1866 QUATTRO BATTAGLIE PER IL VENETO

1866 QUATTRO BATTAGLIE PER IL VENETO
Il volume e acquistabile presso tutte le librerie, oppure si può chiedere alla Casa Editrice (ordini@nuovacultura.it) o all'Istituto del nastro Azzurro (segreteriagenerale@istitutonastroazzurro.org)

1866 Il Combattimento di Londrone

ORDINE MILITARE D'ITALIA

ORDINE MILITARE D'ITALIA
CAVALIERE DI GRAN CROCE

Collana Storia in Laboratorio

Il piano editoriale per il 1917 è pubblicato con post in data 12 novembre 2016

Per i volumi pubblicati accedere al catalogo della Società Editrice Nuova Cultura con il seguente percorso:
www.nuovacultura.it/catalogo/collanescientifiche/storiainlaboratorio

.La collana Storia in Laboratorio 31 dicembre 2014

.La collana Storia in Laboratorio 31 dicembre 2014
Collana Storia in Laboratorio . Scorrendo il blog si trovano le indicazioni riportate sulla quarta di copertina di ogni volume. Ulteriori informazioni e notizie possono essere chieste a: ricerca23@libero.it

Testo Progetto Storia In Laboratorio

Il testo completo del Progetto Storia in Laboratorio è riportato su questo blog alla data del 10 gennaio 2009.

Si può utilizzare anche la funzione "cerca" digitando Progetto Storia in Laboratorio.

Traduzione

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

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La Collana Storia in Laboratorio al 31 dicembre 2011

La Collana Storia in Laboratorio al 31 dicembre 2011
Direttore della Collana: Massimo Coltrinari. (massimo.coltrinari@libero.it)
I testi di "Storia in Laboratorio"
sono riportati
sul sito www.nuovacultura.it
all'indirizzo entra/pubblica con noi/collane scientifiche/collanastoriainlaboratorio/pagine 1 e 2

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martedì 25 dicembre 2018

Stato della Collana ad oggi


Collana Storia in Laboratorio
COLLANA
I LIBRI DEL NASTRO AZZURRO
I Libri del Nastro Azzurro

N. 1,  n. 3,MASSIMO COLTRINARI, LAURA COLTRINARI
La ricostruzione e lo studio di un avvenimento storico militare,
Roma, Società Editrice Nuova Cultura, 2016

N. 2,  n.29  MASSIMO COLTRINARI, GIANCARLO RAMACCIA
Comprendere la Grande Guerra
Dal primo al secondo anno di guerra. 1915-1916
Atti del Convegno in occasione della Giornata del Decorato
Salò  23- 24 aprile 2016
Roma, Società Editrice Nuova Cultura, 2016

N. 3, N.2 MASSIMO COLTRINARI
L’8 settembre in Albania
La crisi armistiziale tra impotenza, errori ed eroismo. 8 settembre - 7 ottobre 1943, 2017
Roma, Società Editrice Nuova Cultura, 2017

N. 4, N.5 MASSIMO COLTRINARI, PAOLO COLOMBO
La Divisione “Perugia”
Dalla tragedia all’oblio. Albania 8 settembre – 3 ottobre 1943
Roma, Società Editrice Nuova Cultura, 2017

N. 5, N. 14 MASSIMO COLTRINARI
I prigionieri italiani nella Seconda Guerra Mondiale in Unione Sovietica
La guerra Italiana all’URSS 1941-1943. Le operazioni. Vol. I,
Roma, Società Editrice Nuova Cultura, 2018


N.6,  N. 7 PIERIVO FACCHINI
La Campagna di Tunisia. 1942-1943.*
 Roma, Società Editrice Nuova Cultura, 2018

N.7, N. 29 MASSIMO COLTRINARI
Quattro Battaglie per il Veneto. 1866.
 La III Guerra di Indipendenza ed il Valore Militare.
Roma, Società Editrice Nuova Cultura, 2018

N.8, ALESSIO BIASIOLO, MASSIMO COLTRINARI
Il Diverso, tra passato e futuro
La giudeofobia ed altro nella nostra società
80° anniversario delle Leggi Raziali (1938 – 2018)*
Roma, Società Editrice Nuova Cultura, 2019

N.9, GIOVANNI CECINI
Ebrei non più italiani e fascisti
Decorati, discriminati, perseguitati
Roma, Società Editrice Nuova Cultura, 2019

N.10, GIOVANNI CECINI
Le leggi razziali e il Valore Militare
Antologia di testi e documenti
Roma, Società Editrice Nuova Cultura, 2019

N. 11 LUIGI MARSIBILIO  MASSIMO COLTRINARI
Anzio. La testa di ponte
22 gennaio – 25 maggio 1944
Roma, Società Editrice Nuova Cultura, 2019

N. 12 LUIGI MARSIBILIO  MASSIMO COLTRINARI
I soldati italiani sulla testa di ponte di Anzio*
22 gennaio – 25 maggio 1944
Roma, Società Editrice Nuova Cultura, 2019

N. 13 LUIGI MARSIBILIO  MASSIMO COLTRINARI
Lo sbarco di Anzio. La Memoria*
Roma, Società Editrice Nuova Cultura, 2019

lunedì 24 dicembre 2018

Anzio. La testa di Ponte

Si riporta la conclusione del volume
di Luigi Marsibilio e Massimo Coltrinari
Anzio. la testa di ponte. 22 gennaio 25 maggio 1944
di prossima pubblicazione
nella Collana I Libri del Nastro Azzurro 



 Si è voluto presentare al lettore questo testo di indubbia autenticità e genuinità, scritto all’indomani degli avvenimenti per dare un contributo semplice e lineare alla conoscenza degli avvenimenti e dei fatti realmente accaduti. Nel corso degli anni, e ne sono passati oltre settanta, si sono susseguite a partire dagli anni novanta del secolo scorso interpretazioni e versioni più o meno di parte, più o meno interessate, che hanno alterato il quadro autentico degli avvenimenti, così come oggi li si ricorda e li si interpreta.
Questo, poi, in un contesto di disinteresse ed oblio, in parte comprensibile in quanto sono avvenimenti questi dello sbarco di Anzio che vedono eserciti stranieri (anglosassoni, statunitensi, e loro alleati da una parte, e tedeschi e loro alleati dall’altra) combattere sul suolo italiano e dove gli italiani in quanto tali sono solo ai margini di tali avvenimenti , appena tollerati da entrambi i contendenti.

Un volume che vuole essere propedeutico a quello che seguirà ove si descriveranno le gesta dei soldati italiani, dall’incerto status giuridico, che operarono sulla testa di ponte di Anzio.
Si descriverà, poi, quanto è stato fatto e si continua a fare per preservare la memoria ed i significati di questi avvenimenti, avendo come base e punti di riferimento questo volume.

sabato 22 dicembre 2018

Progetto Le Leggi Razziali ed il Valore Militare


PROGETTO:
" Le Leggi razziali e il Valore Militare"

Foto di Copertina del volume, 
di
GIOVANNI CECINI
Ebrei,
non più italiani e fascisti
decorati, discriminati, perseguitati


Nota
In occasione dell’80° anniversario della promulgazione delle Leggi raziali del 1938 si è avviato nell’ambito del Centro Studi sul Valore Militare – CESVAM dell’Istituto del Nastro Azzurro fra Combattenti decorati al Valor Militare un progetto, approvato ed in parte finanziato dal Ministero della Difesa, volto ad approfondire il tema della esclusione del diverso nella nostra società, mettendo in rilievo come cittadini onesti, leali, valorosi dediti alla patria fossero dalla sera alla mattina cancellati come tali. Il tema del progetto è “ Le leggi raziali e il Valore militare” in cui nell’analizzare i molteplici aspetti della tematica si vuole anche illustrare la partecipazione ebraica alla storia patria nazionale. L’articolazione del progetto vede la pubblicazione di tre volumi, di cui questo è il primo a cui seguiranno un secondo monografico dedicato alla figure di militari ebrei, combattenti e decorati, ed un terzo di documentazione d’archivio a prova delle tesi sostenute. I tre volumi entreranno a far parte della componente didattica del Master di 1° Livello “Storia Militare Contemporanea. 1796 – 1960” proposto e gestito dal CESVAM presso la Università Niccolò Cusano Telematica Roma per l’anno accademico 2018-2019 – I edizione ed edizioni successive e di quella del Corso di aggiornamento per insegnanti dal tema “La pace ed i conflitti del mondo dal 1960 ai giorni nostri” sempre attivato e gestito dal CESVAM. Gli autori dei volumi sono docenti sia del Master che del Corso di aggiornamento.  

Informazioni
centrostudicesvam@istitutodnastroazzurro.org 



mercoledì 19 dicembre 2018

Ricerche. Analisi e commenti a due opere sul valore militare italiano in epoca napoleonica




Il Pieri scrive nella sua "Storia militare del Risorgimento. Guerre ed Insurrezioni, Roma, Ministero della Difsa, Commissione Italiana di Storia MIlitare, , 2010, una interessante pagina sul valore italiano e quindi una rivendicazione generale del valore Militare italiano con un andare a rivedere le imprese degli italiani nelle guerre napoleoniche. 

Nel cosidetto decessio delle sconforto 1820-1830 alcuni ufficiali che parteciparono alle guerre napoleoniche diedro alle stampe due opere che descrivono il valore e le azioni degli Italiani che combatterono sotto Napoleone.

Ne aveva dato l'inizio un maggiore del genio dell'esercito il Regno Italico il milanese Barone Camillo Vacani, passato in verità al servizio austriaco è finito poi generale dell'esercito italiano negli ultimi due anni della sua vita.

Egli nel 1823 aveva pubblicato in tre grossi volumi, con un atlante, La storia delle Campagne e degli assedi degli italiani in Spagna dal 1806 al 1813, lavoro tecnicamente magistrale, in cui il valore oscuro, i sacrifici degli italiani in una guerra da loro non sentita, erano messi in chiara evidenza e con un'ampia documentazione

Da notare che Carlo Bianco l'aveva utilizzata per il suo trattato,

Ma era un'opera spesso fin troppo tecnica è limitata alle guerre della penisola iberica.

Nel 1829 uscivano invece i primi due volumi di un'opera destinata a protrarsi con altri 11 volumi fino al 1838: “Fasti e vicende dei popoli italiani dal 1801 al 1815 o Memorie di un ufficiale per servire alla storia Militare italiana Italia 1829.

Né era autore Cesare de Laugier  di Portoferraio nell'isola d'Elba, dove era nato il 5 ottobre 1789 che nel 1848 comandò la piccola divisione toscana nell'epica battaglia di Curtatone e Montanara; aveva combattuto In Spagna nella divisione Lechi, aveva partecipato nella Guardia Reale dell'esercito italico alla campagna di Russia nel 1812 quindi alla difesa della fronte Giulia nell'autunno del 1813; nel 1815 era entrato nell'esercito di Gioacchino Murat come comandante di un battaglione e si era distinto nella ritirata a Castel di Sangro quando ormai tutto poteva crollare. Dopo 7 anni di vita eroica e la prigionia di guerra in Ungheria era tornato in Toscana, e nel 1809 era stato accettato nell'esercito granducale come capitano dopo che di che aveva preso a raccogliere materiale per un'ampia storia degli italiani nelle guerre napoleoniche fatta con intenti veramente patriottici, sopra un quadro ampio e quel che più importa ponendo in evidenza l'azione di tutti gli italiani su vari fronti di guerra.
Non era un'opera ardente o incitatrice come quella del Bianco ma era pur sempre una bella e generosa rivendicazione del valore italiano, è tale da dover servire in seguito di base per qualsiasi nuovo lavoro su tale argomento.
Nel 1830 ne uscivano il terzo è il quarto volume, con l'indicazione non più d'Italia come luogo di stampa ma di Firenze e così fino al tredicesimo volume. Egli era stato in corrispondenza con molti reduci e nell'insieme è riuscito minuto e obiettivo.

Tanto il lavoro del bianco e quello del Laugier avrebbero dato veramente la spinta sia ad affrontare il problema dell'utilizzazione di tutte le forze vive della  nazione ai fini della Risurrezione italiana sia a rivendicare le prove di valore e di capacità militari forniti in un passato non molto lontano dagli italiani che non perdessero la fiducia in se stessi.”[1]



[1] Pieri P., Storia Militare del Risorgimento. Guerre ed Insurrezioni, cit., pag. 118

giovedì 29 novembre 2018

Master di I Livello Storia Militare Contenporanea 1796 1960


ISTITUTO DEL NASTRO AZZURRO
FRA COMBATTENTI DECORATI AL VALOR MILITARE

COMUNICATO

Il Presidente del Nastro Azzurro, gen. Carlo Maria Magnani, attraverso il  CESVAM – Centro Studi sul Valor Militare, in patnerschip con l'Università degli Studi Nicolò Cusano, telematica Roma, ha proposto ed è stato attivato un Master di I Livello in:

STORIA MILITARE CONTEMPORANEA 1796 – 1960

presso la Facoltà di Scienze Politiche per l'anno Accademico 2018-2019, della durata di 1500 ore e per complessivi 60 CFU.
Tale Master propone ai partecipanti le conoscenze riguardanti un approccio interdisciplinare alla ricostruzione ed intepretazione di un avvenimento militare. Prevede l'erogazione dei seguenti insegnamenti: Storia del Risorgimento, Storia Moderna, Storia Contenporanea, Storiografia, Geografia Generale, Geografia Storica e Militare, Storia delle Dottrine ed Ordinamenti Militari, Logistica ed Armamenti, Scienze Strategiche ed è strutturato nei seguenti moduli. L’articolato dei Moduli è in allegato, insieme al Bando. I Moduli saranno svolti nella modalità e-learning e saranno supportati da apposite sinossi (da scaricare informaticamente) e da test di autovalutazione per la verifica di apprendimento.
I Partecipanti potranno disporre del supporto di Tutor per gli approfondimenti, inoltre durante l'anno, saranno attivati "seminari tematici" resso la sede nazionale dell'Istituto del Nastro Azzurro Piazza Galeno 1 sulla base delle richieste pervenute.
L'Esame finale consiste nella discussione di una "breve tesi" concordata con la Direzione Scietifica del Master e seguita dai  Docenti del Master.

L'Istituto del Nastro Azzurro e la Presidenza Nazionale nel dare comunicazione alle Federazioni di questa attività, annunciata al XXX Congresso Nazionale di Napoli, indirizzata alla formazione e che ulteriormente aumenta il prestigio dell‘Istituto, invita tutti i Presidenti delle Federazioni Provinciali di farsi portavoce nei singoli territori di pertinenza di questa iniziativa, tenendo presente che il Master è rivolto ai giovani, nella fascia di età dai venticinque ai quaranta anni, ovvero a coloro che sono in cerca di una occupazione e vogliono acquisire titoli, e coloro che già nel mondo del lavoro, voglio aiutarsi nella progessione di carriera.
Detto invito è esteso anche alle Associazioni Combattentistiche consorelle, con messaggio analogo, consisderando che i soci di entrambi non sono, per lo più, annoverabili ed inseribili nelle indicazioni di cui sopra; quindi questo comunicato è inteso come il comune sforzo di colloquiare con le nuovi generazioni, in modo costruttivo e fattivo a favore della conoscenza del nostro mondo militare, coì poco conosciuto o male inteso nelle nostre comunità e collettivita.

Informa inoltre che per ogni chiarimento in merito si può contattare il CESVAM (alla e mail: centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org) e, per chi è interessato alla partecipazione, è possibile rivolgersi all‘Universtà degli Studi Nicolò Cusano Segreteria Generale Master via Don Carlo Gnocchi 3 00166 Roma, infomaster@unicusano.it, oppure sul sito della Università Nicolò Cusano www.unicusano.it/master. Inoltre si può utilizzare la email: contatti@unicusano.it oppure il numero verde 800.98.7373 o i telefoni 06 45678350 oppure 06 70307312,
Il Bando del Master è pubblicato presso il sito della Universita degli Studi Nicolò Cusano Telematica Roma (www.universitacusano.it/master). A questo comunicato è annessa la locandina, il bando, l’articolato e la nota delle agevolazioni che l’Istituto del Nastro Azzurro accorda ad eventuali frequentatori nell’utilizzo e impiego del master.






martedì 27 novembre 2018

Perugia. Edizione per il Nastro Azzurro


Il volume  può essere richiesto
alla
Segreteria Nazionale del Nastro Azzurro
segreterianazionale@istitutonastroazzurro.org

lunedì 29 ottobre 2018

Volume: 1866. Quattro battaglie per il Veneto


Di prossima pubblicazione.


Si riporta la Premessa al Volume:

Nel quadro delle attività del Centro Studi sul Valor Militare, dell’Istituto del Nastro Azzurro, non si poteva non dedicare agli avvenimenti del 1866, che nella tradizione risorgimentale sono definiti la III Guerra di Indipendenza, uno studio particolareggiato. Avvenimenti che nel loro complesso rilevano come il giovane Regno d’Italia non fu in grado di cogliere sul campo quelle vittorie che gli entusiasmi popolari, le aspettative politiche, le ingenti somme spese per il settore militare chiedevano come una cosa dovuta, quasi acquisita. Vittorie che non vennero e dovemmo prendere atto di due mancati successi. Si riuscì, opinione pubblica e classe politica in testa, per motivi dovuti alla delusione, alla nevrastenia, alle ancora imperanti divisioni regionali, alla mancanza di capi carismatici, a trasformarli in sconfitte. L’unico punto in cui tutti sono concordi, ieri ed oggi, è quello relativo al Valore Militare, riconosciuto anche dal nemico, del combattente italiano. Come Istituto del Nastro Azzurro fra Combattenti decorati al Valor Militare non si poteva riprendere questi argomenti nella data anniversaria del 150° degli eventi e proporre a soci, amici e studenti un contributo atto a conoscere ed approfondire questa pagina della nostra storia patria nel modo non proprio pedissequo rispetto alla tradizione.
Basato sui criteri di ricerca e studio del Centro Studi sul Valor Militare - CESVAM[1] in questo studio andremo ad affrontare i fatti relativi alle tre principali battaglie svoltesi durante la predetta terza guerra di indipendenza, ma che nel resto d’Europa è più comunemente conosciuta con il nome di guerra austro-prussiana del 1866 o “guerra delle sette settimane”. In particolare, i fatti d’arme che andremo ad analizzare sono la battaglia di Custoza, la battaglia di Sadowa e la battaglia navale di Lissa.  Una brevissima nota sarà dedicata alle operazioni svolte nel Veneto dopo il 24 giugno 1866 dall’Armata del Po, le operazioni svolte dalle forze popolari e volontarie guidate da Giuseppe Garibaldi e Pier Fortunato Calvi, le operazioni dopo Sedowa, e la conclusione della guerra, con una notazione riguardante l’annessione del Veneto all’Italia e le sue ripercussioni sui problemi di difesa del confine orientale del Regno, uno dei fattori data la sua criticità, per cui aderimmo nel 1882 alla Triplice Alleanza.
I  limiti di tempo e di spazio di questo studio sono presto detti. Tutta la guerra si svolge nell’arco di poche settimane e, più precisamente, possiamo dire che tra Prussia e Austria inizia il 17 giugno quando la prima avvia le operazioni contro l’Hannover  e finisce con l’armistizio di Nicolsburg, mentre per quanto riguarda il fronte italiano, il conflitto inizia il 20 giugno e finisce il 12 agosto con la firma dell’armistizio di Cormons. In particolare, dopo un inquadramento generale, ci occuperemo degli specifici avvenimenti, ovvero delle battaglie di:
. Custoza, che si svolge il 24 giugno 1866, anche se l’insieme delle operazioni si sviluppano tra il 23 giugno, con l’attraversamento del Mincio, e la tarda sera del 24, con l’ordine di ritirarsi al di là dello stesso fiume;
. Sadowa, più nota con il nome di battaglia di Koniggratz, evento cruciale dei successi Prussiani si svolge nella giornata del 3 luglio, ove ci concentreremo sulle operazioni della giornata;
. Lissa, nome italiano dell’isola di Vis in Croazia, maggiore battaglia navale del conflitto, che si volge tra il 18 ed il 20 luglio, dopo un cenno all’ uscita della flotta austriaca su Ancona il 27 giugno e un altro alla “crociera del giusto mezzo”.
Brevi tratti di note alle operazioni dell’Armata del Po, alla vittoria di Bezzecca delle forze volontarie, dei Tre Ponti nel Cadore, ed infine le operazioni conclusive della guerra.
I criteri sono stati detti e lo scopo dello studio è articolato ed è  quello di individuare le principali differenze che hanno determinato le sorti delle tre battaglie ed in particolare, quali possano essere gli elementi che hanno portato alla vittoria del Generale Von Moltke a Sadowa e i fattori del mancato successo (percepito come sconfitta) dei comandanti italiani di terra e di mare. Sottolineare che a Custoza e a Lissa non fummo sconfitti, ma non riuscimmo a cogliere quella completa vittoria che tutti si aspettavano e che in breve tutto fu tradotto come se fossimo stati veramente sconfitti sul campo.
Al fine di raggiungere questo articolato obiettivo vogliamo analizzare quali piani d’operazione sono stati preparati, messi in atto e quali siano stati i riferimenti dottrinali presi in considerazione dai differenti comandanti, durante il quale vogliamo sottolineare il valore del combattente italiano sia in generale che attraverso episodi individuali  ricordate dalla concessione delle Medaglie al Valor Militare.


[1]              In pratica la stretta osservanza del Metodo Storico, così come riportato nel primo volume della Collana “Storia in laboratorio – I Libri del Nastro Azzurro”. Cfr. Coltrinari M., Coltrinari L., La ricostruzione di un avvenimento storico militare, Roma, Editrice Nuova Cultura, II Edizione, 2016. In prospettiva questo lavoro, poi, sarà di utilità didattica al Master di I Livello “Storia Militare Contemporanea 1796 – 1960” che l’Istituto del Nastro Azzurro ha promosso presso l’Università “Nicolò Cusano” di Roma.

mercoledì 5 settembre 2018

Volume: Quattro Battaglie per il Veneto, 1866


Di prossima edizione nella Collana
I Libri del Nastro Azzurro
informazioni: centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org


 Giancarlo Ramaccia

Prefazione
Il 20 giugno 1866 fu consegnata all’arciduca Alberto d’Asburgo, comandante supremo delle forze austriache dislocate in Italia, la dichiarazione di guerra del Regno d’Italia, che fissava al giorno 23 del medesimo mese l’inizio delle ostilità. Come al solito entrammo in guerra con tre giorni di ritardo dalla dichiarazione e sei giorni dall’inizio delle ostilità rispetto a quanto precedentemente pattuito con il nostro alleato prussiano. Tale ritardo non poteva che irritare notevolmente e aumentare la diffidenza dei vertici politico-militari di Berlino, che già di loro dubitavano delle buone intenzioni dei vertici del giovane Regno d’Italia.
In ogni caso la dichiarazione di guerra, presentata all’impero austro-ungarico, fu accolta nel paese con grandi manifestazioni di consenso, accese grandi aspettative nella popolazione e produsse una straordinaria eccitazione patriottica, come ben documenta, nel suo diario, Sidney Sonnino, allora giovane ed entusiasta patriota toscano: “Gran giorno per l’Italia! Per la prima volta in tutta la sua storia essa si solleva tutta a rivendicare sola il suo diritto! Mai, mai si è visto un fatto simile. Felici noi che vi assistiamo![1].  Per il Sonnino, come per molti se non per tutti, la nuova guerra sarebbe stata breve e vittoriosa. In nessun caso si valutarono le conseguenze di una possibile sconfitta. Dopo le non brillanti vicende militari degli anni precedenti, come la guerra del 1848/49, il buon senso  avrebbe dovuto suggerire una valutazione “più cauta” da parte dei vertici politico-militari italiani. Invece, l’essere sconfitti risultava impensabile e inaccettabile da tutti gli appartenenti al nostro ceto dirigente, anche perché le conseguenze politiche erano troppo spaventose da sostenere per il giovane e debole Stato unitario. Poi gli Austriaci non combattevano su due fronti? Il nuovo esercito italiano contava ora ben venti divisioni e non più le cinque piccole divisioni del Regno di Sardegna della guerra precedente. La nostra flotta era il doppio di quella austriaca e con un numero  maggiore di corazzate, dodici contro le sette austriache, quindi sulla carta e solo sulla carta il Regno d’Italia aveva tutti i numeri e il diritto di aspettarsi una vittoria. Anche per questo motivo ciò che avvenne nelle settimane successive fu traumatico e profondamente doloroso per tutto il Paese.
Per comprendere al meglio la situazione si deve ampliare il quadro alle vicende politiche degli anni precedenti e agli enormi problemi che il giovane Stato dovette affrontare. Ben cinque furono le questioni principali e tutte intrecciate tra loro, ossia: il brigantaggio in larga parte del Paese; la crisi economica; la morte del Conte di Cavour; la questione romana e la conseguente crisi dei rapporti con la Francia, in particolar modo con l’imperatore Napoleone III; la costruzione del nuovo Esercito unitario. Tralasciamo le questioni minori ma che minori, per il giovane nascente Stato unitario, non furono.
Il 15 febbraio 1861 il Re delle Due Sicilie Francesco II di Borbone, proclama la resa della fortezza di Gaeta dove si era rifugiato dopo le sconfitte subite ad opera dell’armata garibaldina e il successivo intervento sabaudo, imbarcandosi, dopo una lunga trattativa diplomatica, su una nave francese che lo porterà a Roma dove rimarrà in esilio, ospite di Papa Pio IX. Solo dopo il gen. Cialdini potrà occupare la cittadina laziale che ha assediato e bombardato per ben 102 giorni. Successivamente anche le guarnigioni borboniche della cittadella di Messina e quella di Civitella del Tronto (A.P.) si arrenderanno definitivamente, ma nuclei rimasti fedeli a Francesco II continueranno a combattere unendosi a bande di contadini poveri e briganti, dando vita a una lunga guerriglia a cui si darà il nome di “brigantaggio”.
Questa insorgenza sociale era frutto di povertà endemica, di patti agrari esosissimi, di nuovi inasprimenti fiscali, di una nuova ed errata leva obbligatoria che provocò una disperata guerriglia dei contadini contro i proprietari terrieri e il nuovo governo “piemontese” che fu abilmente sfruttata politicamente da chi desiderava restaurare il Regno delle Due Sicilie. La rivolta armata scoppiò nell’aprile del 1861 in Basilicata e si estese a quasi tutto il meridione continentale.
Il nascente Regno d’Italia provò inizialmente a mediare politicamente con i legittimisti borbonici, nel tentativo di contenere il fenomeno, poi diede seguito ad una feroce e indiscriminata repressione. Migliaia di insorti, alzando le bandiere bianche borboniche, occuparono province e paesi, trucidando cittadini comuni, guardie nazionali e scontrandosi con i soldati italiani. La risposta fu durissima da parte dello Stato unitario: fucilazioni indiscriminate e senza alcun processo, interi paesi bombardati e incendiati, deportazioni di massa; tutto ciò accrebbe l’ostilità della popolazione meridionale nei confronti del nuovo Regno, di “quello dei piemontesi”. Se i soldati impiegati nel meridione furono non più di 50.000 nel 1861, solo tre anni dopo se ne impiegarono 120.000, ossia circa il 50% delle forze armate dello Stato. Esse svolsero prevalentemente compiti di ordine pubblico e di polizia, tralasciando l’addestramento e la preparazione militare, per dedicarsi, a tempo pieno, a combattere e reprimere questa vera e propria guerra civile. I dati ufficiali ci dicono che tra il 1861 e il 1865 (un anno prima dell’inizio della terza guerra di indipendenza) furono uccisi in combattimento o fucilati 5.212 “cosiddetti briganti” e altri 5.000  furono arrestati e carcerati, ma i dati ufficiosi parlano e raccontano un’altra verità, ossia di ben 15.000 o 20.000 uomini eliminati. Ciò produsse una lacerazione nel tessuto politico e sociale di cui a tutt’oggi ne riscontriamo le conseguenze. A questo gravissimo problema si aggiunse, per il nuovo Stato – che si era costituito a Torino il 18 marzo 1861 con la proclamazione da parte del primo parlamento italiano del Regno d’Italia – una serie di gravissimi problemi finanziari.
Essi erano il frutto dei costi per l’unificazione nazionale che comprendevano le spese sostenute per le guerre di unificazione con l’aggiunta del consolidamento dei debiti ereditati dai periodi precedenti e dovuti ai sette Stati pre unitari e alle ben nove amministrazioni finanziarie che avevano sistemi monetari diversi, diversi modi di contabilizzare oltre a diversi criteri di imposizione fiscale e di riscossione delle imposte. Sommando tutti questi costi risultò, per il nuovo Stato, un debito pubblico esorbitante, ossia 111.500.000 lire. A questa enormità si dovette far fronte con soluzioni che risultarono non risolutive ed efficaci, anzi aggravarono ulteriormente la già difficile situazione economica.
Allo scoppio della guerra dell’ottantasei questo problema parve addirittura insormontabile, con le entrate effettive dello Stato che coprivano appena i due terzi delle uscite e con una sicura prospettiva di incremento, dovuta alle nuove spese che si dovevano sostenere per la nuova guerra. All’enorme disavanzo si provvedeva con l’emissione di nuovi titoli di debito a copertura dei prestiti esteri, proprio nel momento in cui una crisi economica gravissima si abbatteva sui mercati borsistici europei (Borsa di Londra e Parigi) dovuta in gran parte agli enormi prestiti americani per la guerra di secessione e al pagamento delle grandi quantità di cotone importate dall’India, tra il 1861 e il 1865, per il fermo di produzione del mercato americano. Inoltre il clima di conflitto che si respirava in tutte le cancellerie d’Europa creava la giusta miscela per la caduta delle quotazioni dei titoli nelle principali Borse europee.
Il 6 giugno 1861 il nuovo Regno d’Italia perse il suo principale artefice, dopo una brevissima malattia, muore a Torino, improvvisamente, il presidente del Consiglio dei Ministri Camillo Benso conte di Cavour. Egli era lo stratega, il politico più grande che il nostro Stato unitario abbia mai avuto, perché pur lasciando alla sua morte fedeli sostenitori del progetto di unificazione del Paese, non lasciò un vero e proprio erede, nessuno dei suoi seguaci era in grado di elaborare una strategia per il completamento dell’unione territoriale e costruire un nuovo Stato alla base di una comunità ampliata e solidale. Si dà inizio ai governi “brevi” (ben sei ministeri si succedettero dal 1861 al 1866), a governi che “navigano a vista” con politiche miopi e di breve durata, incapaci di elaborare e perseguire una strategia di lungo periodo.
Cavour, invece, nei mesi precedenti alla malattia, aveva cercato di definire nei confronti della questione romana una netta posizione governativa. In due discorsi alla Camera, sostenne che solo Roma poteva ricoprire il ruolo di capitale d’Italia e che era necessario procedere alla sua liberazione per unire e cementare le diverse popolazioni italiche, ma che ciò doveva avvenire con “l’accordo” della Francia e senza mai intaccare la libertà spirituale e l’indipendenza del sommo pontefice. In cambio della cessione del potere temporale, al pontefice verrebbe corrisposta una cospicua rendita annua. Era questo il modo di recuperare i rapporti diplomatici con la Francia e in particolar modo quelli con l’imperatore Napoleone III, dopo le tensioni dovute all’assedio di Gaeta.
In linea con questa impostazione, il suo successore al governo Bettino Ricasoli redige un progetto di conciliazione che invia rispettivamente alla Cancelleria francese e a quella dello Stato pontificio; ma tale progetto ottiene un netto rifiuto francese ad aprire una qualsiasi trattativa su quella base.
Nel 1862 a seguito di una delle tante riconciliazioni tra Garibaldi e Mazzini e con l’appoggio dell’Associazione Emancipatrice Italiana si progetta una spedizione di volontari a Roma e subito alcuni ufficiali garibaldini cominciano a raccogliere i volontari. Nel mese di giugno Giuseppe Garibaldi si reca come privato cittadino in Sicilia ed è accolto da grandi manifestazioni popolari e affermando la necessità di una spedizione armata per liberare Roma pone la condizione di trovare un accordo con il re Vittorio Emanuele II. A Marsala promuove il giuramento “o  Roma o morte” e subito l’associazione emancipatrice italiana fa sua la parola d’ordine e aderisce al giuramento. Alcune settimane dopo, trasferitosi a Palermo, Garibaldi organizza la legione romana e annuncia di muovere contro lo Stato pontificio al grido di “Italia e Vittorio Emanuele, o Roma o morte”. Una grave crisi si profila all’orizzonte con la Francia, ostile e pronta all’intervento in difesa dello Stato pontificio. Al governo italiano non resta che decretare (20 agosto) lo stato d’assedio nelle province napoletane e inviare truppe regolari dell’esercito, al comando del colonnello Pallavicini di Priola, per bloccare la spedizione. Durante un breve conflitto sull’Aspromonte, nient’altro che una scaramuccia, Garibaldi, che era al comando di 1.300 volontari, viene ferito al piede e si arrende, venendo posto agli arresti. Al diffondersi della notizia, che provoca una grande emozione non solo in Italia e violente manifestazioni antigovernative, il Rattazzi cerca senza riuscirci di forzare i tempi di una soluzione diplomatica e infine il 20 novembre 1862 si rassegna e presenta le sue dimissioni dal ministero. I rapporti con la Francia diventano di nuovo gelidi. Segue un lungo lavorio diplomatico per ricostruire i rapporti che permetteranno di stipulare un trattato di libero scambio (17 gennaio 1863) tra i due paesi e nell’anno successivo di gettare le basi di un accordo sulla questione romana. Gioacchino Pepoli, inviato dal nuovo governo presieduto da Marco Minghetti, avanza l’idea di trasferire la capitale d’Italia da Torino ad un’altra città, come segnale dell’abbandono del progetto di fare Roma capitale d’Italia e in cambio chiede alla Francia di procedere al ritiro graduale delle sue truppe di stanza nello Stato pontificio. L’accordo verrà raggiunto ed a Parigi, nell’agosto del medesimo anno, si procederà alla firma “della convenzione di settembre” (15 settembre 1864), che prevedeva il ritiro delle truppe francesi da Roma nell’arco dei successivi due anni, per dare il tempo al governo papale di costituire un suo esercito. In cambio il Regno d’Italia si impegna a rispettare l’integrità dello Stato pontificio. E’ questo un incredibile gioco delle parti, dove tutto è ambiguo, infatti i francesi interpretano l’accordo come una rinuncia definitiva da parte italiana del progetto di Roma capitale, mentre per noi Italiani è null’altro che il primo passo verso la soluzione delle controversie con la Francia e un avvicinamento a Roma. Solo Pio IX esprime delusione e manifesta nuove paure.
Sul versante internazionale ferve la controversia tra la Prussia e l’Austria sulla sorte dei ducati dell’Holstein, dello Schleswig e del Lauenburg di proprietà personale del re di Danimarca e che le due potenze hanno occupato. Entra nel vivo il conflitto, per molti anni latente tra la Prussia e l’Austria, per il primato e l’egemonia sulla Confederazione degli Stati tedeschi.

Otto von Bismarck, presidente del Consiglio prussiano, che già nel 1862 aveva sondato il ministro italiano a Berlino, De Launay sulla possibilità di una alleanza italo-prussiana, incarica il suo ministro a Firenze Conte Usedom di sondare il capo del governo Alfonso Ferrero La Marmora in relazione a quale atteggiamento avrebbe assunto il suo governo nel caso di una probabile guerra tra la Prussia e l’Austria. La Marmora risponde che non può prendere nessun impegno senza prima conoscere quale atteggiamento sarebbe stato a sua volta preso dalla Francia in merito a tale questione. Per questo motivo incarica il ministro italiano a Parigi, Costantino Nigra, di sondare sulla questione il ministro degli Esteri francese Drouyn de Lhuys, il quale suggerì “prudenza e di attendere gli eventi”. Bismarck, insoddisfatto della risposta italiana e soprattutto dell’atteggiamento ambiguo dell’Imperatore francese Napoleone III decise, provvisoriamente, di stipulare la Convenzione di Gestein con l’Austria, conservando quindi per la Prussia l’amministrazione del ducato dello Schleswig e lasciando all’Austria il ducato dell’Holstein. Successivamente all’incontro di Biarritz, tra Napoleone III e Bismarck, dei primi di ottobre del 1865, Bismarck rassicurato riprese la politica che mirava ad arrivare alla guerra e ad unificare la nazione tedesca con l’esclusione dell’Austria. Probabilmente in questo incontro Napoleone III sperò di ottenere un ingrandimento territoriale della Francia sul Reno e sul Belgio, promettendo di mantenere la neutralità nel conflitto tra Prussia e Austria, mentre Bismarck chiese a sua volta l’intervento dell’Italia nel prossimo conflitto, che mirava a conquistare il Veneto (già promesso da Napoleone III) dal 1859 e poter attaccare su due fronti l’Austria, come era stato progettato nel Consiglio della corona prussiana del 29 maggio 1865. A questo accordo verbale fece seguito da parte di La Marmora  un tentativo di trattativa diretta con l’Austria per ottenere la cessione del Veneto, contando molto sulla minaccia di una  guerra sui due fronti per ammorbidire l’intransigenza austriaca. Nell’ottobre del 1865 incaricò un suo rappresentante personale, il conte reggiano, Alessandro Malaguzzi – Valeri, che aveva autorevoli amici e parenti a Vienna, di intraprendere una trattativa segreta con il conte Belcredi, presidente del Consiglio austriaco, per la cessione del Veneto a fronte di una indennità versata dall’Italia di un miliardo di lire. Pur riscontrando da parte del governo austriaco un interesse favorevole alla proposta, la dura opposizione dell’imperatore Francesco Giuseppe e della sua corte fece fallire la trattativa. Non restava altro che seguire i consigli francesi che invitavano ad orientarsi verso la politica antiaustriaca di Bismarck.

Il 31 dicembre 1865, Alfonso Ferrero La Marmora costituisce il suo secondo ministero, dopo una lunga e difficile crisi di governo nata dalla sfiducia votata dal Parlamento in relazione al decreto legge relativo al servizio di tesoreria statale da affidarsi alla Banca Nazionale. Provvedimento economico che avrebbe aggravato ulteriormente la crisi di debito del Regno d’Italia. Oltre alla presidenza del Consiglio mantenne per sé il ministero degli Esteri e chiamò al ministero della Guerra il generale Ignazio di Pettinengo e ai Lavori pubblici Stefano Jacini che fu il suo più ascoltato consigliere nella fase preparatoria della guerra.
Nel frattempo i rapporti austro-prussiani si fecero sempre più tesi e aumentarono le probabilità della guerra. A seguito della decisione presa dal Consiglio dei Ministri prussiano del 28 febbraio 1866, Bismarck chiese a La Marmora di inviare a Berlino un alto ufficiale per trattare un’alleanza militare. La Marmora scelse di inviare il generale Govone con l’incarico di verificare la preparazione militare prussiana, che nell’occupazione dei ducati non aveva particolarmente brillato per preparazione militare e di restare sul vago sulle questioni diplomatiche. Anche perché il suo invio era stato sollecitato al governo italiano da parte di Napoleone III che mirava ad una alleanza tra Italia e Prussia. Napoleone III in questa complicata partita, dalla quale sperava di acquisire per la Francia ingrandimenti territoriali, con il consenso della Confederazione germanica usava l’Italia come una pedina da muovere a suo piacimento sullo scacchiere politico continentale. Egli voleva che l’Italia ottenesse il Veneto ma senza una guerra o con una guerra non seriamente combattuta in modo tale che il merito fosse suo e della Francia; in questo modo mirava ad esercitare sul giovane Regno d’Italia un semi protettorato. Per lui l’Italia unita doveva diventare una potenza di rango inferiore, strettamente legata agli interessi politico economici francesi. L’8 aprile 1866 a Berlino, l’Italia firma un trattato segreto di alleanza con la Prussia, un trattato a “tempo determinato” valido per soli 3 mesi a partire dalla data della firma apposta per noi dal generale Govone e dal ministro a Berlino conte Barral. Era questa una alleanza “offensiva-difensiva” in cui l’Italia si impegnava a dichiarare guerra all’Austria appena la Prussia avesse iniziato le ostilità; ognuno dei due Stati si impegnò a non concludere armistizio o pace senza il consenso dell’altra, fino a quando l’Austria non avesse accettato di cedere il Veneto e la provincia di Mantova all’Italia e alla Prussia territori equivalenti per popolazione.
Il trattato era squilibrato e a favore della Prussia, non veniva menzionato il Trentino, per un netto rifiuto di Bismark che lo considerava parte integrante dell’Impero Austro-ungarico, anche se verbalmente e in privato, garantiva che avrebbe appoggiato tale richiesta una volta giunti al tavolo della pace e solo se durante la guerra l’Italia fosse riuscita ad impadronirsi del territorio. Il trattato era alquanto umiliante per l’Italia per la sua unilateralità, infatti la Prussia non assumeva nessun impegno nei confronti dell’Italia. Inoltre un madornale errore di valutazione di La Marmora complicò la situazione, egli rifiutò la proposta avanzata dal generale Govone di allegare al trattato una convenzione militare, che avrebbe permesso di conoscere in precedenza i piani prussiani e quindi di coordinare i propri impegni sulla effettiva condotta della guerra. Ciò generò ulteriore diffidenza da parte prussiana sulla reale volontà italiana di condurre la guerra con impegno ed energia. Era impensabile per i nostri governanti una politica diversa perché troppo esposti politicamente e finanziariamente con l’ambigua politica di Bonaparte.
Il 3 maggio 1866 il governo prussiano iniziò la mobilitazione e a seguito di ciò il 5 maggio il governo austriaco fece sapere a Parigi di essere disposto a cedere il Veneto a Napoleone III, affinché tramite lui fosse ceduto all’Italia a patto che l’Italia rompesse l’alleanza con la Prussia e si dichiarasse neutrale. La Marmora, colto di sorpresa dall’offerta austriaca, rifiutò cercando al tempo stesso di guadagnare tempo e proponendo un congresso internazionale con le principali potenze del Continente per definire la controversia tra Italia-Prussia-Austria. Questa proposta sfumò definitivamente alcune settimane dopo quando una nota austriaca (1 giugno) dichiarò di essere pronta a partecipare al congresso a patto che fossero esclusi dalle risoluzioni finali modifiche e ingrandimenti territoriali. Il 12 giugno avveniva la rottura definitiva delle relazioni diplomatiche tra Berlino e Vienna e nello stesso giorno, sempre a Vienna, veniva firmato un accordo tra l’Austria e la Francia, in base alla quale la Francia si impegnava a rimanere neutrale nel conflitto che opponeva l’Austria alla Prussia; Napoleone III si impegnava a sua volta a fare il possibile perché l’Italia restasse neutrale o conducesse la “guerra senza impegno” e l’Austria a sua volta si impegnava a cedere il Veneto a Napoleone III al quale garantiva ulteriori compensi territoriali nel caso di vittoria da parte sua e con modificazioni territoriali in Germania. Infine Napoleone III si impegnava a sua volta a cedere il Veneto all’Italia in cambio di una indennità all’Austria e del riconoscimento da parte italiana del potere temporale dei papi. Il giorno stesso della firma, Napoleone III convocò il ministro italiano a Parigi, Costantino Nigra, e nel colloquio che seguì informò ufficialmente di quanto sottoscritto a Vienna e chiese a Nigra che “l’Italia non facesse guerra con troppo vigore”.

Otto giorni prima della dichiarazione di guerra all’Austria, per noi la guerra era già vinta. A questo punto il 17 giugno (giorno della dichiarazione di guerra della Prussia all’Austria) Alfonso Ferrero La Marmora si dimette da presidente del consiglio restando in ogni caso ministro senza portafoglio e assume il comando dello Stato maggiore raggiungendo il Re al fronte. Al suo posto di Presidente del Consiglio subentra Bettino Ricasoli che ad interim assume anche il ministero degli esteri e quello dell’interno.
Inizia la Terza Guerra d’Indipendenza e dà vita alle sue battaglie che l’autore del testo, l’amico Massimo Coltrinari, ricostruisce con perizia e nel dettaglio, con la perizia e la precisione propria dello storico militare e del militare di carriera, più precisamente dell’ufficiale in servizio di Stato Maggiore fedele ai principi e alla filosofia di chi ideò e progettò tale servizio; ossia uno dei massimi protagonisti di questa guerra il generale Helmuth Karl Bernhard von Molke capo di stato maggiore dell’esercito prussiano nella guerra dell’86.
Ogni guerra ha caratteristiche sue proprie e differisce dalle precedenti, questa ha caratteri suoi peculiari; è la prima del giovane Regno d’Italia; la forza italiana è quadruplicata in confronto a quella del Regno di Sardegna, 20 divisioni contro 5; la Cavalleria, anche se pesante, muove 100 squadroni e solo l’artiglieria è poco numerosa, anche se di maggior calibro il che la rende meno mobile. La deficienza maggiore, per il nostro esercito riguardava il “quadro ufficiali” fortemente eterogeneo (ciò era dovuto all’assorbimento nell’esercito sardo dei quadri di diversa provenienza: borbonica, toscana, dello Stato Pontificio e dell’armata garibaldina) e di diversa preparazione e capacità militare. In modo particolare mancavano comandanti capaci a livello di battaglione e di reggimento. I comandanti di brigata erano personalmente coraggiosi, ma la loro cultura professionale era a dir poco scarsa. Per non parlare della totale assenza di uno Stato Maggiore e di vertici politico militari in concorrenza e in contrasto tra di loro. Ai nostri 258.000 combattenti effettivi (250.000 del Regio esercito più 38.000 volontari garibaldini) su 565.000 uomini mobilitati con 462 cannoni si opponevano 61.000 combattenti austriaci su 190.000 mobilitati e 152 cannoni, con un rapporto a nostro favore di tre a uno, eppure non riuscimmo a vincere sul campo. Non avevamo un piano, dividemmo le nostre forze tra il Mincio (12 divisioni) e il Po (8 divisioni), dividemmo il comando tra La Marmora e il Cialdini ed infine il primo giorno di scontro ci demmo per vinti con ben 15 divisioni integre che non avevano preso parte neanche ad una scaramuccia e con 320.000 uomini di riserva. Alla “figuraccia” del nostro esercito i vertici politico militari cercarono di rimediare sul fronte del mare, dove la nostra flotta, potente “sulla carta e non sul mare”, regalò al Paese un’altra umiliante sconfitta.
 Arrivati a questo punto non ci restò, il 3 settembre 1866, che firmare la pace che conservava l’umiliante clausola della cessione del Veneto all’Italia attraverso la consegna da parte della Francia di Napoleone III. L’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe riconobbe il Regno d’Italia, riconsegnò la “corona ferrea” che gli Austriaci al termine della guerra del 1859 avevano portato a Vienna e noi ci accollammo altri 91 milioni di debito pubblico del Veneto.
Questa nostra prima guerra in Italia fu un’ impresa assolutamente deludente e generò durissime polemiche in tutto il Paese negli anni successivi. I nostri vertici politico – militari a cominciare da Alfonso Ferrero La Marmora e dal Cialdini furono impari al loro compito, non seppero impostare e condurre con efficienza la guerra anche perché il governo italiano preparò diplomaticamente la guerra con la speranza di non farla e con la certezza di aver ottenuto il proprio premio ancora prima di iniziarla.
La brutta figura e la rabbia popolare crescente nel paese imposero di trovare un colpevole e quindi, il 1 dicembre 1866, fu arrestato l’ammiraglio Persano per essere giudicato dal Senato, costituito in Alta Corte di giustizia, sulle sue responsabilità nella battaglia di Lissa, ma molti altri avrebbero dovuto comparire con lui come chiaramente afferma Carlo Cattaneo in una sua lettera inviata il 9 ottobre 1866 al senatore Giuseppe Muzio:  Ormai, nella memoria della nazione e delle nazioni – e nella coscienza del soldato – Custoza e Lissa sono parte d’un reato solo. Nessuno ha ormai forza di sciogliere quel nodo. Il Senato è giudice unico e supremo dei colpevoli: può, se vuole, assolver tutti, ma deve giudicare tutti. Anzi, se v’è reato, il suo punto culminante è già Custoza. Lissa è il tardo e inutile strascico d’una guerra morta. Se potè avere un proposito doloso, è solo in quanto fosse intesa a ostentare, oltre ad un’impotenza militare del Regno, anche una impotenza marittima. Solo la presenza d’un accordo segreto può spiegare un simulacro di guerra di cui non v’ha forse esempio al mondo. Esser liberi d’ogni movimento, anche nelle giurisdizioni federali germaniche del Tirolo e dell’Istria; avere a fronte un nemico già umiliato e vacillante, ricinto, fin entro le sue montagne, le sue fortezze e le sue navi, da tre milioni di popolo fremente; avere in pugno più di 300.000 soldati; portarne al fuoco, per volontà premeditata, nemmeno la quinta parte; e darsi vinti, come per “disastro irreparabile” è una sì strana prova d’arte militare che non è lecito imputarla a nudo errore. Il Senato non può esigere il rendiconto di Lissa senza esigere il rendiconto di Custoza (…). A Lissa non si vede come a Custoza il proposito sofistico di vincere senza vincere, non si vede l’umile accordo con lo straniero imperioso, il vile accordo col burbero nemico, non si vede il traffico dell’onore col guadagno, la guerra finta eppur sanguinosa che pone per sempre nel cuore del soldato non la fiducia della vittoria, ma il ghiaccio del sospetto. E’ per queste arti indegne che l’Italia aveva perduto a memoria nostra l’onore delle armi” [2]Centocinquant’anni dopo queste parole di Cattaneo, che colgono nel segno tutto l’ operato della guerra dell’’86 e che invitano al rinnovamento morale e culturale del Paese per divenire uno Stato moderno, ci appaiono terribilmente attuali nella nostra terra italica, nella terra dei “gattopardi”, dove tutto sembra che cambi, ma dove non cambia mai nulla.


[1] S. Sonnino, Diario 1866-1912, Bari, Laterza, 1972, vol I, pag.43

[2] Cattaneo C., Epistolario,  Pag. 425/426, Vol. IV