1866 QUATTRO BATTAGLIE PER IL VENETO

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1866 Il Combattimento di Londrone

ORDINE MILITARE D'ITALIA

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CAVALIERE DI GRAN CROCE

Collana Storia in Laboratorio

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.La collana Storia in Laboratorio 31 dicembre 2014

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La Collana Storia in Laboratorio al 31 dicembre 2011

La Collana Storia in Laboratorio al 31 dicembre 2011
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martedì 19 gennaio 2010

IL PROCESSO DI NORIMBERGA E LE SUE EREDITA’ GIURIDICHE


1. PREMESSA
Circa sessant’anni anni fa, Il 1° ottobre del 1946, il Presidente del Tribunale di Norimberga, lord Geoffrey Lawrence, pronunciò il verdetto.[1] Furono comminate 12 condanne a morte, di cui una in contumacia. La data dell’esecuzione fu fissata per il 16 ottobre. Hermann Goring, l’imputato più importante al processo[2], si tolse la vita il giorno prima con una fialetta di cianuro. La notte successiva furono eseguite 10 impiccagioni in 103 minuti, utilizzando tre grandi forche issate all’interno della palestra del carcere di Norimberga. Il boia era John Wood , un sergente americano che morì qualche anno più tardi collaudando di persona una sedia elettrica[3]. Le ceneri dei gerarchi nazisti furono sparse dopo l’esecuzione nel letto del fiume Isar. Svanirono così, complice anche il destino, le tracce di alcuni tra i più significativi protagonisti di Norimberga.
Il processo di Norimberga offrì alla comunità internazionale le basi, etiche prima ancora che giuridiche, per perseguire quegli individui che si erano macchiati dei più gravi crimini contro il diritto dei popoli (crimini di guerra, crimini contro l’umanità e crimini contro la pace)[4]. Si prescindeva, a tal fine, da taluni principi cardine del procedimento penale, per affermare con forza il diritto punitivo della comunità internazionale verso i crimini lesivi di valori universali[5].
Ma dopo Norimberga - e Tokyo sul versante orientale[6] - vi fu una stasi dell’attività dei Tribunali internazionali, legata al lungo periodo della guerra fredda. In questo periodo i principi di Norimberga non furono più applicati, nonostante non fossero mancate le occasioni per farlo (ad esempio in Cambogia, in Vietnam, in Algeria, e così via).
Dopo la caduta del Muro di Berlino, le emergenze umanitarie degli anni ‘90 hanno imposto alla comunità internazionale un cambio di rotta. Importante, in tal senso, è stato anche il ruolo dei media che hanno portato nei salotti di tutto il mondo le atrocità commesse nelle aree di conflittualità. Ciò ha spinto la comunità internazionale a reagire con la costituzione dei Tribunali ad hoc (ex-Jugoslavia, Ruanda) e dei Tribunali ibridi (Sierra Leone, Timor Est, Kosovo) prima, e della Corte Penale Internazionale poi.
In tale contesto, si tratta di verificare se i moderni Tribunali internazionali abbiano mantenuto lo “spirito” di Norimberga e, conseguentemente, esaminare in quali termini sia corretto oggi, a distanza di sessant’anni, parlare di eredità giuridica di Norimberga.

2. L’EREDITA’ DA RIFIUTARE
Lo statunitense Robert Jackson, capo dell’accusa a Norimberga, durante un suo intervento del 21 novembre 1945, manifestò la speranza che quel processo potesse “apparire ai posteri come l’adempimento dell’aspirazione umana alla giustizia”.
Non occorre un’analisi particolarmente profonda per constatare, con una nota di rammarico, che quella nobile speranza è rimasta in parte disattesa.
Le critiche al Tribunale di Norimberga furono aspre e riguardarono principalmente il mancato rispetto di alcuni canoni del giusto processo, con particolare riferimento alla violazione dei principi della irretroattività della legge penale e della giustizia uguale per tutti[7].

a. Il principio di irretroattività della legge penale
Tra i principi universalmente riconosciuti a cui si ispira il diritto penale, quello della irretroattività della legge penale (nullum crimen, nulla poena sine lege praevia) occupa un posto di rilevanza assoluta.
Proprio sulla presunta violazione di questo principio furono sollevate le maggiore critiche al Tribunale di Norimberga, che secondo i più fondò i suoi verdetti su leggi create post factum. Tali critiche non erano riferite ai crimini di guerra, la cui punibilità era già da tempo riconosciuta dal diritto internazionale dei conflitti armati[8], quanto ai crimini contro l’umanità e ai crimini contro la pace.
In ordine alla prima fattispecie (crimini contro l’umanità), i crimini commessi all’interno di uno Stato sovrano contro i propri cittadini erano allora considerati quali affari interni, ove il diritto internazionale non poteva assolutamente interferire. Ma non si intendeva lasciare impuniti tali crimini[9]. Si cercò così di superare il problema attraverso un artifizio interpretativo, dichiarando punibili solo i crimini contro l’umanità in stretta connessione temporale con i crimini di guerra. Pertanto tutti i crimini commessi prima dell’inizio della guerra, compreso lo sterminio di massa degli ebrei già cominciato, non rientrarono in questa categoria e rimasero impuniti[10].
Tali argomentazioni giuridiche appaiono poco convincenti. Ritenuto giusto e prioritario punire i responsabili di tali crimini, allora si sarebbe dovuto ammettere, chiaramente, l’infrazione del principio di irretroattività della legge penale. Difatti tale principio, nel caso di specie, poteva anche essere sacrificato da superiori esigenza di giustizia, in quanto in conflitto con altri interessi maggiormente meritevoli di tutela giuridica (quali la repressione dei più gravi crimini contro l’umanità).
Anche in relazione alla seconda fattispecie (crimini contro la pace per aver diretto guerre di aggressione contro altri Stati), valgono le medesime argomentazioni. E’ vero che la Germania aveva firmato nel 1928 il patto Briand-Kellogg[11] e, con tale adesione, aveva espressamente rinunciato alla guerra di aggressione. Tale patto, tuttavia, non prevedeva alcuna sanzione per i trasgressori. In altri termini, pur costituendo il crimine in parola una palese violazione del diritto delle genti, nessuna norma del diritto internazionale prevedeva la sua punibilità. Anche in questo caso, pertanto, si sarebbe dovuta ammettere esplicitamente la violazione del principio di irretroattività, da sacrificare per superiori esigenze di giustizia.
In tal senso, come sostiene il Merkel, “il principio che i crimini più gravi non possono rimanere impuniti, se non si vuole far vacillare la coscienza della legge della collettività, acquista un peso maggiore del divieto di retroattività” [12].

b. La giustizia dei vincitori
A Norimberga fu sollevata dalla difesa anche la questione della giustizia dei vincitori sui vinti, talvolta a prescindere dalla gravità dei crimini commessi da entrambe le parti. Nessun procedimento giudiziario fu infatti intentato a carico degli alleati.
Con riferimento ai crimini di guerra, Sergio Bertelli ha recentemente pubblicato un saggio sull’inutilità della maggioranza degli attacchi aerei alleati[13]: “A Norimberga mancavano alcune sedie”, sostiene l’Autore con riferimento a tali attacchi. Ed in effetti le forze alleate, durante la seconda guerra mondiale, condussero tantissimi bombardamenti devastanti, non tutti operativamente giustificabili[14]. Basta citare il nome di alcune città per ricordare: Rotterdam, Coventry, Londra, Dresda, Roma, Milano, in parte la stessa Norimberga. Ed ancora, sul versante orientale, Hiroshima e Nagasaki.
La stessa eccezione fu sollevata dalla difesa per il crimine di aggressione, atteso che l’Unione Sovietica, che sedeva sul tavolo degli accusatori, aveva invaso la Polonia a seguito del patto “segreto” Hitler-Stalin del 1939.
Lord Geoffrey Lawrence, Presidente del Tribunale di Norimberga, chiamato ad esprimersi su questi fatti potenzialmente lesivi dei principi del giusto processo, liquidò definitivamente la questione con queste parole: ”Non sediamo qui per giudicare se altre potenze non abbiano rispettato lo ius gentium, o abbiano commesso delitti contro l’umanità o crimini di guerra. Siamo qui per giudicare questi imputati per questi fatti”[15].
La legge non fu uguale per tutti neanche tra i vinti. Difatti, nel nostro Paese non vi fu una Norimberga italiana. Uno dei pochi a pagare fu il Gen. Nicola Bellomo (Comandante del Presidio militare di Bari, che tra l’altro fu insignito di medaglia d’argento per le operazioni militari contro i tedeschi nella difesa del porto di Bari). Nell’immediato dopoguerra fu condannato a morte da una Corte militare inglese con l’accusa di avere ucciso personalmente due ufficiali inglesi prigionieri nel campo pugliese di Torre Tresca dopo un tentativo di fuga. Il Gen. Bellomo sosteneva che ai militari fu sparato mentre fuggivano (l’uccisione in caso di fuga era allora ammessa dalle consuetudini internazionali, fatto che ora è invece ammesso solo in casi estremi). La Corte ritenne invece che i due erano stati uccisi dopo la cattura, e che quindi si trattò di una vera e propria esecuzione (vietata dall’art. 211 c.p.m.g., che recepiva l’ art. 8 della IV Convenzione dell’Aja del 1907 sulla guerra terrestre). Fu fucilato da un plotone d’esecuzione a Nisida l’11 settembre 1945[16].
La questione della giustizia amministrata dai vincitori è stata nuovamente riproposta nel Tribunale ad hoc per l’ex Jugoslavia, ove Slobodan Milosevic ha sostenuto durante il processo di “partecipare ad una gara di nuoto con le mani e i piedi legati”.[17] La stessa eccezione è stata più di recente sollevata in aula da Saddam Hussein nel corso del processo instaurato dinanzi al Tribunale speciale iracheno[18].
Nei casi esaminati, non si può invocare il precedente di Norimberga, in base al quale sarebbe lecito processare il solo criminale di guerra nemico militarmente sconfitto. Fare giustizia non vuol dire perseguire e condannare esclusivamente coloro che, tra i vinti, hanno infranto le leggi dell’umanità. Significa, anche, garantire una legge uguale per tutti e che questa, poi, sia effettivamente applicata. Il mondo non si dovrebbe infatti dividere in buoni (vincitori) e cattivi (perdenti). I criminali di guerra possono appartenere a tutte le forze in campo e i crimini di guerra devono sempre essere perseguitati da indipendentemente da chi li abbia commessi[19].
Anche gli Stati vittoriosi, dunque, devono accettare che i propri cittadini, qualora responsabili di gravi violazioni di norme dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, siano sottoposti a processo.

3. L’EREDITA’ DA ACCETTARE
Ma il processo di Norimberga, certamente censurabile da un punto di vista giuridico, era forse il meglio che la comunità internazionale in quel dato momento storico potesse esprimere.
Oggi, dopo 60 anni, qualcosa è cambiato, soprattutto con riferimento ai principi del giusto processo, che trovano piena affermazione nello Statuto della Corte Penale Internazionale (ma solo per gli Stati che vi hanno aderito)[20]. Questo non intacca, tuttavia, l’importanza dell’esperienza di Norimberga, la cui vera eredità giuridica è legata alla trasmissione di alcuni principi importanti: tra questi, quello che l’ordine superiore non libera dalla responsabilità penale e, soprattutto, quello della legittimazione della giurisdizione penale universale.

a. L’ordine superiore e la responsabilità penale
In base a quanto affermato dai giudici di Norimberga, l’ordine superiore non libera da responsabilità penale. Ne consegue che il combattente, quando l’ordine è manifestamente illegittimo, ha il dovere non eseguire l’ordine e ribellarsi ad esso. Il principio, importantissimo, è stato oggi recepito dagli ordinamenti dei tribunali internazionali, ed in particolare dallo Statuto della Corte Penale Internazionale. Ai sensi dell’’art. 33 di tale Statuto, infatti, la circostanza che il crimine di guerra sia avvenuto per esecuzione di un ordine del Governo o del superiore non fa venir meno la responsabilità penale (peraltro, l’ordine di commettere atti di genocidio o crimini contro l’umanità è considerato sempre palesemente illegittimo).

b. La legittimazione della giurisdizione penale universale
Ma il più importante principio, per la prima volta affermato a Norimberga, è quello della legittimazione della giurisdizione penale della comunità internazionale, che si sostanzia attraverso una limitazione del potere statale di fronte a gravi violazioni di valori universali.
Principio che, sia pur attraverso un cammino difficile, ha trovato ospitalità nello Statuto della Corte Penale Internazionale. Come è stato sottolineato da un insigne giurista italiano[21], infatti, "lo Statuto di Roma vuole rappresentare la piena affermazione di un diritto punitivo della Comunità internazionale su tutti gli individui colpevoli dei più gravi crimini contro la pace e la sicurezza del genere umano”.
Lo scopo principale della giurisdizione penale universale, in tal senso, è quello di “ristabilire simbolicamente la norma infranta in nome della collettività”[22], atteso che le norme violate senza alcuna sanzione tendono ad indebolirsi e scomparire dall’ordinamento giuridico, anche nel caso di norme poste a tutela di valori universali.
Senza il seme di Norimberga difficilmente si parlerebbe, oggi, di una giustizia penale universale.

4. L’EREDITÀ IGNORATA
Ma dall’esperienza di Norimberga si potevano trarre altri utili ammaestramenti, non sempre recepiti negli Statuti dei moderni Tribunali internazionali. Il riferimento, in particolare, è al fattore tempo e al fattore luogo, ossia all’importanza che il processo si concluda in tempi ragionevoli e si svolga, laddove le circostanze ambientali lo consentano, sul luogo di commissione dei crimini.

a. Fattore tempo (conclusione del processo in tempi ragionevoli)
Il processo di Norimberga si svolse dal 20 novembre 1945 al 1° ottobre 1946, con una durata complessiva inferiore ad un anno. La conclusione rapida era legata alla convinzione che tempi processuali troppo lunghi avrebbero potuto non assicurare quella giustizia che la comunità internazionale chiedeva invece a gran voce.
Ebbene, questi insegnamenti non sempre sono stati presi in considerazione negli ultimi anni. Ad esempio, l’attività del Tribunale ad hoc per l’ex Jugoslavia si è contraddistinta per una giustizia lenta e macchinosa (in 14 anni di attività, sono state incriminate 161 persone e si sono conclusi processi contro 94 accusati, con un numero limitato di condanne[23]).
Recentemente un gruppo di esperti in diritto internazionale umanitario ha effettuato una ricerca sulla deterrenza della pena[24]. In questa ricerca è emersa l’importanza della rapidità nella sanzione, in quanto non c’è giustizia senza rapidità. In tal senso, ritardare la giustizia è come negare la giustizia. Si conferma così, a distanza di anni, l’importanza del fattore tempo nella conclusione di un processo internazionale per crimini contro il genere umano, il tutto in linea con gli insegnamenti di Norimberga[25].

b. Fattore luogo (svolgimento del processo, ove possibile, sul luogo del crimine)
Norimberga è il luogo ove furono emanate le leggi razziali del 1935. La scelta di Norimberga quale città simbolo del potere nazista e della persecuzione contro gli ebrei non fu pertanto casuale[26].
A distanza di anni, alcuni Tribunali internazionali sono stati istituiti nei Paesi ove i crimini sono stati commessi. E’ il caso, ad esempio, del Tribunale ibrido per la Sierra Leone, con sede a Freetown, che ha ottenuto risultati decisamente confortanti: la gente crede nella giustizia in quanto, nel caso di specie, è più facile acquisire prove testimoniali ed assicurare i colpevoli alla legge.[27]
La stessa esperienza positiva si è registrata anche a Sarajevo con la Camera per i crimini di guerra in Bosnia ed Erzegovina; si tratta di un Tribunale ibrido, in quanto vi è una presenza di due giudici internazionali e di un giudice locale. Lavora con solo il 5% del budget del Tribunale ad hoc per la ex-Jugoslavia ma, dopo poco più di 1 anno di attività, ha già trattato sei casi e tre di essi sono già in appello. Questa Camera è fondamentale nel processo di riconciliazione in atto nel Paese, perché è importante la percezione che la giustizia sia fatta (“Justice must not only be done, but seen to be done”[28]).
Pertanto, quali utili ammaestramenti dall’esperienza di Norimberga in ordine al fattore luogo, si può affermare che la giustizia deve essere non solo fatta, ma anche avvertita dalla popolazione locale (facendo attenzione che la giustizia conseguita sia quanto più possibile aderente alla giustizia che la popolazione locale si attende). Conseguentemente, quando le circostanze ambientali e di sicurezza lo consentano, sarebbe opportuno portare il tribunale sul luogo del crimine[29].

5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Ritorno sui crimini lesivi di valori universali che, per la prima volta, tra luci e ombre, il Tribunale di Norimberga ha cercato di sanzionare.
I fatti, come visto, hanno dimostrato che il monito dell’umanità di non tollerare mai più le gravissime atrocità poste in essere durante la seconda guerra mondiale è rimasto in parte inascoltato,[30] a causa del ripetersi di crimini di guerra e crimini contro l’umanità senza una reazione forte, decisa e coerente della comunità internazionale.
Dopo e nonostante il processo di Norimberga, la giustizia internazionale non sempre è riuscita ad affermarsi, apparendo selettiva in quanto ai crimini da perseguire e condizionata dagli interessi statali. Anche la Corte Penale Internazionale ancora oggi stenta a decollare, condizionata fortemente dalla mancata ratifica dello Statuto di Roma da parte di molti Stati di importanza strategica nello scacchiere mondiale. Viene così in parte disattesa la speranza di una piena affermazione di un diritto punitivo sovranazionale su tutti gli individui che si sono macchiati dei più gravi crimini contro il genere umano.
Ma il valore etico e giuridico di Norimberga va oltre tutto ciò: grazie a Norimberga, si può oggi dire che, pur in un sistema ancora in evoluzione, la comunità internazionale voglia sempre più affermarsi quale giudice non più tollerante verso chi offende gravemente la coscienza etica e giuridica dei popoli, anche per crimini commessi all’interno del proprio Paese nei confronti della propria gente[31].
Il processo di Norimberga, dunque, pur con le sue tonalità in chiaro e scuro, rappresenta una grande conquista e un’importante tappa verso la civiltà giuridica. Non è infatti importante che, a Norimberga, i principi del giusto processo siano stati sempre pienamente rispettati. Essenziale è stato invece - come affermato sessant’anni fa dal Calamandrei - che “la violazione delle leggi dell’umanità abbia cominciato a trovare un tribunale e una sanzione. Quel che conta è il precedente, che domani varrà come legge per tutti, per i vinti e per i vincitori.”[32] Nella sentenza di Norimberga, pertanto, c’è racchiusa, implicita, la ferma condanna delle più gravi atrocità contro il genere umano e in tal senso deve essere considerata, valorizzata e attualizzata la sua eredità.

[1] A Norimberga si tennero anche altri dodici processi minori, ma il più importante fu il primo, che vide come imputati i ventuno alti gerarchi nazisti superstiti. Il Tribunale di Norimberga fu costituito dalle 4 potenze vincitrici della 2^ guerra mondiale (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica).
[2] Comandante della Luftwaffe e tra gli artefici del riarmo nazista.
[3] Cfr. Enzo Biagi, La seconda guerra mondiale. Parlano i protagonisti. Il terzo Reich muore in palestra, Rizzoli, Milano, 1989.
[4] Crimini previsti dall’art. 6 dello Statuto del Tribunale di Norimberga.
[5] Cfr. Massimo Nava, L’arma spuntata del giudizio universale, Corriere della Sera, 12 luglio 2002.
[6] Il Tribunale di Tokyo (o Tribunale internazionale per l’estremo oriente) fu istituito il 9 gennaio 1946 per giudicare i crimini contro il genere umano commessi dai giapponesi. Vi facevano parte rappresentanti dell’Australia, del Canada, delle Filippine, della Nuova Zelanda e dell’Olanda. Si concluse nel novembre del 1948.
[7] Tra i principi violati, vi è anche quello del mancato ricorso al giudice naturale precostituito per legge, atteso che il Tribunale di Norimberga è stato istituito post factum.
[8] Cfr. Edoardo Greppi, I crimini di guerra e contro l’umanità nel diritto internazionale, Utet, Torino, 2001, p. 67. L’autore evidenzia che “se è vero che la componente di diritto convenzionale risaliva a pochi decenni prima (Aja 1907, Ginevra 1929), la parte consuetudinaria appariva antica e consolidata”. A conferma di ciò, alcuni Tribunali nazionali, che dopo Norimberga furono chiamati a giudicare su crimini di guerra commessi durante la 2^ guerra mondiale, fecero ampio ricorso al diritto consuetudinario. Ad esempio, la Corte marziale di Bruxelles nel 1950 condannò un Ufficiale tedesco capo dei campi di detenzione in Belgio accusato di gravi sevizie contro i PoWs. La difesa aveva fatto notare come il diritto dell’Aja allora vigente non vietava atti di sevizie e tortura. Tuttavia non si poteva non punire. La Corte applicò la clausola Martens secondo cui “… i civili ed i combattenti rimangono sotto la protezione e l’imperio del diritto delle genti, quali risultano dalle consuetudini stabilite [fra le nazioni civili], dai principi di umanità e dai precetti della pubblica coscienza.”. Tale clausola, che tutela le parti deboli di un conflitto offrendo loro talune garanzie minime, è di origine consuetudinaria (anche se poi ripresa nel tempo in tutte le più importanti Convenzioni). Recentemente, anche il Tribunale ibrido per la Sierra Leone ha giudicato sulla base del diritto internazionale consuetudinario, condannando l’ex Ministro della Difesa (Hinga Norman) al crimine di arruolamento dei bambini minori di 15 anni. La difesa sosteneva che il crimine non era contestabile in base alle leggi internazionali vigenti nel periodo in cui i fatti erano stati commessi. La Corte, con una maggioranza di 3 a 1, ha sostenuto invece che il reato era già previsto dalle consuetudini internazionali.
[9] Il Pubblico Ministero Robert Jackson, nella sua ultima requisitoria, rivolgendosi ai giudici così concluse: “Se voi dite che questi uomini non sono colpevoli, sarebbe come dire che non c’è stata guerra, non c’è stato massacro, non ci sono stati crimini”.
[10] Cfr. Reinhard Merkel, Norimberga e la giustizia degli uomini, 17 novembre 1995, visionabile al sito www.presentepassato.it.
[11] Il patto Briand-Kellogg fu firmato il 27 agosto del 1928 da 15 Stati e successivamente da altri 50. Con esso erano consentite le solo guerre di difesa o di sanzione autorizzate dalla comunità internazionale.
[12] Reinhard Merkel, Norimberga e la giustizia degli uomini, cit.
[13] Sergio Bertelli, Le piccole Dresda d’Italia, Ideazione, luglio-agosto 2005.
[14] Durante i bombardamenti della 2^ guerra mondiale, i rappresentanti delle forze alleate (in particolare Churchill) sostennero che i loro attacchi erano giustificati per rappresaglia (in quei tempi non vietata anche se condotta contro la popolazione civile).
[15] Anche il Tribunale di Tokyo, chiamato in causa sul bombardamento atomico degli alleati, giudicò, non senza imbarazzo, la questione non pertinente.
[16] Cfr. Sergio Dini, Il contributo della giurisprudenza italiana all’evoluzione del diritto umanitario, in Studi di diritto internazionale umanitario di Giuseppe Porro, Giappichelli editore, Torino, 2004; Federico Marzollo, Ancora un approfondimento sul Gen. Bellomo, Vita associativa. L’Autore fa riferimento ad un documentario prodotto dalla BBC nel 1980 relativo al processo farsa contro il Gen. Bellomo, ove sembra che la decisione di condanna a morte fosse già stata presa dallo staff civile inglese prima della costituzione della Corte militare.
[17] In ordine alle presunte responsabilità della NATO durante le operazioni militari nell’ex-Jugoslavia, il Procuratore del Tribunale, Carla Del Ponte, aveva nominato in data 14 maggio 1999 un Comitato di esperti allo scopo di verificare se il materiale probatorio potesse giustificare l’apertura di una istruttoria. Il 2 giugno 2000 il Procuratore ha comunicato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la propria decisione di non procedere, accogliendo le conclusioni del rapporto redatto dal Comitato di esperti, con le quali non si riteneva utile che fossero condotte ulteriori investigazioni da parte del Procuratore in quanto la normativa non appariva sufficientemente chiara ed era improbabile che le indagini potessero portare all’acquisizione di materiale probatorio tale da poter sostenere le accuse.
[18] Il Tribunale speciale iracheno è stato istituito, come i Tribunali ad hoc, post factum. La sua procedura non sempre appare ispirata ai principi del giusto processo. Sul punto cfr. Natalino Ronzitti, Esiste una giustizia internazionale in grado di processare i capi di Stato?, visionabile al sito www.affarinternazionali it.
[19] Cfr. Arturo Marcheggiano, “Alcune Proposte”, contributo scritto nell’ambito della XXIX tavola rotonda sui problemi del DIU sul tema ”Giustizia e riconciliazione: un approccio integrato” tenuta dal 7 al 9 settembre 2006 a Sanremo presso l’Istituto internazionale di diritto umanitario.
[20] La Corte Penale Internazionale è stata istituita nel 2002 a seguito dell’entrata in vigore del suo trattato istituzionale del 1998 (raggiungimento 60^ ratifica). Gli Stati che sinora hanno aderito sono 104: tra questi non compaiono Cina, Giappone, Russia, Stati Uniti ed altri importanti Paesi. La Corte ha una giurisdizione complementare, ossia è competente solo qualora lo Stato avente titolo non possa o non voglia giudicare il colpevole. La Corte è rispettosa del principio del giudice naturale precostituito per legge (trattasi di un tribunale permanente) e del principio di irretroattività della norma penale (giudica infatti solo sui fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore).
[21] Giuliano Vassalli, Statuto di Roma. Nota sull’istituzione di una Corte Penale Internazionale, in Rivista di studi politici internazionali, 1991, pag. 10.
[22] Reinhard Merkel, Norimberga e la giustizia degli uomini, cit.
[23] Dati ricavati dal 13° Rapporto annuale del Tribunale per l’ex-Jugoslavia, consultabile in internet sul sito www.un.org/icty.
[24] I risultati della ricerca sono stati presentati a Sanremo presso l’Istituto internazionale di diritto umanitario nell’ambito della XXIX tavola rotonda sui problemi del DIU (6/8 settembre 2006).
[25] Un processo rapido non è tuttavia sempre possibile. Ad esempio nel caso del Tribunale internazionale per il Ruanda, ove il numero dei possibili imputati tra gli Hutu era talmente elevato che non consentiva una chiusura rapida del processo.
[26] Sulla scelta incisero anche motivazioni logistiche. Infatti Norimberga offriva un Palazzo di giustizia ancora intatto e un carcere posto nelle immediate vicinanze.
[27] Intervento del Prof. David Crane, già Procuratore Capo del Tribunale per la Sierra Leone, tenuto a Sanremo presso l’Istituto internazionale di diritto umanitario nell’ambito della XXIX tavola rotonda sui problemi del DIU in data 8 settembre 2006.
[28] Intervento del Giudice Almiro Rodriguez, della Camera per i crimini di guerra in Bosnia ed Erzegovina, tenuto a Sanremo presso l’Istituto internazionale di diritto umanitario nell’ambito della XXIX tavola rotonda sui problemi del DIU in data 8 settembre 2006.
[29] L’osservazione è valida per i tribunali internazionali, nei cui Statuti non è prevista la comminazione della pena di morte. Ne deriva l’inopportunità di processare un criminale sul luogo del crimine dinanzi a tribunali nazionali, qualora l’ordinamento locale preveda la sanzione della pena di morte (come nel caso del Tribunale speciale iracheno).
[30] In tal senso continua purtroppo a mantenere una sua attualità, nonostante le conquiste giuridiche dell’umanità, il vecchio brocardo latino “Inter arma silent leges”, poi ripreso nel 1999 dal giudice della Corte Suprema USA William Renqwist con la formulazione “The laws are not silent in war time. They speak with a muted voice”.
[31] La giustizia penale, perché abbia un senso compiuto, deve tuttavia essere accompagnata da un processo di riconciliazione nazionale. E’il caso dell’Africa del Sud, ove vi è stato un processo di riconciliazione riuscito, attraverso la rinuncia a perseguire taluni crimini (per evitare di umiliare il perdente), ma senza cadere mai nella trappola dell’impunità.
[32] Piero Calamandrei, Le leggi di Antigone, Il Ponte, novembre 1946, visionabile al sito www.presentepassato.it.

domenica 17 gennaio 2010

Paolino Orlandini
".................. e si scatenò la seconda Guerra Mondiale"
Una ricerca articolata su tredici capitoli, dedicata agi studenti impegnati nel Progetto Storia in Laboratorio
Paolino Orlandini è Medaglia d'Argento al valor Militare, Partigiano combattente e volontario nei Gruppi di Combattimento
Presidente
della Sezione di Ancona
della Associazione Nazionale Combattenti della Guerra di Liberazione
I Capitoli della ricerca sono riportati sul blog in 13 post numerati da 1 a 13 sotto la data del 17 gennaio 20010
informazioni : ricerca23@libero.it
approfondimenti:risorgimento23@libero.it
La ricerca di Paolino Orlandini può essere integrata con gli articoli pubblicati sulla rivista "Il Secondo Risorgimento d'Italia", disponibile on line
all'indirizzo:entra/sezione rivista/indici
Capitolo 1
Paolino Orlandini "............................... e si scatenò la Seconda Guerra Mondiale"

DARE A CESARE QUELLO CHE E’ DI CESARE
Una considerazione generale

Tanto si è scritto sulla Seconda guerra mondiale. Libri su libri; libri ridotti o trasformati in film; documentari cinematografici, articoli su giornali e riviste; conferenze di storici e ricerche storiche trasmesse dai tanti canali televisivi. I più grandi avvenimenti sono stati ricordati in centinaia, se non migliaia, di cerimonie e commemorazioni. Celebrati e osannati generali, anche i più mediocri che impararono a condurre grandi unità nel corso della guerra che si sviluppò in Italia.
A leggere i libri ed i servizi giornalistici o a seguire le celebrazioni o le conferenze di storici, si è sentito parlare del grande apporto alla lotta per la liberazione dei popoli e per la democrazia, delle sole grandi potenze cosiddette “occidentali”, come se fossero state le uniche a battersi contro il nazi-fascismo. Della Potenza che pagò con oltre 20 milioni di morti, sui 52 milioni costati ai popoli del mondo; delle migliaia di città piccole e grandi distrutte dalla furia distruggitrice delle armi; dalla distruzione morale e fisica di intere popolazioni; della fame sopportata con estrema dignità dai popoli dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, se ne è parlato poco e sempre meno nelle ricorrenti date celebrate affinchè la “memoria” rimanga bene impressa nelle menti.
Addirittura per legge si sono stabilite le date da ricordare: la Shoah (lo sterminio degli ebrei) e l’eccidio degli italiani in terra d’Istria. Nel contempo si tenta di oscurare la Resistenza italiana e la Guerra di liberazione dall’occupazione nazista e dalla dittatura fascista, alla cui opera di demolizione partecipano pseudo storici e giornalisti famosi un giorno, per osannare il risorgimento italiano dalle ceneri in cui aveva ridotto l’Italia il ventennio fascista e le sue guerre.
Orrendi delitti che vanno ricordati a futura memoria, ma che non devono prevalere sui tanti delitti commessi sia da “amici”, sia da “nemici”. Parlare degli uni e non degli altri si corre il rischio di distorcere la verità, quella vera e non quella che qualcuno vorrebbe fosse avvenuta e farla passare per quella assoluta.
L’ultimo libro dello storico Petacco (in una trasmissione televisiva con Baudo raccontava la “storia dell’oro di Dongo”, dicendo: si dice che …..) pone sul medesimo piano Hitler e Stalin. Due “amici” che si accordarono per dividersi la Polonia. Come due “amici di merende”. Non sapendo più cosa scrivere per screditare soprattutto una parte in causa, tra l’altro quella vincitrice, si inventa le “amicizie terribili”. E il libro viene pubblicizzato in televisione!
Io non sono uno storico, però ho sempre cercato la verità, per cui ho effettuato tante ricerche mettendo le mani su fatti ed avvenimenti timidamente narrati e nascosti in armadi e credenzoni per farli cadere nell’oblio, affinchè prevalessero le nuove letture di storici prezzolati o del tutto soggettivi.
Mi piacerebbe leggere da questi, i delitti compiuti dagli italiani nei territori occupati dall’esercito fascista, dei loro soprusi nei confronti delle popolazioni; mi piacerebbe conoscere, almeno i nomi, dei criminali di guerra denunciati dai vari governi europei e africani, le cui documentazioni sono nascoste in archivi blindati di Londra e di New York (ONU); mi piacerebbe conoscere i risvolti della politica fascista in rapporto ai “circoli imperialisti” dei vari paesi europei e americani coperti dai governi in nome della “democrazia” occidentale; come mi piacerebbe trovare alcuni libri che narrino gli avvenimenti che portarono alla Seconda guerra mondiale.
Ho detto dei milioni di morti sopportati dell’URSS. Morti che vengono oscurati dalla politica di coloro che l’hanno voluti oscurare e si continua a farlo, per una sola ragione: quella di isolare l’eventuale sua notorietà accrescendone invece la stima, la fiducia, la simpatia, la riconoscenza.
Ma il motivo, sicuramente non è solo questo. Nell’URSS c’era sin dall’inizio del suo sorgere un regime i cui principi potevano influire sul pensiero dei popoli del mondo occidentale e non solo, per rivoluzioni che si sarebbero rivolte contro le cosiddette democrazie, contro i circoli dominanti finanziari, economici e industriali; contro il grande capitale, contro il colonialismo, contro l’imperialismo. E allora bisognava non soltanto oscurare le verità, ma amplificare le incertezze, i contrasti, i modi sicuramente poco “democratici” di governare, per cui si creò prima la “cortina di ferro” voluta da Churchill per sbarrare e rinchiudere entro i loro confini quei paesi che erano rimasti nell’area di influenza politica sovietica. Ma occorreva creare attorno ad essa anche una barriera psicologica che passò sotto il nome di “l’impero del male”, ampliando nel mondo tutto ciò che appariva negativo e nel contempo veniva attuata qualsiasi forma di collaborazione con il mondo esterno inventando la favola dei 100 milioni di morti compiuti dai comunisti nel mondo.
Per questa operazione venne creata tra Europa e il nord America, il Patto che tuttora esiste, della NATO. Nel Medio Oriente il Patto di Bagdad e in Estremo Oriente il Patto della SEATO. Tutte alleanze antisovietiche per paura che il comunismo avanzasse oltre le loro barriere. E su questo grande disegno si svilupperanno poi ogni forma di corrosione del potere comunista fino alla sua implosione e collassamento che non hanno portato grande giovamento alle cosiddette democrazie occidentali. Anzi, nel mondo si è creato il dominio di una sola potenza, quando prima vi era un equilibrio esercitato dalle due grandi potenze URSS e USA, che impedivano all’una o all’altra di fare ciò che più gli aggradava.
La politica di accerchiamento o di contenimento impose all’URSS una politica interna di ristrettezze per arricchire il proprio armamento per far fronte ad un eventuale attacco esterno da parte dell’imperialismo. Una politica autarchica diretta solo ad uno scopo preciso, in contrapposizione alle necessità dettate dalla ricostruzione del dopoguerra e dello sviluppo. In più questa politica alimentava le rivendicazioni di intere popolazioni, di intere categorie di persone le quali venivano fronteggiate con violenza specie là dove la rivendicazione diventava nazionalista e quindi politica.
Da qui quella che ho chiamato l’implosione, la quale si estese a tutte le nazioni vicine governate dai partiti comunisti.
Si svilupparono controrivoluzioni che in certi luoghi riportarono alla ribalta forze assopite la cui resurrezione ancora oggi non è giovata ad un qualche cosa che portasse vantaggio alle popolazioni medesime. Tanto che in diverse di esse, i comunisti governano, oppure avanzano ad ogni tornata elettorale e in qualche altra la gente dice “è meglio quando si stava peggio!”.
Ed oggi che una sola potenza mondiale detta legge, si dice che ciò sia il peggiore dei mali. Contro questa potenza mondiale è nato un movimento terroristico sostenuto dai popoli arabi già utilizzati dagli americani stessi per circoscrivere o bloccare l’espansionismo sovietico. E’ nato il movimento con a capo Bin Laden che mira allo “annientamento degli Stati Uniti d’America” attraverso azioni terroristiche e di sobillazione al sabotaggio contro coloro che vorrebbero comandare su tutti o impadronirsi con la prepotenza delle risorse primarie per meglio gestirle a proprio piacimento.
Indubbiamente per l’umanità, questa nuova situazione reca incertezze e soprattutto maggiore povertà per i più poveri, mentre vanno arricchendosi i popoli già ricchi, i quali si accodano al carro, per ora vincente, guidato dal grande capitalismo americano.
Questa politica è stata rivolta anche contro la Resistenza italiana riportando alla luce forze che il popolo italiano aveva combattuto e vinto e che era sicuro non ritornassero: invece…..!
Stiamo assistendo ad un rigurgito anche nazista che vorrebbe riproporre in Italia ed in Europa e non solo, una guerra di religione e razzista con conseguente negazionismo della storia recente che contribuisce soltanto ad esacerbare le idee della gente, deviandole dai veri obiettivi, per meglio gestire le modifiche del sistema atte a dominare. Una specie di guerra tra poveri che si azzuffano, per sopravvivere mentre chi fomenta veleggia sulle disgrazie altrui.
Tutti dovremmo porci questo problema ed insieme trovare lo sbocco libero e democratico delle popolazioni.
Capitolo 2
Paolino Orlandini "......... e si scatenò la seconda Guerra Mondiale"

LA STORIA POCO RACCONTATA

Ma a noi interessa la storia poco raccontata o addirittura “oscurata”. Devo dire che parecchi archivi sono ancora vietati ai giornalisti ed agli storici, mentre altri sono stati aperti a Londra, Berlino, Mosca, Washington e persino una parte di quello Vaticano. Però non sono tanti coloro che vi vanno a mettere il naso, anche perché vengono poste barriere burocratiche lunghe e farraginose che non aiutano i ricercatori se non quelli che hanno alle spalle potenti università, agguerriti editori o propri mezzi per cui, quegli archivi, non hanno dato ancora i risultati che si sperava avessero dato. Figuriamoci come potranno essere utilizzati i documenti ancora rinchiusi negli archivi dei singoli Stati in guerra fra loro tra il 1940 e il 1945 e dell’ONU, di cui sono state annunciate le aperture dopo i 70 anni dalla fine della guerra.
E’ chiaro che allora dobbiamo accontentarci di leggere vecchi libri, alcuni dei quali ritrovabili, che narrano della Prima guerra mondiale e il periodo di preparazione della Seconda che ci interessa di più per estrapolare quanto vogliamo conoscere del contributo alla vittoria sul nazi-fascismo da parte dei popoli dell’URSS.
Io ho trovato uno stralcio del “libro bianco” del Ministero degli Affari Esteri della Svezia, edito a Stoccolma nel 1947 da cui emergono notizie sui francesi, sugli inglesi, sui tedeschi del primo dopoguerra, in “vista” della guerra ormai inevitabile in Europa che poi sfocerà nella 2^ guerra mondiale. Leggendolo ho capito tante cose, e quello che ho capito voglio raccontarlo, perché sono certo che pochissime persone le hanno potute leggere per valutare poi gli avvenimenti, senza tentare di addolcire la pillola o giustificare qualcuno. Ciascuno poi trarrà le proprie deduzioni.

Prima di affrontare questo aspetto della storia della preguerra, credo necessiti descrivere per sommi capi la situazione politica europea fra la Prima e la Seconda guerra mondiale. Il materiale l’ho attinto dal libro di Gabriele Ranzato edito da Laterza nel 2006, dal titolo: “Il passato di bronzo. L’eredità della guerra civile nella Spagna democratica”.
Ranzato, parlando oggi degli avvenimenti che dettero vita all’aggressione alle democrazie europee da parte dei paesi dittatoriali e nazi-fascisti, fa un quadro riassuntivo dell’Europa di quei tempi partendo dal 1918, da quando cioè si crea la repubblica dei soviet in Russia, si sopprime l’assemblea costituente e nel 1922 si crea l’URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche). Oltre a questi avvenimenti, in Italia nel 1922 i fascisti marciano su Roma e nel 1926 si forma lo stato totalitario; in Bulgaria, nel 1923 ha luogo un putsch militare; in Spagna nel 1923 si da vita alla dittatura di Primo de Rivera; in Turchia, nel 1923 ha inizio l’autoritarismo del gen. Mustafà Kemal il quale, dopo la fine dell’impero ottomano avvenuta nel 1922, condusse una guerra contro la Grecia per rincorporare i territori sottratigli dal trattato di pace, costringendo gli alleati vincitori a ritrattare la nuova pace a Losanna.
In Albania nel giro di pochi anni succede di tutto. Riconosciuta definitivamente la sua indipendenza il 9 novembre 1921 e solo nel 1926 con il trattato di Parigi, i suoi definitivi confini. Nel frattempo si impone nella vita interna del paese l’avventuriero Ahmed Zogu, prima come ministro dell’interno poi come presidente del consiglio dei ministri e alla fine, nel 1924 cacciato dal Paese. Vi rientrò nel 1925 e divenne presidente della repubblica.
Il 10 settembre 1928 firma un decreto che trasforma la repubblica in monarchia e lui diviene re degli albanesi.
In Portogallo, nel 1926 avviene un putsch militare che assume il potere nel paese; lo stesso accade in Polonia, mentre in Lituania viene data vita ad una dittatura.
Nel 1929 in Jugoslavia avviene un colpo di stato monarchico e serbo-slavo; l’anno dopo in Romania il re Carlo II, con l’aiuto di A. Calinesco ministro dell’interno del governo Cristea, attuò una sua dittatura personale che durò fino al settembre 1939 quando venne ucciso dalle Guardie di Ferro per rappresaglia contro l’assassinio del loro capo Codreanu.
In Portogallo nuovamente nel 1932 inizia la dittatura di Antonio de Oliveira Salazar. In Lituania nello stesso anno si conferma definitivamente la dittatura.
In Germania, Hitler trionfa alle elezioni del 14/9/1930 e il 30 gennaio 1933 diviene cancelliere. Nel mese di marzo successivo nuova vittoria elettorale, il partito nazional-socialista conquista 288 seggi su 647. Viene sciolto il partito comunista e annullati i suoi seggi nel Reichstag. Il mese dopo, e precisamente il 7 aprile 1933, viene promulgata la prima legge razziale nazista.
In Austria tra il 1933-34 prende il potere Dollfuss creando una dittatura clerico-fascista; in Estonia nel 1934 si attua la dittatura, così avvenne in Lettonia. In Grecia nel 1936 si attua un colpo di stato e il re, morto il primo ministro Demestris, affida il governo a Metaxs, il quale assume i pieni poteri.
La Spagna si rinnova. I repubblicani vinceranno le elezioni e nel 1936 avviene la rivolta militare guidata dal gen. Francisco Franco e quindi l’inizio della guerra civile. Nel 1938 l’Austria viene annessa definitivamente al Terzo Reich; negli anni 1938-39 la Cecoslovacchia verrà smembrata e in parte annessa al Reich tedesco. Si deve aggiungere che nel 1933 in Ungheria il parlamento dà segni antisemiti, quindi la democrazia viene messa in discussione.

Se questa descritta brevemente è la situazione politica europea, vediamo lo stesso brevemente, salvo parlarne in seguito, la situazione politica dei grandi Paesi ove vigeva la democrazia.
Ranzato dopo aver passato in rassegna gli avvenimenti dopo la guerra civile spagnola, con razionalità si butta sui fatti concreti analizzando la “democrazia”. E si domanda: quale democrazia del passato appare, appunto in assenza di una guerra civile, una democrazia se osservata con gli occhi delle democrazie odierne? Probabilmente nessuna – si risponde da solo – con la parzialissima eccezione, forse, della Repubblica di Weimar della Germania del primo dopoguerra.
Il fatto è che la democrazia – si pone ancora Ranzato – non è un’essenza immutabile che resta tale indipendentemente dalle forme del suo precipitare in storica esistenza, non è un semplice e immodificabile tipo ideale. La democrazia è un processo, provvisto di tortuose anse e non immune, complici le guerre e le crisi economiche o morali, da inversioni di marcia, di tendenze o addirittura di arretramenti.
Nulla è mai veramente conquistato e nulla è mai veramente perduto.
Su questo argomento gli storici non hanno verità assolute e non possono permettersi di condannare il relativismo. Chi potrebbe altrimenti considerare democratico un paese che non fa votare le donne; che non concede i diritti civili alle minoranze etniche o razziali; chi esercita con la forza e la repressione il dominio sulle colonie, dove vivono cittadini senza diritti o con minori diritti? Con il nostro sguardo di oggi e con le nostre non negoziabili esigenze, la Germania del 1914 non è certo democratica. Alla stessa stregua però della Francia repubblicana e rivale in guerra; così come non è democratica l’Italia del 1919-22 (affossata dal fascismo); non è democratica e discriminatrice l’America di Roosevelt (seppure “arsenale della democrazia” e poi restauratrice della libertà europea); non è democratica l’imperiale Inghilterra di Chamberlain (che però resistette poi, a lungo e da sola, con Churchill, al nazismo e al fascismo).
Le democrazie, dunque, in quegli anni, non erano veramente tali, se paragonate ai nostri valori condivisi. Tra l’altro erano tutti quanti paesi colonialisti. Così l’Olanda e il Belgio. Quindi tutte democrazie quanto meno “imperfette”, termine oltremodo ambiguo, perché non crediamo al termine, altrettanto ambiguo, di “democrazia perfetta”.
C’è di più da dire: le democrazie “imperfette” erano pochissime tra le due guerre mondali, nella stessa Europa, il quadro era veramente sconfortante ove dilagarono infatti le dittature e il totalitarismo, come abbiamo visto parlando della situazione politica dei vari paesi europei.
Capitolo 3
Paolino Orlandini "...................e si scatenò la Seconda Guerra Mondiale"

LA GERMANIA DOPO LA PRIMA GUERRA MONDIALE E LE MODIFICHE DEI CONFINI EUROPEI ORIENTALI


Abbiamo appena detto quanto successe in Germania e poiché la fonte dell’aggressione nazista al mondo civile e democratico fu proprio questa nazione, vediamone meglio gli avvenimenti partendo dalla fine della Prima guerra mondiale.
Le fortune dell’impero germanico sono legate alla storia dei re di Prussia. Divenne una grande potenza economica ed industriale che si infranse con la guerra scoppiata nel 1914.
La Germania faceva parte assieme all’Austria dell’alleanza difensiva chiamata “Triplice Alleanza”. Sin dal 20 maggio 1882 ebbe rinnovi fino a quello stipulato il 5 dicembre 1912 con l’aggiunta dell’Italia e con i mutamenti avvenuti nel Sangiaccato di Novi Pazar (1), in Libia e in Albania. Già scossa dagli ultimi avvenimenti dell’ultimo decennio, la Triplice Alleanza poteva considerarsi finita quando, allo scoppio della Prima guerra mondiale, l’Italia, constatato che non ricorreva il casus foederis, proclamava la propria neutralità (1° agosto 1914); ma veniva denunciata, formalmente dall’Italia stessa, solo il 3 maggio 1915 lasciando sussistere l’alleanza fra la Germania e l’Austria-Ungheria.

Alla Triplice Alleanza, appartenne, in forza di accordi particolari, anche la Romania. A fronte della Triplice Alleanza venne costituita la “Triplice Intesa”, formata da Gran Bretagna, Francia e Russia. Il primo accordo denominato Intesa Cordiale venne stipulato fra Gran Bretagna e Francia nel 1904; dopo l’accordo fra Gran Bretagna e Russia del 1907 si dette il nome di Triplice Intesa, che divenne vera e propria alleanza il 5 settembre 1914, un mese dopo lo scoppio della guerra.
In seguito aderirono ad essa il Giappone e l’Italia. Gli Stati Uniti d’America, pur partecipando alla guerra comune, conservarono sempre una posizione riservata. L’Intesa può dirsi terminata con la sopravvenuta pace conseguita attraverso trattati complessivi e particolari fra le potenze vincitrici e quelle soccombenti.
Da quarant’anni le grandi potenze si fronteggiavano nel tentativo di assestare il colpo definitivo al nemico di sempre. Tutti aspettavano che si iniziasse e finalmente iniziò.
Le ragioni, ancora oggi sia trascorso quasi un secolo, gli storici non hanno stabilito il perché. Le ragioni vere.
Tutto iniziò con l’assassinio dell’Arciduca ereditario d’Austria, Francesco Ferdinando a Sarajevo il 28 giugno 1914, ad opera dello studente Principi, serbo di nazionalità austriaca, esponente di una vasta congiura che risultò essere stata organizzata in Serbia.
L’Arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie divennero eredi al trono di Austria-Ungheria dopo che l’arciduca Rodolfo d’Asburgo (figlio dell’Imperatore Francesco Giuseppe) si suicidò il 30 gennaio 1889 assieme all’amante Maria Vatsera, in un padiglione di caccia del castello di Mayerling, nella Bassa Austria.
Il fatto scatenò gli eventi: una dichiarazione di guerra dopo l’altra coinvolse l’Austria-Ungheria, la Serbia, la Russia, la Germania, la Francia, la Gran Bretagna, il Montenegro, il Giappone, gli Stati Uniti e infine anche l’Italia, la quale, già legata ai due imperi centrali da un trattato difensivo come detto in precedenza, ruppe gli indugi neutralistici ed entrò in guerra contro la Germania, l’Austria-Ungheria e la Russia.
La guerra fu lunghissima e terminò nel novembre del 1918 con la vittoria della Triplice Intesa.
La Germania, che con Guglielmo I° re di Prussia era assurta a impero germanico divenendo una grande potenza militare ed economica nonché una grande potenza coloniale, venne sconfitta e dal trattato di Versailles venne solennemente punita.
Cosa previde questo trattato sottoscritto fra le parti in causa il 28 giugno 1919? Intanto si costituiva il patto fondamentale della Società delle Nazioni (2) e per la Germania venne prevista la cessione dell’Alsazia-Lorena alla Francia; Eupen e Malmédy al Belgio; la Posnania e la maggior parte della Prussia occidentale alla Polonia; il territorio di Hultschin alla Cecoslovacchia; i territori di Memel e Danzica (quest’ultima doveva costituirsi in città libera) alle principali potenze alleate e associate. Doveva rinunciare a tutte le colonie che venivano divise fra Inghilterra, Unione Sud-Africana, Australia, Nuova Zelanda, Francia, Giappone e Belgio. In più dovevano essere restituiti altri territori alla Francia, al Portogallo e alla Cina. Inoltre venivano sottoposti a plebiscito l’Alta Slesia, lo Schleswig (quindi perduti dalla Germania) e la parte sud della Prussia orientale; il bacino della Saar (per 15 anni a disposizione della Società delle Nazioni), e tutto il territorio tedesco sulla sinistra del fiume Reno, una striscia di 50 Km. ad est e l’isola di Helgoland dovevano essere smilitarizzate. Infine, la Germania doveva rinunciare a possedere sommergibili ed aerei militari; doveva limitare il suo esercito a 100.000 volontari e la sua Marina Militare limitata a 108.000 tonnellate e si impegnava a pagare le riparazioni di guerra.

L’Austria-Ungheria subì analoga sorte con il trattato di Saint-Germain del 1919. Nel 1916 moriva l’imperatore Francesco Giuseppe I° e gli succedeva il pronipote Carlo (in Austria era conosciuto come Carlo I°, mentre in Ungheria, come Carlo IV).
La guerra segnò lo sfacelo della Duplice Monarchia che, sconfitta dagli italiani a Vittorio Veneto, firmava il 3 novembre 1918 l’armistizio di Villa Giusti.
L’11 novembre l’imperatore dichiarava di abbandonare il potere sovrano in Austria, il 13 anche in Ungheria. Così finiva la monarchia austro-ungherese. Un impero che dominava 12 milioni di tedeschi, 10 di ungheresi, 8 e mezzo di cechi e slovacchi, 5 di polacchi, 1,3 di sloveni, 3,25 di romeni, 800 mila di italiani e diverse altre minori entità si dissolse e sulle rovine della Duplice Monarchia si costituirono tre Stati: Austria tedesca, Cecoslovacchia e Ungheria. Notevoli territori passavano all’Italia, alla Serbia (Jugoslavia), alla Romania e alla Polonia.
Prima l’Austria-Ungheria esercitava il suo dominio che comprendeva: il primo, detto anche Cisleithania, l’Alta e Bassa Austria, il Salisburgo, il Tirolo con il Trentino, il Vorarlberg, la Carinzia, la Stiria, la Carniola, la contea di Gorizia e Gradisca, Trieste, l’Istria, la Dalmazia, la Boemia, la Moravia, la Slesia Austriaca, la Galizia, la Bucovina; il secondo, detto anche Transleithania, l’Ungheria propria detta, compresa la Slovacchia con la Transilvania e il Banato di Temesvar, la Croazia e Slavonia e Fiume.
Il Trattato di Saint-Germain-en-Laye prevedeva anche, l’abolizione del servizio militare obbligatorio limitando l’entità dell’esercito a 30.000 uomini e riduzione degli armamenti ad esigue proporzioni. Infine venne imposto il pagamento delle riparazioni di guerra. Gli Stati Uniti firmarono il trattato ma non lo ratificarono.
La terza potenza della Triplice Alleanza, la Russia, ebbe una sorte diversa a causa di quanto accadde sul fronte interno. Intanto occorre dire che la Russia non faceva parte della Triplice, ma era alleata per cui venne trascinata nella guerra mondiale, ma non subì le sorti dei trattati di Versailles.
Capitolo 4.
Paolino Orlandini "..................... e si scatenò la Seconda Guerra Mondiale"

NASCE IL PRIMO STATO SOCIALISTA

Dallo scoppio della guerra in avanti le cose in Russia non andavano bene da quando lo Zar Nicola II°, dominato dalla Zarina Alessandra e dal monaco Rasputin, non riusciva a condurre la guerra. Insufficienti erano i rifornimenti di viveri e munizioni per l’esercito; sospettata di tedescofilia l’intera cricca dirigente; demoralizzazione diffusa fra l’esercito per il protrarsi della guerra e le sconfitte patite: tutto contribuì alla crisi.
Il crearsi di una formazione progressista alla Duma (Camera dei Deputati) nell’agosto del 1915 e l’uccisione di Rasputin nel dicembre 1916, costituirono i primi tentativi degli elementi liberali per salvare il paese dal baratro cercando di rovesciare la cricca reazionaria al potere. E quando alcuni reggimenti, il 12 marzo 1917, si rivoltarono a Pietrogrado, la coalizione dei partiti progressisti assunse il potere, costituendo un governo sotto la presidenza del principe Lvov. Tre giorni dopo, lo Zar abdica a favore del fratello Michele, il quale rinuncia al trono; il potere resta nelle mani del governo provvisorio, che solo il 15 proclama la repubblica.
Invano il governo, a capo del quale, al principe Lvov (il 21 luglio) era succeduto il socialista Kerenskij, si sforza di contenere l’avanzata austro-ungarica e tedesca e la dissoluzione interna; i soldati disertano (è la Caporetto russa), gli elementi estremisti (bolscevichi e social rivoluzionari di sinistra), specialmente attraverso i neocostituiti Consigli (Soviet) degli operai, dei soldati e dei contadini, prendono sempre più mano al governo, e le nazionalità diverse della grande Russia mirano a darsi un’organizzazione autonoma.
In queste condizioni scoppia la rivoluzione bolscevica del 7 novembre 1917 che trasforma la repubblica in Repubblica Socialista dei Soviet di Russia con un governo presieduto da Vladimiro Ilic Ulianov (Nicola Lenin). Questo governo non domina da principio che su una parte della Russia, nelle altre zone resistono forze antibolsceviche, mentre le singole nazionalità approfittano per realizzare le loro mire indipendentizie.
Il governo bolscevico firma a Brest Litovsk (3) l’armistizio il 15 dicembre 1917 e il 3 marzo successivo, la pace con la Quadruplice nemica, a condizioni gravissime, che la successiva vittoria dell’Intesa annullerà e trasporta la capitale a Mosca il 14 marzo dello stesso anno.
Il governo bolscevico, va sempre più consolidandosi all’interno, riesce ad avere ragione di tutti gli eserciti antibolscevichi (tra il 1919 e il 1920) e, parte con la forza delle armi, parte suscitando all’interno di essi la rivolta degli elementi simpatizzanti, a ricondurre nel suo seno alcuni di quegli Stati indipendenti che si erano staccati tra il 1918 e 1922. Questa riunione dei piccoli Stati venne operata, prima attraverso trattati fra i singoli governi con quello centrale, poi con la ricostituzione anche formale di un unico Stato, a struttura federale che assunse il nome di Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS o CCCP).
Dal nuovo Stato restano staccate la Polonia, la Lituania, Lettonia, Estonia e Finlandia, di cui l’URSS riconobbe l’indipendenza. Inoltre, venne ceduto alla Turchia un tratto di territorio transcaucasico e la Bessarabia. Questi territori verranno rincorporati in gran parte nel 1939-40, con esclusione dei 7/8 della Finlandia, della Polonia Occidentale e del lembo di Transcaucasia, ma con l’aggiunta della Galizia orientale e della Bucovina settentrionale.
Variazioni avverranno ai confini con la Russia Bianca (uno degli Stati membri dell’URSS) e con la Russia sub carpatica o Rutenia.
Il trattato di Brest Litovsk verrà annullato con l’ingresso di quello di Versailles, meno rigido per i perdenti specie per quelle nazioni che non furono fra le provocatrici del conflitto.

D’altro canto, nel 1932, finiva anche il Piano Dawes (4) contro la Germania in quanto in Europa, la politica delle grandi potenze stava cambiando con l’ingresso nella ribalta storica dello Stato socialista nato dal disfacimento della Russia zarista. Politica doppia, coperta e meno coperta, in una parola: ambigua.
Ambigua, perché mentre le politiche ufficiali promuovevano questioni, quelle condotte da circoli finanziari internazionali puntavano agli business futuri, aggirando le questioni sollevando problemi. E qui diventa più difficile far capire le cose, perché subentra la “paura” del grande mondo economico finanziario: e se la rivoluzione russa si allargasse oltre i confini in cui si è maturata e realizzata, travalicando i confini degli stati “democratici” e capitalistici?
Le teorie di Carlo Marx e di Federico Engels fatte proprie da Vladimiro Ilic Ulianov (Lenin) e il libro scritto dal Primate della Chiesa anglicana di Canterbury “I 10 giorni che sconvolsero il mondo”, fecero aguzzare le orecchie a chi da subito voleva intervenire per bloccare sul nascere i loro effetti, chi, invece, intendeva magari approfittarne per opportune collaborazioni ed affari. Hitler e Mussolini erano ancora nella fase ascensionale per cui qualcuno già pensava a come utilizzarli contro il “nuovo” nemico. Dal punto di vista teorico sarebbe stata improbabile qualsiasi azione vittoriosa, occorreva pensare ad altro. Il piano Dawes non serve più. Allora?
Capitolo 5
Paolino Orlandini "...................e si scatenò la Seconda Guerra Mondiale"

…… E ALLORA OCCORRE GUARDARE LA GERMANIA

Chi non sa che le banche e i trust americani agendo in pieno accordo con il governo tedesco, nel periodo succeduto al Trattato di Versailles, investirono nell’economia tedesca e concessero alla Germania tanti crediti ammontanti a miliardi di dollari e che furono impiegati per la ricostruzione e lo sviluppo del potenziale bellico industriale della Germania stessa?
Se sappiamo questo, capiamo anche che per prepararsi ad una nuova guerra, occorreva assicurarsi nuove armi moderne, per cui la Germania doveva ricostruire e sviluppare la sua industria pesante e innanzitutto l’industria metallurgica e quella bellica della Ruhr, che sotto il Trattato di Versailles non poteva più utilizzare.
Per fare ciò occorreva un intero sistema di provvedimenti destinati alla ricostruzione dell’industria pesante e del potenziale bellico-industriale tedesco.
Una funzione enorme in quest’opera lo ebbe il Piano Dawes concernente le riparazioni dalla Germania mediante il quale, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna contavano di porre l’industria tedesca alle dipendenze dei monopoli americani e britannici.
Questo Piano spianò la strada all’afflusso di capitale straniero, soprattutto americano, per cui già dal 1925 cominciò l’ascesa economica e finanziaria dell’economia tedesca. Al tempo stesso aumentarono le esportazioni,le quali nel 1927 raggiunsero i valori del 1913, e per ciò che riguarda i manufatti aumentarono del 13% ai prezzi del 1913.
Nei sei anni trascorsi tra il 1924 e il 1929 l’afflusso di capitale straniero in Germania, è stato da 10 a 15 miliardi di marchi di investimenti a lunga scadenza e di 6 miliardi di investimenti a breve scadenza. Il capitale finanziario americano in questi investimenti ebbe una compartecipazione del 70%. I maggiori impegni nel finanziamento dell’industria pesante, facevano capo alle famiglie Dupont, Morgan, Rockefeller, Lamont ed altri magnati della finanza statunitense.
I monopoli americani più importanti legati strettamente ai consorzi militari e alle banche furono: il consorzio chimico americano “Dupont de Nemours”; il trust automobilistico “General Motors” e il trust chimico imperiale britannico “Imperial Chemical Industries” in stretta collaborazione con il consorzio chimico tedesco “I.G. Farbenindustrie”, con il quale nel 1926 avevano concluso un accordo per la ripartizione dei mercati mondiali per lo smercio delle materie esplosive.
Presidente della direzione della ditta “Rohm and Haas” a Filadelfia, negli Stati Uniti, prima della guerra, era socio e capo di questa industria a Darmstadt (Germania). L’ex direttore di questo consorzio, Rudolf Muller, operò nella “Bizonia” ed ha avuto una funzione di prim’ordine nei circoli dirigenti dell’unione cristiano-democratica. Nel periodo fra il 1931 e il 1939, il capitalista tedesco Schmitz, presidente del consorzio “I.G. Farbenindustrie” e membro del consiglio di amministrazione della “Deutsche Bank”, controllava la ditta americana “General Dyestuffs Corporation”.
Dopo la Conferenza di Monaco del 1938, il trust americano “Standards Oil” concluse un contratto con la “I.G. Farbenindustrie”, con il quale quest’ultima, partecipava agli utili ricavati dalla benzina per aerei prodotta negli Stati Uniti e, in compenso, rinunciava alla esportazione dalla Germania della sua benzina sintetica, le cui riserve venivano allora accumulate dalla Germania a scopi militari.
Non soltanto i monopoli capitalistici americani avevano rapporti economici con la “nuova Germania”, ma esistevano rapporti non solo commerciali, ma anche militari, fino alla vigilia della guerra, tra la federazione dell’industria britannica e il gruppo industriale tedesco del Reich. I rappresentanti di questi due monopoli hanno pubblicato nel 1939 a Düsseldorf una dichiarazione comune, nella quale, fra l’altro, si diceva che lo scopo dell’accordo era “il desiderio di garantire la collaborazione più completa possibile dei sistemi industriali dei loro Paesi”.
E ciò avvenne nei giorni in cui la Germania Hitleriana inghiottiva la Cecoslovacchia! Non c’è da meravigliarsi se a questo proposito la rivista londinese “Economist” scrisse: “Non v’è forse, nell’atmosfera di Düsseldorf qualche cosa che fa perdere la ragione agli uomini sensati? (Corwin D. Edwards, “Economic and Political Aspects of Internationale Cartels” – 1947).
Un esempio caratteristico del legame fra capitali americani, inglesi e tedeschi, viene data dalla nota Banca “Schröder” nella quale aveva una funzione dirigente il trust tedesco dell’acciaio “Vereinigte Stahlwerke A.G.” organizzato da Stinnes Thyssen, ed altri magnati dell’industria della Ruhr con centri a New York e a Londra. Negli affari di questa banca esercitava una funzione dirigente Allen Dulles, direttore a New York degli Schröder di Londra, di Colonia e di Amburgo, della ditta “J.H. Schröder Banting Corporation”. Nel centro di questa banca a New York aveva una parte importante lo studio forense degli avvocati “Sullivan and Cromwell” diretta John Foster Dulles, (5) strettamente legato al trust petrolifero mondiale dei Rockefeller, lo “Standard Oil Company”, come della più potente banca d’America “Chase National Bank”, che hanno investito enormi capitali nell’industria tedesca del primo dopoguerra.
Nel libro di Richard Sasuly, “I. G. Farben, Boni and Gaer, NewYork, 1947”, si sottolinea il fatto che non appena al periodo successivo al Trattato di Versailles, in Germania l’inflazione fu arrestata e consolidato il marco, con i prestiti che tra il 1924 e 1930, inondarono la Germania. Il debito estero della nazione era aumentato di oltre 30 miliardi di marchi.
Contemporaneamente alla banca anglo-tedesco-americana Schröder, nel finanziamento del trust tedesco dell’acciaio “Vereinigte” ebbe in quegli anni la funzione principale una delle più grandi banche di New York, la “Dillon Read and Company”, fra i cui direttori per diversi anni figurava James Vincent Forrestal, ministro della guerra degli Stati Uniti fino al 1947. (6)
Questa pioggia d’oro di dollari americani, fecondò l’industria pesante della Germania hitleriana ed in particolare la sua industria bellica. Fu, quindi, la rinascita tedesca la premessa all’aggressione hitleriana. Fu questa situazione economico-finanziaria e politica a produrre enormi quantità di armamenti di prim’ordine, molte migliaia di carri armati, di aeroplani, di pezzi di artiglieria e di navi da guerra modernissime, e altri tipi di armamenti.
Un altro fattore decisivo che contribuì a scatenare la rivalsa tedesca e l’aggressione hitleriana, fu la politica dei circoli dirigenti della Gran Bretagna e della Francia, nota come politica di “pacificazione” della Germania hitleriana, politica di rinuncia alla sicurezza collettiva. Fu questa rinuncia alla sicurezza collettiva che permise l’aggressione tedesca, l’aggressione di Hitler. (7)
All’aggressione, Hitler si era preparato sin dal 1934 da quando incrementò la produzione di armi.
Solo in quell’anno la sua industria di guerra aveva costruito 840 aerei di ogni tipo; nel 1936 ne costruì 2530; nel 1938, 3350 e nel 1939, 4733.
Con estrema rapidità aumentarono anche le forze armate: nel 1936 la Germania aveva 31 divisioni, alla fine del 1938 ne aveva 52 e verso la fine del 1939, ne aveva 103. Gli effettivi dell’esercito dal 1932 al 1939 crebbero da 104.218 a 3.734.104.
Il 22 agosto 1939, una settimana prima dello scoppio della 2^ guerra mondiale, Adolfo Hitler nel corso di una riunione a Berghof, pronunciò uno dei suoi discorsi programmatici, nel quale, tra l’altro dichiarò: “La Polonia verrà spopolata e vi saranno insediati i tedeschi (…) Alla Russia, signori, accadrà altrettanto (…) Sconfiggeremo l’Unione Sovietica. Allora, verrà l’epoca del dominio mondiale tedesco”.
(….) “I tedeschi sono una razza superiore e hanno il diritto di dominare il mondo!” – affermerà in un discorso successivo.
Capitolo 6
Paolino Orlandini "...................... e si scatenò la Seconda Guerra Mondiale"

I FATTI E LA DIFESA COLLETTIVA

Dopo la presa del potere nazional-socialista (nazista) in Germania e il potere fascista in Italia, i governi francese ed inglese, nel 1933 scesero a trattative con i nuovi venuti in Europa e stipularono il “Patto di intesa e collaborazione”, che sottoscrissero a Roma fra le quattro potenze: Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia.
Questo patto significava l’accordo fra i governi “democratici” di Francia e Gran Bretagna e i governi dittatoriali di Germania e Italia, i quali sin da allora, non nascondevano le loro mire aggressive. Al tempo stesso questo patto con gli Stati fascisti significava la rinuncia alla politica di consolidamento del fronte unico delle potenze amanti della pace contro quelle considerate aggressive. Tutto ciò avvenne nel momento in cui alla Società delle nazioni si stava discutendo la proposta del governo dell’URSS per concludere un patto di non aggressione ed un patto per la definizione della parte attaccante. Pertanto, questo patto, inferse un colpo alla causa della pace e alla sicurezza dei popoli.
Era questa la strada per lasciare sola l’URSS, per isolarla dal contesto delle altre nazioni europee? Cominciamo a porci la domanda!

Andiamo avanti! E’ nel 1934 che Francia e Gran Bretagna aiutarono Hitler ad approfittare della posizione ostile del governo polacco di allora, nei confronti dell’URSS. Ricordiamo che queste due potenze erano alleate, assieme alla Romania, con la Polonia di Pilsudski. (8)
Da questa situazione derivò la conclusione del patto di non aggressione fra Germania e Polonia. Patto necessario ad Hitler per sconcertare le file dei sostenitori della sicurezza collettiva e dimostrare con questo esempio, che l’Europa aveva bisogno di patti bilaterali e non collettivi per cui Hitler si sentì ringalluzzito per la prima breccia che aveva creato nell’edificio della sicurezza collettiva.
Fu a questo punto che Hitler prese varie iniziative per la ricostituzione aperta delle forze armate germaniche, cosa che non suscitò nessuna opposizione da parte dei governanti inglesi e francesi. Al contrario, nel 1935, a Londra giunse Von Ribbentrop (9) per trattare e concludere un accordo navale anglo-tedesco con il quale la Gran Bretagna acconsentiva alla ricostituzione delle forze militari navali tedesche portandole quasi al livello della flotta militare francese. Inoltre, ad Hitler, venne concesso il diritto di costruire sommergibili per una stazza complessiva pari al 45% della flotta subacquea britannica. Risalgono allo stesso periodo anche le azioni unilaterali della Germania, dirette a liquidare qualsiasi altra limitazione allo sviluppo delle forze armate tedesche, stabilite dal Trattato di Versailles, azioni che non hanno incontrato nessuna opposizione, da parte di Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti d’America.

Gli appetiti dei governi fascisti aumentavano sempre più. Non è casuale che in quel periodo la Germania e l’Italia compissero impunemente i loro interventi militari in Abissinia e in Spagna. (10) Soltanto l’URSS perseguì in modo fermo e conseguente la sua politica di pace difendendo i principi dell’uguaglianza dei diritti e dell’indipendenza dell’Abissinia, che per di più era membro della Società delle Nazioni, nonché il diritto del legittimo governo repubblicano spagnolo all’appoggio dei paesi democratici contro l’intervento diretto tedesco ed italiano.
La Società delle Nazioni si limitò all’applicazione di sanzioni economiche all’Italia.
Fu il 10 gennaio 1936 che il ministro degli esteri dell’URSS, Molotov (11) al Comitato Centrale esecutivo dell’URSS, nel suo intervento previde il futuro politico dell’Europa: “La guerra italo-abissina dimostra che la minaccia della guerra mondiale aumenta sempre più, e si estende sempre più all’Europa”.
Il discorso di Molotov fu chiaro, anche perché era conseguente alla politica di disarmo dell’URSS che il proprio rappresentante alla Società delle Nazioni M.M. Litvinov, propose, senza esito, sin dal 6 febbraio 1933. Proposta che voleva anche definire con precisione, “aggressore”, allo scopo di prevenire qualsiasi pretesto per la sua giustificazione. Soprattutto, la proposta, aspirava a consolidare una sicurezza collettiva fra le nazioni. Ma il Segretario Generale della Società della Nazione, Avenol, ben sostenuto dai rappresentanti delle grandi potenze, seppellì la proposta negli archivi senza dargli alcun corso nonostante le sollecitazioni dello stesso Litvinov.
“Il motivo principale – dirà J.V. Stalin (12) nel suo rapporto al 18° congresso del Partito Comunista (bolscevico) dell’URSS nel marzo 1939, spiegando le ragioni per cui l’aggressione hitleriana andava intensificandosi – sta nella rinuncia da parte della maggioranza dei paesi non aggressori, e innanzitutto dell’Inghilterra e della Francia, alla politica della difesa collettiva, alla politica della resistenza collettiva agli aggressori, sta nel passaggio di questi Stati dalla posizione di non intervento, alla posizione della “neutralità”.
Il rifiuto delle potenze occidentali di concludere il patto di sicurezza collettiva non fu casuale. In questo periodo si svolgeva la lotta fra due linee della politica internazionale: la linea della lotta per la pace, per la sicurezza collettiva condotta dall’Unione Sovietica, e quella della rinuncia all’organizzazione della sicurezza collettiva, la rinuncia ad opporsi all’aggressione. Tutto ciò incoraggiò i governi fascisti ad intensificare la loro attività aggressiva e contribuì a scatenare una nuova guerra.
Di fronte a questa situazione si può affermare che l’aggressione hitleriana fu possibile in primo luogo, perché i grandi gruppi finanziari americani aiutarono i tedeschi a riarmarsi e perché, i circoli dirigenti anglo-francesi rinunciarono alla difesa collettiva. Diversamente sarebbero andate le cose se quei fatti non fossero accaduti durante tutto il periodo prebellico.
Seguendo questa linea del nostro discorso, vediamo come avvenne l’isolamento dell’URSS e come si svolsero altri fatti che portarono alla Seconda guerra mondiale.
Capitolo 7
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VERSO L’ISOLAMENTO DELL’URSS

Un reparto speciale composto da diplomatici, storici e giornalisti, venne formato per una missione segreta (non più tanto segreta) da svolgersi a Berlino appena gli alleati vi avrebbero messo piede. Protetto da un forte commando intervenne non appena fu possibile entrare nei labirinti delle cancellerie diplomatiche tedesche. Fecero una abbondante raccolta di documenti redatti dai funzionari diplomatici hitleriani.
Contemporaneamente un gruppo ben addestrato di funzionari sovietici avevano messo le mani sui documenti della cancelleria di stato tedesca. Sicuramente non ci fu alcun rapporto fra i due gruppi e probabilmente ciascuno ignorava l’esistenza dell’altro. Perché? Per come si svolsero i fatti successivi, sembra che le cose andessero in questo modo, salvo a ricomporsi in “colpi” di mano pacifici nella pubblicazione di una parte di questi documenti.
Vediamo come andarono le cose.
Alla fine di gennaio del 1947 il Dipartimento di Stato degli USA, in collaborazione con i Ministeri degli Affari Esteri britannico e francese, pubblicò una raccolta di documenti tratti dai diari dei funzionari hitleriani chiamandola “Rapporti nazisto-sovietici 1939-1941”. Questa iniziativa venne presa dai governi delle tre grandi potenze i quali nell’estate 1946 si erano accordati per pubblicare i materiali presi in Germania riguardanti il periodo 1918 – 1945. Se così si accordarono, perché vennero pubblicati soltanto quelli riguardanti il periodo 1939-1941? Ardua domanda.
Si è detto e scritto che avvenne così, perché “i russi avrebbero respinto la proposta dell’Occidente di pubblicare in comune un resoconto completo sulla diplomazia nazista”.
Questa dichiarazione dei circoli anglo-franco-americani non corrisponde alla realtà, perchè il governo sovietico venuto a conoscenza che alle notizie apparse sin dall’estate 1945 sulla stampa estera, secondo le quali in Gran Bretagna erano cominciati i preparativi per la pubblicazione dei materiali tedeschi considerati “documenti trofei”, si rivolse al governo della Gran Bretagna insistendo affinchè esperti sovietici partecipassero all’elaborazione dei materiali stessi. L’URSS riteneva inammissibile la pubblicazione di tali documenti senza un accordo comune e un controllo minuzioso e disattivo, affinchè la loro pubblicazione non avrebbe potuto che peggiorare i rapporti tra gli stati membri della coalizione anti-hitleriana. Il Ministero degli Affari Esteri respinse la proposta.
Il 6 settembre 1945 la delegazione americana nel Direttorio Politico del Consiglio di Controllo in Germania, presentò un progetto di direttive sulla modalità per la pubblicazione della documentazione.
La proposta della delegazione venne posta in discussione nel direttorio e proprio su proposta degli anglo-americani la richiesta venne rinviata con il pretesto che mancavano le direttive generali, per cui il delegato americano propose una riedizione del progetto presentato e la questione venne tolta dall’ordine del giorno del Direttorio stesso.
Quindi non ci fu alcun rifiuto del governo dell’URSS alla pubblicazione in comune dei documenti. Ma un atto ben calcolato per mettere, ancora una volta, in cattiva luce la nuova potenza emergente. A riprova, persino l’agenzia governativa francese, “France Presse”, è costretta a riconoscere che le modalità per la pubblicazione dei materiali, resi pubblici dai tre governi all’insaputa dell’Unione Sovietica, “non corrisponde in tutto alla procedura diplomatica normale”.
Di fronte a questa circostanza il governo sovietico si sentì in diritto di pubblicare quei documenti “segreti” sulle relazioni tra la Germania hitleriana e i governi di Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti d’America caduti nelle mani dei sovietici, e che i governi suddetti avevano nascosti all’opinione pubblica mondiale. Da considerare, inoltre, che i sovietici erano venuti in possesso di tanta documentazione essendo stati i loro soldati ad entrare per primi nel palazzo della Cancelleria di Berlino.
E’ da questi documenti che anche noi abbiamo iniziato il nostro lavoro di ricerca storica. Continuiamolo.
Leggendo questa notevole documentazione si evidenzia che l’essenza della politica anglo-francese consisteva – come abbiamo già detto – nell’evitare di raggruppare le forze degli Stati amanti della pace per la lotta comune contro il potenziale aggressore, ma nell’isolare l’URSS e dirigere l’aggressione hitleriana verso Oriente, contro l’Unione Sovietica, servendosi di Hitler come strumento per i loro scopi soprattutto anticomunisti.

Prima di proseguire il nostro intervento dobbiamo ricordare che i circoli dirigenti anglo-francesi, con le loro concessioni a favore degli Stati fascisti – i quali nel 1936 formarono il blocco militare politico noto con la denominazione” Asse Berlino-Roma” - (13) non hanno fatto altro che incoraggiare e spingere la Germania sulla via della conquista.
I governanti anglo-francesi conoscevano perfettamente l’orientamento principale della politica estera di Hitler che era stata definita da Hitler stesso nel suo “Mein Kampf” (14) – stampato a Monaco nel 1936, alla pagina 742 scriveva: “… Noi, nazionale-socialisti”, facciamo punto scientemente con l’orientamento della nostra politica estera del periodo pre bellico. Noi cominciamo da dove ci siamo fermati sei secoli addietro. Tratteniamo le eterne aspirazioni germaniche verso il sud e l’ovest dell’Europa e rivolgiamo il nostro sguardo alle terre dell’oriente. Noi rompiamo finalmente con la politica coloniale e commerciale del periodo prebellico e passiamo alla politica territoriale del futuro. Ma quando ora in Europa parliamo di nuove terre, noi possiamo pensare in primo luogo soltanto alla Russia e agli stati limitrofi che si trovano sotto il suo dominio. Si direbbe che la sorte stessa ci addita la strada”.
E qui giungiamo a Monaco, al suo Trattato (15) la cui responsabilità ricade tutta sui governi anglo-francese. Pubblicando quei documenti storici tedeschi dal 1939 – 1941 e non quelli degli anni precedenti a quel periodo, fa ritenere che il governo americano si sia assunto l’iniziativa della pubblicazione dei documenti escludendo di proposito l’accordo di Monaco. Ciò dimostra che il governo degli USA si è assunto l’onere di discolpare i protagonisti dell’accordo stesso e, quindi, del tradimento perpetrato contro l’URSS, nel tentativo di far ricadere la colpa sull’URSS.
Qui diventa duro far capire il significato essenziale della politica di Monaco, perseguito dai governi francese e britannico.
I documenti degli archivi del Ministero tedesco degli Affari Esteri caduti in mano sovietica, offrono fatti complementari che ci indicano una strada ben precisa: quella di orientare l’aggressione verso est.
Un documento eloquente, è il verbale del colloquio tra Hitler e il ministro inglese Halifax (16), alla presenza del ministro tedesco degli Affari Esteri Von Neurath (17), che ebbe luogo a Obersalrberg il 19 novembre 1937.
“…. Egli (lord Halifax – n.d.a.) ed altri membri del governo inglese erano convinti che il Führer aveva raggiunto molto, non soltanto nella stessa Germania, ma che in seguito alla liquidazione del comunismo nel proprio paese, avrebbe sbarrato al comunismo la via dell’Europa Occidentale e perciò la Germania poteva essere considerata a giusta ragione il bastione dell’Occidente contro il bolscevismo”.
Lord Halifax voleva coinvolgere anche le grandi potenze di Francia e Italia, tanto che dichiarò, sempre allo stesso incontro:
“ …. Non si deve avere l’impressione che “ l’Asse Berlino-Roma” o le buone relazioni tra Londra e Parigi possano soffrire a causa dell’avvicinamento germano-inglese. Non appena, in seguito a questo avvicinamento germano-inglese, sarà preparato il terreno, le quattro grandi potenze dell’Europa occidentale dovranno creare insieme la base sulla quale potrà essere stabilita una pace duratura nell’Europa. Nessuna delle quattro potenze deve in nessun caso restare al di fuori di questa collaborazione, poiché in caso contrario, non sarà posto fine all’attuale situazione instabile.”
A questo punto Hitler chiese che la Germania non venisse considerata “come uno Stato che non portava più il marchio morale o materiale del Trattato di Versaglia”.
Lord Halifax lo rassicurò ricordandogli il comportamento inglese nella evacuazione anticipata della regione renana e il problema delle riparazioni di guerra. Dal colloquio risultò anche chiara l’attitudine inglese favorevole a risolvere i piani hitleriani per quanto riguardava Danzica, l’Austria e la Cecoslovacchia. Tanto che dichiarò: “Tutti gli altri problemi possono essere caratterizzati nel senso che essi riguardano mutamenti dell’ordine europeo che probabilmente avverranno presto o tardi. A questi problemi si riferiscono Danzica, l’Austria e la Cecoslovacchia. L’Inghilterra è interessata soltanto a che questi mutamenti siano operati mediante un’evoluzione pacifica e che possano evitare i metodi possibili di causare ulteriori sconvolgimenti che, né il Führer, né altri paesi vorrebbero”.
Leggendo questi passi del verbale dell’incontro di Obersalrberg, si evince chiaramente la ragione per cui la Gran Bretagna non avrebbe mai dato alcuna garanzia per l’indipendenza dell’Austria contrariamente a quelle date dai Trattati di Versailles e di Saint-Germain, tra l’Austria e le potenze dell’Intesa.
E Chamberlain (primo ministro inglese) (18) al tempo stesso, dichiarava che non poteva fare nulla per salvare l’Austria. Alla pag. 8 del “Times”, del 23 febbraio 1938, si legge una parte del suo discorso alla Società delle Nazioni. “Noi non dobbiamo tentare di ingannare noi stessi, e tanto meno dobbiamo trarre in inganno le nazioni piccole, deboli, infondendo loro la speranza che potranno essere difese dalla Società delle Nazioni contro l’aggressione e che sarà possibile agire in conformità, poiché sappiamo che nulla di simile potrà essere intrapreso”.
La politica inglese per placare Hitler attraverso accordi bilaterali fra Stati e non attraverso accordi per una difesa collettiva con dentro l’URSS, falliva agli occhi degli europei, ma raggiungeva lo scopo principale, quello cioè di isolare l’URSS al proprio destino. E …. l’Austria venne invasa dagli eserciti hitleriani il 12 marzo 1938 e proclamata provincia del “Reich”, senza incontrare nessuna opposizione da parte di Francia e Gran Bretagna.
Solo l’URSS elevò la sua voce ammonitrice rivolgendosi alle nazioni libere con un nuovo appello per organizzare una difesa collettiva. Già il 17 marzo 1938 inviò alle potenze una nota nella quale si dichiarava pronta ad esaminare, all’interno della Società delle Nazioni o fuori di essa, misure pratiche aventi “lo scopo di arginare l’ulteriore sviluppo dell’aggressione ed eliminare il pericolo sempre maggiore di un nuovo massacro mondiale” (Izvestia, 18/3/1938).
Con la nota del 24 marzo 1938 il Ministero britannico degli Affari Esteri rispondeva: “…. delle azioni concordate contro l’aggressione, non eserciterebbe immancabilmente, secondo il governo di Sua Maestà, un’influenza favorevole sulle prospettive della pace europea”.

Arriviamo così alla sorte della Cecoslovacchia e qui c’è un evidente “appoggio” diretto della Gran Bretagna e della Francia ad Hitler. Non sembra vero, ma fu così. E ciò è chiaro dal rapporto politico, 10 luglio 1938, complemento al rapporto A.N. 2589 del 10 luglio c.a. – Archivi del ministero tedesco degli Affari Esteri, dell’ambasciatore tedesco a Londra, Dirksen, che già lo stesso giorno, il 10 luglio, informava Berlino che per il governo inglese “…. i tentativi di compromesso, con la Germania erano diventati uno dei punti sostanziali del suo programma”, e che “detto governo dà prova nei confronti della Germania di una comprensione massima, quale potrebbe manifestare una qualsiasi combinazione possibile di uomini politici inglesi”.
Dirksen scrisse che il governo inglese “si era avvicinato alla comprensione dei punti più essenziali delle principali esigenze della Germania, per ciò che riguardava l’esclusione dell’Unione Sovietica dal partecipare alle soluzioni delle sorti dell’Europa, l’esclusione, nello stesso tempo, della Società delle Nazioni, l’opportunità di trattative e accordi bilaterali”. Concludeva il suo complemento al rapporto, informando Berlino che il governo inglese era pronto a fare grandi sacrifici per “soddisfare altre giuste esigenze della Germania”.
Quali erano le altre giuste esigenze germaniche? Evidentemente la regione dei Sudeti, abitata prevalentemente da tedeschi.
A nulla valse la risposta del governo cecoslovacco a quelli anglo-francesi. Da una corrispondenza dalla Cecoslovacchia datata a Londra settembre 1938, catalogata cmd 5847, pagg. 8 e 9, è scritto che i protettori anglo-francesi dell’aggressione hitleriana tentarono di coprire il tradimento con la promessa di una garanzia internazionale delle nuove frontiere dello Stato Cecoslovacco come “contributo alla causa di pacificazione dell’Europa”.
Il governo cecoslovacco rispose alle proposte anglo-francesi, il 20 settembre che “l’accettazione delle proposte in genere equivarrebbero alla volontaria e completa mutilazione dello Stato sotto ogni rapporto”, e avvertiva che “l’equilibrio delle forze dell’Europa centrale e nell’Europa in generale, sarebbe spezzato e ciò avrebbe avuto delle gravi conseguenze per tutti gli altri Stati e soprattutto per la Francia” (…) e per “tutta la causa della pace e del sano sviluppo dell’Europa”.
Non ci fu nulla da fare, per convincere i sottoscrittori del Trattato di Monaco: la sorte della Cecoslovacchia era stata decisa senza alcuna sua partecipazione.
E Stalin denunciò in quegli stessi giorni che “si sono cedute ai tedeschi le regioni della Cecoslovacchia come compenso per l’impegno assunto di iniziare la guerra contro l’Unione Sovietica” (dal resoconto stenografico del XVIII Congresso del Partito Comunista (bolscevico) dell’URSS, Edizioni di Stato, 1939, pag. 14).
Chiarissimi sono stati gli storici americani M. Sayers e A. Kahn, nel loro libro edito a Boston nel 1946 “The Great Conspiracy. The Secret War Against Soviet Russia” (La guerra segreta contro la Russia Sovietica) alle pagg. 324 – 325.
“ I governi della Germania nazista, dell’Italia fascista, dell’Inghilterra e della Francia hanno firmato l’accordo di Monaco, si è avverato il sogno della “Santa Alleanza” antisovietica, che la reazione mondiale cullava fin dal 1918. L’accordo ha lasciato la Russia senza alleati. Il patto franco-sovietico, pietra angolare della sicurezza collettiva in Europa, è stato sepolto. I Sudeti della Cecoslovacchia sono diventati parte della Germania nazista. Davanti alle orde hitleriane si sono spalancate le porte verso oriente”.
L’isolamento dell’URSS era compiuto. Ma i governi di Francia e di Gran Bretagna, ne erano soddisfatti? Almeno qualche anno dopo, hanno fatto autocritica? E se Hitler non si fosse rivolto verso oriente, come sarebbero finite tutte le nazioni europee? Ce lo possiamo porre questo dilemma? O tutto deve essere lasciato così come è stato creato dalla storia e dagli storici orientati tutti (o quasi) da una sola parte?
Capitolo 8
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VERSO IL PATTO SOVIETICO-TEDESCO

Con l’occupazione di tutta la Cecoslovacchia, la Germania hitleriana si preparava alla guerra, mentre i governi delle potenze occidentali europee iniziarono con l’URSS il “balletto” delle proposte e controproposte che portarono l’URSS a trattare con la Germania nel tentativo di allontanare i confini “diretti” con la Germania medesima.
Tutto iniziò nella primavera del 1939 e proseguì oltre agosto e fu chiaro sin dall’inizio che gli anglo-francesi non erano soli, alle loro spalle c’erano i circoli dirigenti statunitensi.
Le manovre politiche dovevano essere delle risposte all’opinione pubblica che non capiva, perché male orientata o non orientata affatto, non distinguendo più chi menava il can per l’aia, mentre aveva capito gli aggressori.
L’ambasciatore tedesco a Londra, Dirksen nel suo rapporto al Ministero degli Esteri tedesco del 3 agosto 1939, così scriveva:
“Qui predomina l’impressione che i legami stretti in questi ultimi mesi con altri Stati fossero soltanto un mezzo di riserva per raggiungere una vera riconciliazione con la Germania e che questi legami sarebbero caduti non appena fosse stato ottenuto l’unico scopo importante e degno di sforzi: l’accordo con la Germania”.
Questa espressione era condivisa da tutti i diplomatici tedeschi. E Dirksen in un altro rapporto del settembre 1939, scriveva; “Mediante armamenti e procurandosi degli alleati l’Inghilterra vuole rafforzarsi e mettersi al livello dell’Asse, ma al tempo stesso, vuol tentare, per mezzo di trattative, di giungere ad un accordo amichevole con la Germania”.
Per Dirksen era chiaro il disegno politico: dirigere l’aggressione fascista verso Oriente.
La trattativa tra Inghilterra e Francia da una parte e l’URSS dall’altra, iniziò nel mese di marzo e proseguì per quattro mesi. Si trattava di trattenere la Germania dallo scatenare la guerra in Europa e di cercare chi doveva opporsi in prima persona.
I circoli dirigenti anglo-francesi appoggiati da quelli americani, abituati a cavare le castagne dal fuoco con le mani degli altri, miravano al tentativo di imporre ai sovietici impegni, in virtù dei quali l’URSS avrebbe dovuto assumersi tutto il gravame dei sacrifici per respingere l’aggressione germanica, affinchè a fine guerra l’URSS stessa doveva apparire più debole e più facile da sottomettere ai nuovi eventi.
Questo piano fu sventato dall’Unione Sovietica, che in tutte le tappe della trattativa, contrappose alle proposte, proprie proposte sempre più chiare e franche destinate a servire il solo scopo a lei congeniale: la difesa collettiva della pace in Europa.
Le condizioni poste erano irrinunciabili, ed erano un patto effettivo di mutua assistenza contro l’aggressione fra Inghilterra, Francia e URSS; garanzia da parte delle tre potenze verso gli altri Stati europei, senza eccezione alcuna, confinanti con l’URSS; conclusione di un accordo militare fra le tre potenze sulle forme e le proporzioni di aiuto immediato ed effettivo da prestarsi l’un l’altra, nonché agli Stati garantiti, in caso di attacco da parte degli aggressori. Queste proposte si evincono dal rapporto del ministro Molotov alla III^ Sessione del Soviet Supremo dell’URSS, del 31 maggio 1939.
Nel medesimo rapporto Molotov dichiarava; “Gli inglesi e i francesi garantendo se stessi contro un attacco diretto da parte degli aggressori, mediante patti di mutua assistenza fra di loro e con la Polonia e assicurandosi l’aiuto dell’URSS, in caso di attacco degli aggressori alla Polonia e alla Romania, hanno lasciato aperto il problema se l’Unione Sovietica a sua volta potrà contare sul loro aiuto in caso di attacco diretto contro di essa da parte degli aggressori; nello stesso tempo hanno lasciato aperto un altro problema e cioè se gli inglesi e i francesi potranno partecipare e garantire i piccoli Stati confinanti con l’URSS (Estonia, Lettonia e Lituania, n.d.a.) che coprono le sue frontiere nord-occidentali qualora quest’ultimi non abbiano la forza di difendere la loro neutralità contro l’attacco degli aggressori. In questo modo è venuta a crearsi per l’URSS una situazione di ineguaglianza”.
Gli alleati occidentali cominciarono a mostrarsi d’accordo, a parole, con questo principio della mutua assistenza a condizione di reciprocità, ma lo fecero con riserva che resero questo accordo fittizio. Nelle loro controproposte, gli anglo-francesi prevedevano l’aiuto dell’URSS a quei paesi ai quali essi avevano promesso garanzie, ma non fecero nessun accenno a un aiuto da parte loro ai paesi, situati lungo la frontiera nord-occidentale dell’URSS, ossia gli Stati Baltici.
C’è anche da considerare che l’ambasciatore britannico a Mosca, Seeds, il 18 marzo 1939, avuto sentore di una aggressione hitleriana alla Romania, si recò dal Ministro degli esteri sovietico per informarsi di come avesse reagito l’URSS di fronte a questo fatto. Il Ministro rivolse la medesima domanda all’ambasciatore Seeds, e questi eluse la risposta facendo osservare che geograficamente la Romania era più vicina all’URSS che la Gran Bretagna.
I primi passi erano chiari. La diplomazia inglese cercava di legare l’Unione Sovietica con impegni determinati, restando essi stessi in disparte.
A questo punto l’URSS propose di convocare una conferenza degli Stati più interessati: Gran Bretagna, Francia, Romania, Polonia, Turchia e Unione Sovietica. Il governo britannico rispose che la proposta “era prematura” e nello stesso tempo il 21 marzo 1939, propose a quello sovietico di firmare – anche con la Francia e la Polonia – una dichiarazione nella quale i governi firmatari si impegnavano a “consultarsi sui passi da intraprendere per opporre una resistenza comune nel caso che fosse minacciata l’indipendenza di un qualunque Stato europeo”.
Ma il 1° aprile 1939 l’ambasciatore inglese a Mosca, informava che la Gran Bretagna riteneva il problema della dichiarazione comune non più all’ordine del giorno.
Dopo circa due settimane l’intermediario britannico a Mosca avanzò una nuova proposta per conto del Ministro degli esteri Halifax: il governo sovietico doveva fare una dichiarazione secondo la quale, “in caso di un atto di aggressione contro un qualsiasi paese europeo, vicino dell’Unione Sovietica, paese il quale opponesse resistenza, si sarebbe potuto contare sull’aiuto del Governo Sovietico, se questo aiuto fosse desiderato”.
La proposta voleva dire che se la Germania si fosse rivolta contro la Lettonia, la Lituania, l’Estonia o la Finlandia, l’Unione Sovietica doveva, anche in questo caso, impegnarsi contro l’aggressore.
Difatti l’Inghilterra non si assumeva alcun incarico, come per la Polonia e la Romania, mentre gli Stati Baltici, non assumevano alcun impegno nei confronti dell’URSS.
Il governo sovietico non voleva lasciarsi sfuggire alcuna occasione, così avanzò una controproposta consistente in tre punti:

che l’URSS, la Gran Bretagna e la Francia si impegnassero reciprocamente di prestarsi l’un l’altra un aiuto immediato di ogni genere, compreso l’aiuto militare, nel caso di aggressione contro uno di questi Stati;
che i medesimi Stati si impegnassero di prestare un aiuto di ogni genere, ivi compreso l’aiuto militare, agli Stati dell’Europa orientale situati tra il Baltico e il Mar Nero e confinanti con l’Unione Sovietica nel caso di aggressione contro questi Stati;
che i medesimi Stati si impegnassero a fissare in breve tempo le proporzioni e le forme dell’aiuto militare da prestare a ognuno di questi Stati in ambedue i casi sopra citati.

Per tre settimane tutto tacque ed in Inghilterra montava una certa inquietudine, per cui il governo inglese fu costretto ad escogitare un’altra manovra.
L’8 maggio giunse a Mosca la risposta, o meglio dire, più precisamente le controproposte inglesi. Si proponeva nuovamente all’URSS di sottoscrivere una dichiarazione unilaterale con la quale “si impegnasse in caso che la Gran Bretagna e la Francia venissero coinvolte in operazioni militari in seguito agli impegni assunti (di fronte al Belgio, alla Polonia, alla Romania, alla Grecia e alla Turchia) di prestare immediato aiuto se questo fosse desiderabile; il genere e le condizioni nelle quali sarebbe stato prestato questo aiuto avrebbero dovuto essere oggetto di accordo”.
Iniziarono le trattative. L’11 maggio si arenarono perché l’ambasciatore polacco a Mosca, Grzybowski dichiarò che “la Polonia non riteneva possibile concludere un patto di mutua assistenza con l’URSS”.
Si sospettò che la dichiarazione polacca fosse stata fatta con l’approvazione dei circoli dirigenti inglesi e francesi, tanto che nell’estate del 1939 Lloyd George pubblicò sul giornale francese “Le soir” un articolo violento contro le lungaggini nelle quali si arenavano le trattative dell’Inghilterra e della Francia con l’Unione Sovietica. Lloyd George rilevò che a questa domanda si poteva dare una sola risposta: “Neville Chamberlain, Halifax e John Simon non vogliono nessun accordo con la Russia”.
In Germania tutto ciò veniva attentamente valutato.
Alla fine di maggio l’Inghilterra e la Francia presentarono nuove proposte.
Tale contegno finì per essere ritenuto intollerabile da parte di V.M. Molotov, il quale il 27 maggio si vide costretto a dichiarare all’ambasciatore inglese Seeds e all’incaricato di affari francese Payart, che il progetto di accordo, da essi presentato, sulla resistenza comune all’aggressione in Europa non conteneva il piano di organizzazione di un aiuto reciproco effettivo tra le tre potenze e non dimostrava neppure che i governi inglesi e francese fossero seriamente interessati ad un patto conforme con l’Unione Sovietica.
Le trattative si trascinavano all’infinito, l’inammissibile ritardo se lo lasciò sfuggire il “Times” londinese che scrisse: “Un’alleanza rapida e risoluta con la Russia può ostacolare altre trattative … (dal libro di Sayers e Kahn “La guerra segreta contro la Russia sovietica, Mosca 1947, pag. 371).
Il giornale inglese parlando di altre trattative si riferiva a quelle in corso tra Robert Hudson, ministro inglese del commercio d’oltremare, con Helmut Wohltat, consigliere economico di Hitler, circa la possibilità di un prestito inglese alla Germania hitleriana per una somma considerevole.
Inoltre, era noto, che nel giorno in cui l’esercito tedesco entrava a Praga, - secondo quanto scriveva la stampa inglese – una delegazione della federazione dell’industria inglese, conduceva a Düsseldorf delle trattative per la conclusione di un accordo con la grande industria tedesca.
Anche per le trattative per un accordo militare con l’URSS non tardarono a dimostrare che non si aveva alcuna intenzione di portarle a compimento, basti ricordare le proposte sulla consistenza delle disponibilità in caso di aggressione, cioè sul contingente di forze armate che i partecipanti alle trattative avrebbero dovuto mettere immediatamente a disposizione in caso di aggressione. Gli inglesi mettevano a disposizione cinque divisioni di fanteria e una divisione meccanizzata.
L’URSS dichiarò di mettere a disposizione 136 divisioni, 5 mila cannoni medi e pesanti, fino a 10 mila tank e tankette e oltre 5 mila aerei militari, inoltre le flotte complete del Mar Baltico e del Mar Nero.
Da ciò si deducono tre cose, anche se soggettive:

Il governo sovietico per tutta la durata delle trattative si era comportato pazientemente per addivenire ad una intesa con l’Inghilterra e la Francia, soprattutto perché si sentiva il più esposto ad una eventuale aggressione, ma lo voleva, non a tutti i costi, ma a parità di diritti.
Il contegno dei governi di Gran Bretagna e di Francia confermarono pienamente che non pensavano neppure lontanamente ad un accordo con quello dell’URSS.
Il calcolo anglo-francese consisteva nel far comprendere ad Hitler che l’Unione Sovietica non aveva alleati, quindi isolata e che era esposta a qualsiasi aggressione senza correre il rischio di incontrare opposizioni dalle maggiori potenze dell’Europa occidentale.

Ciò si desume dal discorso di Halifax tenuto il 29 giugno 1939 all’Istituto reale di relazioni internazionali (leggi a pag. 296 dei “discorsi di Lord Halifax sulla politica internazionale – Oxford – Londra 1940).
Egli disse: In una simile nuova atmosfera noi potremmo discutere il problema coloniale, il problema delle materie prime, delle barriere commerciali, dello “spazio vitale”, della limitazione degli armamenti e tutti gli altri problemi che riguardavano gli europei”.
Se si pensa a come trattava il problema dello “spazio vitale” il giornale conservatore, legato ad Halifax, “Daily Mail”, già nel 1933 proponeva agli hitleriani di strappare all’URSS lo “spazio vitale”, non rimane alcun dubbio sul vero significato della dichiarazione di Halifax. Era questa, una proposta aperta di intendersi sulla spartizione del mondo e delle sfere d’influenza, rivolta alla Germania per risolvere tutti i problemi senza l’Unione Sovietica.
E proprio nel mese di giugno del 1939, i rappresentanti dell’Inghilterra cominciarono nello stretto riserbo la trattativa con gli hitleriani attraverso Wohltat incaricato di Hitler per il piano quadriennale, giunto appositamente a Londra.
Con questo incaricato, si intrattennero il ministro inglese del commercio di oltremare Hudson e il consigliere di fiducia di Chamberlain, G. Wilson.
Nel mese di luglio, Wohltat si recò di nuovo a Londra. Hudson e G. Wilson proposero a Wohltat e all’ambasciatore tedesco Dirksen di intavolare trattative segrete per la conclusione di un vasto accordo sull’eliminazione della concorrenza disastrosa sui mercati comuni mondiali.
Nel rapporto al ministero tedesco degli affari esteri in data 21 luglio 1939, Dirksen scriveva che il programma discusso tra Wohltat e Wilson comprendeva problemi politici, militari ed economici, un rilievo particolare veniva dato alla “limitazione degli spazi vitali tra le grandi potenze, soprattutto tra l’Inghilterra e la Germania”.
Intanto veniva a maturazione il problema di Danzica e del “corridoio polacco”. Un eventuale accordo anglo-francese-tedesco lasciava ai tedeschi la facoltà di risolverli direttamente con la Polonia lasciandola sola al proprio destino. Scriveva Dirksen nel suo rapporto: “in questo caso la Polonia resterebbe – come dire – da sola faccia a faccia con la Germania”.
Se ne deduce, che i governanti inglesi erano pronti ad abbandonare la Polonia all’arbitrio di Hitler, quando – scriverà qualcuno – non era ancora asciugato l’inchiostro con il quale erano state firmate le garanzie inglesi alla Polonia. Contemporaneamente si era definitivamente operato l’isolamento dell’Unione Sovietica, la quale fu costretta a fare la propria scelta e a concludere con la Germania il patto di non aggressione nel tentativo di garantirgli il prolungamento della pace per un certo periodo utile per migliorare la preparazione delle proprie forze armate capaci di respingere l’eventuale aggressione.
Come nel 1918 in seguito alla politica delle potenze occidentali, l’Unione Sovietica fu costretta a concludere con la Germania di allora la pace di Brest-Litovsh, nel 1939, circa 20 anni dopo, fu costretta a concludere il patto con i tedeschi, sempre a causa della politica, anche ostile, delle potenze occidentali europee. Ma si dirà il contrario. Si dirà e si scriverà che era nell’intenzione dell’URSS accordarsi con gli hitleriani.
Quel patto invece fu l’ultimo ad essere sottoscritto tra la Germania e le altre nazioni non aggressive. E fu quello che obbligò i tedeschi ad aggredire l’oriente europeo non partendo dalla linea Narva-Minsk-Kiev, ma da una linea che passava a centinaia di chilometri più ad ovest.
Ma accadrà di peggio, perché i fatti precedenti la Seconda guerra mondiale, non sono finiti.