, umiliazioni, efferatezze, violenze ecc. Questo, in genere, porta a parlare di equipollenza tra Prigionia di guerra ed Internamento di guerra e Deportazione di Guerra.

Lauro de Bosis
Un convegno per ricordar ei valori della libertà e della democrazia

Massimo Coltrinari
( e mail ricerca23@libero.it)

In occasione del 77° anniversario della sua impresa e della sua scomparsa, abbiamo ricordato nella Sala consigliare del Comune di Ancona, sotto il quadro di Stamina, eroina della libertà e della indipendeza civica, Lauro de Bosis. Alternadosi con Roma, questa data anniversaria è l’ccasione per ricordare a tutti colui che, consapevole di essere una vittima sacrificale e risoluto a farsi protagonista, fu oppositore a quel concatenarsi di eventi innescatosi nel 1922 con la Marcia su Roma e nel 25 con la promulgazione dlle leggi “fascistissime” e con il suo sacrificio rifiutò le motivazioni per le quali la Nazione aveva accettato il fascismo.
Giovanissimo all’avvento del fascismo, de Bosis era esente della pur minima porzione delle pesanti responsabilità di tutta una classe dirigente. In lui la nausea per i demagoghi provvisioramente sconfitti è pari all’orrore delle squadracce provvisoriamente vincitrici. L’antifascismo di Lauro De Bosis e della sua organizzazione, L’Allenanza Nazionale per la Libertà, è un esempio di coerente, dignitosa, patriottica e civile lotta contro un regime totalitario e svolta non in nome di greppie perdute ma di ideali cui sacrificarsi.

Durante il convegno del 3 ottobre 2008 si è ben messo in luce e ben si è compreso come i passati e gli attuali prelati della libertà e della democrazia non amino ricordare colui che dall’asilo sicuro ed agiato ha volontariamente e spontaneamente donato la sua giovinezza mentre l’eroismo dei più consistette all’opposto nel mettersi in salvo. Colui che è di esempio e vive i suoi ideali, non è amato dalla maggioranza opportunista e sempre attenta a capire chi sarà il vincitore per poi aiutarlo a spartire i beni della vittoria, reclamando anche una parte che non spetta. Questa massa poi non ama ricordare chi gli ricorda, con il suo semplice essere, questo opportunismo, questo navigare nel giusto mezzo, questo essere degli ippopotami morali che si rotolano beati nella palude del non impegno e del non vivre ideali e valori.

Lauro De Bosis giunse all’epilogo della sua impreza, ovvero quello di lanciare 4000.000 volantini su Roma, per ricordare al re, Vittorio Emanuele il patto stretto con il popolo italiano nel risorgimento, patto di libertà e di democrazia che con l’avallo al fascismo stava tradendo, percorrendo un lungo cammino di amarezze, di sacrifici, affrontati con la grandezza d’animo del vero iniziato. Era convinto che “ il fascismo non cadrà se prima non si troveranno una ventina di giovani che sacrifichino la loro vita per spronare l’animo degli Italiani. Mentre durante il Risorgimento i giovani erano pronti a dar la vita si contavano a migliaia oggi ce ne sono assai pochi. Bisogna morire. Spero che, dopo di me, moltri altri seguiranno e riusciranno infine a scuotere l’opinione”
Un messaggio forte, che antepone ogni diritto al dovere di vivere i prpori ideali e valorini, quasi un rinverdire quell’impronta mazzinaia che segnò tutto il nostro processo unitario. Per Lauro fu una prova di grande coraggio e di sbalorditiva abilità.
La sua azione, che fu infangata da una stampa di regime ben orientata, ebbe più risonanza all’estero che in Italia ed anche oggi Lauro è più noto nel mondo anglosassone che nella sua terra. il quotidiano belga Le Soir, il cui capo redattore del 19131 finanziò l’impresa, nel settantacinquesimo anniversario, ll 3 ottobre 2006 ha dedicato un lungo articolo alla memoria di Lauro de Bosis, mentre la cattedra ad Harvard, istituta da Ruth Draper, la sua donna, che volle ricordare l' amante con una generosa donazione all' Università di Harvard e che permise l' istituzione di una cattedra per lo studio della civiltà italiana, il «Lauro de Bosis lectureship» che tra l’altro dette il pane a Gaetano Salvemini, da poco esule negli Stati Uniti, e chiamò da allora a Cambridge, nel Massachusetts una lunga lista di studiosi italiani a cui viene chiesto di tenere un corso semestrale e di pronunciare tre «Lauro de Bosis lectures», ancora oggi è attiva, e continua quell’attivià di divulgazione e diffusione dei valori di libertà e di democrazia, in senso laico, proprio una alleanza naziale per la libertà, di cui veramente si sente in questi momenti molto bisogno.