1866 QUATTRO BATTAGLIE PER IL VENETO

1866 QUATTRO BATTAGLIE PER IL VENETO
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1866 Il Combattimento di Londrone

ORDINE MILITARE D'ITALIA

ORDINE MILITARE D'ITALIA
CAVALIERE DI GRAN CROCE

Collana Storia in Laboratorio

Il piano editoriale per il 1917 è pubblicato con post in data 12 novembre 2016

Per i volumi pubblicati accedere al catalogo della Società Editrice Nuova Cultura con il seguente percorso:
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.La collana Storia in Laboratorio 31 dicembre 2014

.La collana Storia in Laboratorio 31 dicembre 2014
Collana Storia in Laboratorio . Scorrendo il blog si trovano le indicazioni riportate sulla quarta di copertina di ogni volume. Ulteriori informazioni e notizie possono essere chieste a: ricerca23@libero.it

Testo Progetto Storia In Laboratorio

Il testo completo del Progetto Storia in Laboratorio è riportato su questo blog alla data del 10 gennaio 2009.

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La Collana Storia in Laboratorio al 31 dicembre 2011

La Collana Storia in Laboratorio al 31 dicembre 2011
Direttore della Collana: Massimo Coltrinari. (massimo.coltrinari@libero.it)
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giovedì 27 novembre 2014

LA I GUERRA MONDIALE. LA SPEDIZIONE ITALIANA IN MURMANIA. AGOSTO 1918 – AGOSTO 1919

TESTO DI ORIENTAMENTO E STUDIO PER 
EVENTUALI ULTERIORI RICERCHE SU QUESTO ASPETTO DELLA PRIMA GUERRA  MONDIALE


1. PREMESSA
a. Avvenimenti oggetto di studio
Il presente studio ha per oggetto le operazioni compiute da truppe italiane inserite in un
contingente multinazionale a guida britannica inviato, alla fine della fine della Prima
Guerra Mondiale, nella regione russa della Murmania. L'intervento fu giustificato in
chiave anti-tedesca; nondimeno non si verificò alcun contatto fra truppe alleate e tedesche
e, pertanto, sarebbe scientificamente errato includere la Germania fra le parti coinvolte
negli eventi. Le operazioni militari, invece, furono indirizzate contro lo Stato russo
che, all'epoca, viveva la fase di transizione fra l'impero zarista, ormai collassato, e il
Governo bolscevico, in corso di consolidamento.
b. Limiti di tempo e di spazio
Il contingente italiano operò dal 3 settembre 1918 al 9 agosto 1919 nella Russia nordoccidentale,
comprendente la Penisola di Kola, di cui la Murmania costituisce la costa
settentrionale, e la Carelia orientale.
L’area è caratterizzata da una serie di centri abitati allineati lungo l'asse nord-sud: il porto
di Murmansk, i villaggi di Kola, Engozero, Kandalaksha, Kem, Urosozero, Medveya
Gora, Kapaselga e, infine, la cittadina di Petrozavodsk.
A Nord-ovest di Murmansk si trova un altro porticciolo, Pecenka.
La cittadina di Arcangelo si trova all’esterno dell’area di operazioni così identificata,
verso oriente, ma deve essere citata essendo, all’epoca, il centro abitato più importante
del settentrione russo ed ospitava l’ambasciatore italiano.
2. I BELLIGERANTI
a. La Russia
L’esame delle parti in causa deve prendere le mosse dalla Russia, i cui sommovimenti
interni determinarono le reazioni degli altri Stati europei e, conseguentemente, i fatti in
esame.
Crollato il regime degli Zar a seguito dei moti rivoluzionarî del febbraio 1917, il 24 ottobre
1917 scoppiò una nuova rivoluzione che travolse il Governo provvisorio di Aleksandr
Kerenskij. La situazione degenerò, progressivamente ma rapidamente, in una situazione
di guerra civile fra i rivoluzionarî e i cosiddetti Russi Bianchi, nazionalisti e
monarchici.
Il 9 novembre a Pietrogrado, all’epoca capitale dello Stato russo, il Governo fu assunto
dal “Consiglio delle Sedici Commissioni del Popolo” guidato da Lenin, con Trockij ministro
degli esteri. Prevaleva così, nella direzione dello Stato russo, la corrente politica
socialista dei Bolscevici1
. Gli scontri, nel frattempo, generavano spinte disgregative da
cui derivarono due conseguenze rilevanti: si accentuarono le aspirazioni autonomiste,
tanto che anche l’Ucraina dichiarò la propria indipendenza, e le diserzioni ridussero
l’esercito in uno stato di pratica dissoluzione.
Il 2 dicembre 1917 il Governo bolscevico, persa la capacità di proseguire lo sforzo bellico
e spinto da forti correnti interne pacifiste, firmò un armistizio con la Germania. Nei
mesi successivi il Governo tedesco, conscio delle difficoltà russe, denunciò l’armistizio
e, sotto la minaccia delle armi, impose un trattato di pace, sottoscritto il 3 marzo 1918 a
Brest-Litowsk.
Con il trattato di Brest-Litowsk la Russia, fra l’altro, accettò di riconoscere
l’indipendenza degli Stati orientali su cui la Germania voleva estendere la propria supremazia.
Fra gli Stati su cui la Russia rinunciò ad avanzare pretese c’era la Finlandia,
indipendente dal dicembre del 1917 e lacerata da scontri fra fazioni filo-bolsceviche e
fazioni “Bianche”. Nel maggio 1918, a seguito di un massiccio intervento militare tede-3
sco
2
, la situazione politica finlandese fu risolta con l’insediamento di un Governo
“Bianco”, alleato della Germania.
Trockij era contrario ai termini del trattato di Brest-Litowsk e lo stesso Lenin temeva le
mire espansioniste tedesche; per queste ragioni il regime bolscevico tenne aperte le relazioni
diplomatiche e militari con le nazioni dell’Intesa, cui chiese di collaborare nella ricostituzione
del proprio esercito. Grazie a questi rapporti diplomatici, nel marzo del
1918 il Governo russo accondiscese a primi sbarchi occidentali in Murmania e in Siberia,
pur chiedendo assicurazione che non avessero finalità anti-bolsceviche.
Nell’ottobre del 1918 nell’area nordoccidentale, ove le rimanenze delle truppe schierate
al fronte avevano sempre rifiutato di riconoscere l’autorità militare bolscevica, si insediò
in Arcangelo un “Governo Regionale della Russia del Nordovest” di Russi Bianchi,
sotto la guida di Aleksey Yefimovich Vandam, che proclamò l’indipendenza dell’area
di operazioni oggetto di questo studio. A fine del 1918 il Governo di Arcangelo confluì
formalmente in quello che l’Ammiraglio Aleksandr Kolchak aveva nel frattempo costituito
in Siberia, con pretesa di esercitare la sovranità su tutto l’ex-Impero, sebbene non
sussistesse continuità territoriale delle aree controllate dai due regimi.
b. L'Italia
Nell’agosto del 1918 l’Italia era prostrata da quasi quattro anni di guerra. Sul piano militare,
malgrado 600.000 morti non si erano ottenuti vantaggi e l’ultima offensiva austriaca,
nel mese di giugno sull'Altopiano di Asiago e in Valsugana, era stata respinta
con enormi costi umani. La stampa imputava gli insuccessi alla pretesa incapacità del
Governo, mentre si discuteva se lanciare una nuova offensiva subito (come chiedevano i
politici3
), oppure nella primavera del 1919 (come invece progettavano i vertici militari4
). Fu infine lanciata il 24 ottobre 1918 e raggiunse in pochi giorni Vittorio Veneto e
Feltre, da dove le truppe dilagarono su Trieste e Trento; malgrado la vittoria, tuttavia, il
trattato di pace firmato a Versailles deluse fortemente le aspettative italiane.
La situazione socio-economica era drammatica: le casse statali erano vuote;
un’inflazione pari al 450% in quattro anni aveva fortemente svalutato la lira; scarseggiavano
le materie prime; le industrie faticavano a riconvertirsi e ad assorbire l'abbondante
manodopera rappresentata dai soldati di ritorno dal fronte.
La generale insoddisfazione di tutti i ceti sociali fu causa di disordini; fra i benestanti si
diffuse il timore di una rivoluzione comunista, sull'esempio russo. Anche per questa ragione
l’atteggiamento dell’Italia verso il Governo bolscevico fu ambiguo: il Governo rifiutava
di riconoscerne la legittimità, nella convinzione che sarebbe caduto in breve
tempo, ma nel contempo manteneva in attività una rappresentanza militare a Pietrogrado.
Proprio per il tramite di questa rappresentanza giunse nell’aprile 1918 la richiesta,
da parte di Lenin, di collaborare alla ricostruzione dell’esercito; l’Italia e le altre Nazioni
dell’Intesa accondiscesero all’iniziativa, pur temendo che fosse mirata unicamente a
consolidare il regime, in quanto ritenevano che in essa risiedesse l’unica, residua speranza
di riaprire il fronte russo-tedesco.
Gradualmente, l’incerta linea politica italiana portò il Governo Orlando a schierarsi a
favore dei Russi Bianchi sostenendo, seppur non apertamente, il tentativo di restaurazione
attuato da Kolchak. Il Governo Nitti tuttavia, subentrato a quello Orlando il 23
giugno 1919, capovolse questa posizione e avviò una politica finalizzata al graduale riconoscimento
del regime bolscevico.
c. Il Regno Unito
Il Governo britannico avviò, dopo la caduta degli Zar, una politica che la moderna storiografia
non esita ad attribuire a Churchill ed a qualificare come un tentativo di invasione
del territorio russo. Il Regno Unito, infatti, ipotizzò di portare sotto il proprio protettorato
le aree economicamente o strategicamente più vantaggiose dell’ex Impero,
guidando contingenti militari multinazionali anche in Siberia, Ucraina, Caucaso e Paesi 4
baltici ed appoggiando le aspirazioni restauratrici dei Cosacchi, degli Ucraini e del Governo
Kolchak. Di fronte ai successi conseguiti dall’Armata Rossa contro i secessionisti,
il piano fu ridimensionato nella creazione di un “cordone sanitario” di Stati indipendenti,
che avrebbe dovuto circondare la Russia bolscevica separandola dal resto
d’Europa.
3. LE ORIGINI DEL CONFLITTO
a. Antefatti
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale era avvertita la necessità di una via di comunicazione
per alimentare lo sforzo bellico russo, alternativa alla linea ferroviaria Transiberiana5
. Fra la fine del 1914 e quella del 1917 fu così costruito un ramo ferroviario che,
dal porto di Murmansk, correva verso sud unendo tutte le cittadine oggetto del presente
studio e, infine, confluiva nella Transiberiana6
.
Inoltre, nel retroterra della Murmania furono installati vasti depositi di materiale bellico.
Le scorte di munizioni, in particolare, erano ingenti, in quanto avrebbero dovuto sostenere
un’offensiva programmata per il luglio del 1917 ma non effettuata.
b. Cause reali
Le vicende russe minacciavano gli interessi dell'Intesa sotto un duplice aspetto: militare
nell'immediato, per la scomparsa di un importante alleato; politico sul lungo periodo,
per le prospettive di affermazione del bolscevismo. Entrambi questi rischi potevano essere
parzialmente contrastati assumendo il controllo della Russia nord-occidentale: si
sarebbe così impedito che se ne impossessasse la Germania, già penetrata in Finlandia,
ma soprattutto si sarebbe contribuito a strangolare la Russia, separandola dal mare.
Il controllo della ferrovia murmana rivestiva una valenza strategica assoluta, essendo
Murmansk l'unica via per raggiungere la Russia europea dal mare aperto7
. Inoltre, la ferrovia
consentiva di accedere, per il tramite della Transiberiana, alle immense risorse naturali
della Russia asiatica. Sottrarre alla Russia l'accesso al mare significava strangolarne
il Governo.
L'esigenza di prendere il controllo della ferrovia murmana divenne pressante quando il
Governo bolscevico, in attuazione dei termini del trattato del trattato di Brest-Litowsk,
dichiarò il blocco dei depositi bellici e allontanò da Arcangelo le rappresentanze militari
occidentali, che si trasferirono a Kandalaksha. Contemporaneamente, si verificava la
costituzione, lungo il percorso della Transiberiana, di reparti costituiti da ex prigionieri
germanici e austroungarici, inquadrati da ufficiali tedeschi.
c. Cause apparenti
Nel giugno del 1918 giunse notizia della concentrazione di truppe tedesche nella Carelia
finlandese, stimate in 40.000-50.000 unità e appoggiate da altrettante truppe finlandesi,
che minacciavano da vicino la Murmania. Nei mesi successivi si temette che la Germania
si preparasse a lanciare una manovra di invasione su tre direttrici, indirizzate a
Murmansk, Kandalaksha e Petrozavodsk. Gli Stati dell'Intesa inviarono quindi un corpo
di spedizione multinazionale a Murmansk, con lo scopo dichiarato di proteggere dai Tedeschi
i depositi di materiale bellico.
A fine agosto la Germania, pressata dalle vicende belliche, cominciò il ritiro delle proprie
truppe dalla Finlandia, che fu notevolmente accelerato e sostanzialmente completato
in ottobre; nondimeno, il dispiegamento alleato fu avviato proprio nel mese di agosto
e completato a fine settembre, a riprova del fatto che l’interesse alleato per il controllo
sulla Murmania prescindeva dalla minaccia tedesca8
. 5
4. SITUAZIONE GENERALE MILITARE
a. Il contingente italiano
(1) I Capi
Il contingente italiano fu posto al comando del Tenente Colonnello dei Bersaglieri
Augusto Sifola, comandante del Terzo Gruppo Battaglioni Bersaglieri Ciclisti di
stanza a Cortellazzo sul Piave. Sifola aveva precedentemente comandato, con il
grado di Maggiore, l’Undicesimo Battaglione Bersaglieri Ciclisti, combattendo
nella zona di Monfalcone nel 1916 e ricevendo l’onorificenza di Cavaliere
dell’Ordine Militare d’Italia. Alle sue dipendenze operava il Maggiore Angelo
Raimondi, comandante del IV Battaglione di Fanteria9
. Entrambi ricevettero, al
termine della spedizione in Murmania, onorificenze inglesi (Military Cross, Croce
di S. Stanislao).
Il contingente dipendeva per gli aspetti amministrativi dal Maggior Generale Ugo
Cavallero, capo della Sezione Italiana del Consiglio Supremo di Guerra a Versailles10.
Le operazioni erano tuttavia condotte dal Maggior Generale britannico Lord
Charles Maynard, comandante delle forze di terra aventi base a Murmansk. Questi
a sua volta rispondeva al Maggior Generale Frederick Poole, comandante in capo
dell’intera spedizione multinazionale, ovvero sia le truppe di Murmansk e di Arcangelo
che le unità navali. Nel 1919, su pressioni statunitensi, Poole fu sostituito
dallo stesso Maynard, a sua volta avvicendato dal Maggior Generale Edmund Ironside
in occasione del ritiro delle truppe.
Sul piano politico, l’operazione era diretta dal Governo britannico, il cui capo era
Sir David Lloyd George (1863-1945). Statista di origine gallese, liberale di tendenze
radicali, questi era solito ingerire nelle questioni militari, anche prettamente
tecniche, avendo scarsa fiducia nei vertici delle Forze Armate. Impressionato dalle
perdite sofferte sul fronte occidentale, propose una grande spedizione in Oriente
finalizzata ad aggirare gli Imperi centrali; sebbene non sia stata attuata per
l’opposizione francese a sguarnire il fronte occidentale, la manovra di aggiramento
fu riproposta in Murmania, Siberia e Caucaso ai danni del Governo bolscevico.
Ministro per i rifornimenti militari era invece Winston Churchill, fervente anticomunista
e, come si è detto, sostenitore della strategia di invasione della Russia. Il
suo coinvolgimento è dimostrato anche dal fatto che le prime truppe sbarcate a
Murmansk, nel mese di marzo 1918, furono fornite dalla Royal Navy (Marines e
marinai), il cui coinvolgimento nella Grande Guerra era stato sempre promosso da
Churchill (Primo Lord dell’Ammiragliato sino al 1915).
(2) Le forze
L'Italia, cui gli alleati avevano chiesto di mettere a disposizione 2 Battaglioni di
Fanteria e una batteria di Artiglieria tratti dalle truppe da montagna, inviò invece
il IV Battaglione “Barletta” del 67o
 Reggimento di Fanteria "Palermo"11 su cinque
Compagnie, di cui tre Compagnie fucilieri, la 387a
 Compagnia Mitragliatrici e una
Compagnia di Complementi, un reparto misto del Genio (telegrafisti, telefonisti,
zappatori), un Nucleo di Sussistenza, un ospedale da campo e un Plotone di Carabinieri
Reali, per complessive 1.300 unità circa. Ogni Compagnia, con organico di
guerra, contava circa 200 militari12.
Questo contingente si inquadrava in una spedizione multinazionale comprendente,
sotto comando unificato, truppe di terra (in massima parte Britannici, più Francesi,
Statunitensi, Serbi, Russi Bianchi e volontari slavi), mezzi aerei (una squadriglia
britannica di idrovolanti) e unità navali (due incrociatori britannici e uno statunitense,
una corazzata e due torpediniere russe). Furono allestiti altresì alcuni
treni armati. Complessivamente circa 30.000 unità, di cui 20.000 combattenti13.6
Gli Italiani ricevevano una paga pari appena a 1/3 di quella dei Britannici e 1/4 di
quella dei Francesi, che godevano di una speciale indennità artica.
La truppa, sia italiana che alleata, era composta di coscritti. Questa circostanza
portò a un rapido decadimento del morale, in quanto i soldati, dopo aver saputo
che la Grande Guerra era terminata, si aspettavano di essere congedati. Annota al
riguardo Sifola14: “Tutti sono convinti della inutilità della nostra permanenza in
Russia”.
Il malumore esplose in reiterate manifestazioni di indisciplina, soprattutto nei contingenti
britannico e francese; sembra invece che i soldati italiani si siamo sempre
mantenuti disciplinati, pur talvolta subendo l’arroganza dei commilitoni britannici.
Un unico episodio macchia l’onore delle truppe italiane: nel luglio del 1919,
quando le operazioni erano ormai quasi terminate, la 12a
 Compagnia fucilieri si
sarebbe rifiutata di prendere le armi15. Per quel fatto, tuttavia, il Tribunale di
Guerra del corpo di spedizione condannò esclusivamente due Caporal Maggiori e
due soldati semplici a pene decisamente miti16; questa circostanza fa ritenere che
si sia trattato in effetti di un episodio molto circoscritto e di lieve entità.
(3) Le dottrine operative
Nella Russia settentrionale fu possibile attuare la manovra offensiva, elaborata dal
Comando Supremo nel 1918, alla luce dei successi ottenuti dai Tedeschi sul fronte
della Marna. Infatti il nemico non aveva avuto modo e tempo per stendere i famigerati
reticolati, che avevano congelato l’azione in Europa centrale; inoltre le dottrine
italiana, francese e britannica erano all’epoca sostanzialmente omogenee e
questo fattore ne semplificò l’applicazione in Murmania.
L’offensiva prevedeva uno sviluppo su due fasi, lo “scardinamento” dei punti deboli
avversari e il rapido “dilagamento” all’interno delle linee di difesa, attuati dal
nucleo rispettivamente “di prima linea” e “di seconda linea” di un’apposita “massa
di rottura”. La “battaglia di rottura” doveva essere attuata con superiorità di
uomini e mezzi, impiego di armi automatiche ed appoggio del fuoco di artiglieria,
ma comunque le forze dovevano essere dosate in funzione dell’obiettivo e del terreno.
Se la manovra veniva sviluppata in campo aperto, il “nucleo di prima linea”
doveva essere costituito da forze celeri.
Occorre tuttavia precisare che, secondo quanto lo stesso Sifola riferisce17, in
Murmania, “una regione dove le grandi distanze fra i vari centri, le nessune risorse
locali, la deficienza di strade e la poca praticabilità di quelle esistenti obbligano
ad una continua subordinazione del campo tattico ad esigenze logistiche”.
b. Le forze bolsceviche
(1) I Capi
Nel marzo 1918 Lenin, su richiesta di Trockij, acconsentì alla creazione di un
Consiglio Supremo Militare, composto da generali dell’ex esercito zarista. Inizialmente
ideato come organo consultivo, assunse tuttavia la direzione delle Forze
Armate per l’abolizione, quasi contestuale, della carica di Comandante in Capo.
Al vertice del Consiglio Supremo fu posto il Generale Mikhail Bonč-Bruevič
(1870-1956), che poteva vantare sia una provata fede bolscevica, garantita dal fatto
di essere il fratello del segretario personale di Lenin, sia una solida esperienza
bellica. Già comandante del 167o
 Reggimento Perevolochensky e Capo di Stato
Maggiore del Fronte Settentrionale, aveva comandato lo stesso Fronte dall’aprile
al settembre del 1917, e questo gli garantiva anche una conoscenza dell’area
murmana.
Dei comandanti specificamente impegnati sul fronte murmano, si conosce unicamente
il nome dei tale Dorofev, comandante del 49o
 Reggimento della 6a
 Divisione
di Fanteria. 7
(2) Le forze
Perso il controllo su gran parte delle rimanenti unità dell’esercito zarista, il Governo
bolscevico istituì, il 15 gennaio 1918, l’Armata Rossa, alimentata con nuove
reclute. I nuovi reparti ottennero buoni risultati iniziali contro piccole unità di
quella che, nella guerra civile, prese allora il nome di Armata Bianca, ma per lo
scarso addestramento della truppa non furono in grado di opporre resistenza alle
Divisioni tedesche, quando la Germania denunciò l’armistizio.
Dopo la pace di Brest-Litowsk l’esercito fu riorganizzato su Divisioni di due o tre
Brigate, articolate su due Reggimenti, ciascuno su tre Battaglioni e una Sezione
Mitragliatrici con 10 o 12 armi. Ogni Battaglione comprendeva tre Compagnie e
una Sezione Mitragliatrici, con 6 armi trasportate su carri. Le Compagnie avrebbero
dovuto comprendere 150 / 250 uomini ciascuna, ma gli organici erano spesso
solo teorici: molti Reggimenti avevano una forza di sole 500 unità.
Un numero indeterminato di Divisioni formava un’Armata, al cui vertice erano
posti un Comandante militare e due Commissarî che esercitavano il controllo politico.
L’organizzazione logistica era invece imperniata sul Distretto Militare, al cui vertice
tuttavia era stato collocato, al posto di un Comandante, un organo collegiale
di 2 Commissarî e 2 Segretarî; alle loro dipendenza operavano Sezioni18 rette da
Ufficiali, per complessive 90 persone circa. Questo sistema comportava, secondo
le valutazioni di Sifola19, una eccesiva farraginosità; altri problemi erano rappresentati
dalla scarsissima mobilità, causata da impreparazione degli Ufficiali subalterni
e dei Sottufficiali, la carenza di armi, che impediva di equipaggiare tutti i reparti
e, infine, la pessima qualità del cibo.
Le forze erano composte da coscritti, il cui arruolamento aveva causato malumori
e sollevamenti nelle comunità contadine.
(3) Le dottrine operative
La nascita dell’Armata Rossa fu segnata dall’opera del Generale Nikolai Vasilyevich
Krylenko (1885-1938), Comandante in Capo delle Forze Armate russe dal
novembre 1917 al marzo 1918, quando rassegnò le dimissioni per protestare contro
la costituzione del Consiglio Supremo Militare. Distintosi più per la sua attività
politica che per la limitata esperienza militare, Triumviro per gli Affari Militari
sotto Lenin, Krylenko era un convinto assertore della democratizzazione delle
Forze Armate, da perseguire anche mediante l’elezione dei comandanti, e dell’uso
della propaganda per disarticolare le unità nemiche.
Il regolamento di disciplina era improntato, nominalmente, al principio
dell’obbedienza spontanea; nondimeno nei confronti della truppa si continuava ad
applicare sanzioni durissime, comprese le esecuzioni in massa.
5. AVVENIMENTI E PROVVEDIMENTI IN VISTA DEL CONFLITTO
a. Politici e diplomatici
Agli inizî di marzo 1918 il Regno Unito chiese a Lenin, tramite la propria rappresentanza
militare, l’autorizzazione a sbarcare proprî contingenti a Murmansk e nella Siberia
orientale. Le circostanze fanno ritenere che si trattasse più di un ultimatum che di una
effettiva richiesta di autorizzazione20. Lenin tuttavia, che in quello stesso periodo temeva
maggiormente l’espansionismo germanico che le intenzioni delle potenze dell’Intesa,
accettò, non senza aver chiesto assicurazione che l’iniziativa avesse finalità esclusivamente
anti-tedesche.
L'invio di truppe multinazionali a Murmansk e Arcangelo fu, invece, oggetto di studio
nel corso del Consiglio Navale interalleato del 23 marzo 1918 e venne approvato dal
Consiglio Supremo di Guerra del 3 giugno successivo. Queste date dimostrano come il
contrasto alla Germania fosse poco più di un pretesto: il Consiglio Navale infatti si ten-8
ne prima che la Germania occupasse la Finlandia, il Consiglio Supremo prima che le
truppe tedesche si concentrassero in Carelia.
b. Militari
I principali obiettivi miliari degli alleati erano, per quel che si è detto, tre: il porto di
Murmansk, porta marittima della Russia; il controllo sulla linea ferroviaria che se ne dipartiva
verso sud; la difesa di Arcangelo, capoluogo dell’area e, nel prosieguo, sede del
Governo “Bianco” secessionista.
Una prima iniziativa unilaterale britannica consistette nello sbarco di circa 150 Royal
Marines a Murmansk, già 5 marzo 1918, con il consenso del Soviet locale21 e del governo
bolscevico.
Il 24 maggio sopraggiunse Poole, con il compito di organizzare una “North Russia Expeditionary
Force”.
Il 23 giugno giunsero rinforzi composti da marinai britannici, truppe volontarie serbe e
careliane e soldati francesi, condotti da Maynard. Lo sbarco dei rinforzi fu visto come
una provocazione da Lenin, che ordinò ai Soviet locali di interrompere la collaborazione
con le autorità britanniche.
A luglio l’equipaggio delle torpediniere russe si ammutinò, fu sbarcato e sostituito con
marinai francesi
La missione multinazionale vera e propria cominciò ad affluire solamente agli inizî di
agosto; fu rinforzata dapprima Arcangelo, ad opera degli Statunitensi, successivamente
Murmansk. L'ultimo contingente, composto da 3.000 Britannici, sbarcò a fine settembre.

Il corpo di spedizione italianosi costituì il 16 agosto 1918 a Torino; recatosi in Inghilterra,
partì il giorno 25 da New Castle a bordo del piroscafo Czar22 e sbarcò a Murmansk il
3 settembre.
Fu immediatamente installato da parte delle ruppe italiane un laboratorio meteorologico,
che produsse la prima cartografia alleata della zona (in scala 1:300.000) e, per tutta la
durata della missione, emanò un bollettino quotidiano, apprezzato e richiesto da tutte le
unità del contingente multinazionale23. Si completò anche la costruzione di un forno per
il pane, capace di produrre 2.000 razioni giornaliere. Dal canto suo, il dirigente del servizio
sanitario, Maggiore Pulè, adottò immediate e severe misure di profilassi, grazie alle
quali i militari italiani non soffrirono delle conseguenze del gelo né delle numerose
malattie che infestavano nell'area24: i casi di scorbuto e congelamento furono infatti rari
e iniziali, mentre flagellarono le truppe Britanniche e Francesi sebbene, a differenza degli
Italiani, si tenessero spesso rinchiuse nei baraccamenti. Infine, si dovette elaborare
un sistema ingegnoso per approvvigionare l’acqua d’inverno: del personale manteneva
costantemente aperto un buco nel ghiaccio, spesso vari metri, che copriva il fiume Kola;
l’acqua ivi attinta veniva trasportata su slitta sino alle cucine dove, tuttavia, giungeva
ghiacciata; si provvedeva allora a scongelarla con altra acqua, tenuta appositamente a
bollire25.
c. Guerra psicologica
Gli alleati, interloquendo con la popolazione dei villaggi via via conquistati, scoprirono
che il Governo di Pietroburgo aveva fomentato l'ostilità dell’opinione pubblica contro
un’iniziativa tacciata (non a torto) di finalità antirivoluzionarie. A tal fine, i Bolscevici
si erano dimostrarono maestri nella tecnica di distribuire volantini, nottetempo, nelle località
di Murmansk e di Arcangelo26.9
6. LA SITUAZIONE PARTICOLARE
a. L'ambiente operativo
L'ambiente operativo si presentava estremamente difficoltoso e ostacolava la conduzione
di manovre militari di grandi dimensioni.
Murmansk si trova all’interno del circolo polare artico; il clima boreale comporta, durante
l’anno, un'escursione termica media da -40o
 a 35o
 Celsius. Il terreno, in gran parte
disabitato, era caratterizzato da boschi impenetrabili e, in Carelia, da un intrico di canali
e stagni, che la ferrovia superava su palafitte. D’inverno gli specchi d’acqua ghiacciavano,
d’estate erano infestati di zanzare. La linea ferroviaria rappresentava l’unico percorso
lungo cui muovere carichi pesanti. I paesi erano privi di strade e i sentieri che separavano
le case si trasformavano, allo sciogliersi dei ghiacci, in percorsi fangosi.
La popolazione locale si rivelò fortemente ostile nei confronti dei Britannici, arrivando
a ucciderne deliberatamente soldati e Ufficiali, mentre invece manifestò una sostanziale
simpatia nei confronti degli Italiani27.
b. Le forze italiane
Per semplificare le operazioni di rifornimento di munizioni, le truppe italiane furono
equipaggiate con un fucili russi. Le armi di reparto erano rappresentate dalle mitragliatrici
Maxim, che tuttavia si rivelarono inadatte all’impiego in quel particolare teatro operativo,
a causa dell’eccessivo peso28.
L’uniforme era quella nazionale da sciatore, con sopravveste bianca. L'equipaggiamento
fornito corrispondeva all'ordinaria dotazione invernale da alta montagna e comprendeva
zanzariere, termogeni tascabili, sci, racchette e ferri da ghiaccio. In aggiunta, furono acquistati
in Murmania berretti di pelo di renna e stivali di feltro. Vestiario ed equipaggiamento
risultarono adatti e soddisfacenti; malgrado le bassissime temperature, si registrarono
pochissimi casi di congelamento29.
Il contingente aveva al seguito la dotazione prevista per il carreggio e finimenti. Furono
portate in Murmania anche carrette con pattini da slitta, ma si rivelarono inefficaci in
quanto troppo pesanti e dovettero pertanto essere sostituite con slitte britanniche. Non
furono portati i muli, sostituiti in loco da cani, pony e renne.
Il vettovagliamento fu inizialmente assicurato dall'esercito britannico, ma rivelatosi insoddisfacente
per le tradizioni alimentari dei militari italiani venne immediatamente integrato,
oltre che con il pane prodotto dal forno di cui s'è detto, con vino, pasta, riso e
tabacco fatti arrivare dalla madrepatria. La composizione di tale “razione speciale” ebbe
un effetto determinante sulle condizioni di salute dei fanti italiani, mediamente superiori
a quelle degli alleati, per tutta la durata della spedizione.
c. I piani operativi alleati
Essendo il contingente italiano di livello eminentemente tattico, i piani operativi furono
ovviamente elaborati a livello alleato, a cura del comando britannico.
Le unità navali presero posizione nei porti di Murmansk e Pecenka, assicurandone la difesa.

Le truppe di terra vennero riorganizzate in due contingenti, rispettivamente denominate
Colonna Syren, operante in Murmania al comando di Maynard, e Colonna Elop, operante
ad Arcangelo.
La Colonna Syren, in particolare, si era attestata sulla linea di difesa Murmansk – Kola
– Pecenka e contava circa 15.000 unità30, di cui probabilmente non più di 10.000 combattenti.
Furono dislocati presidi anche all’esterno di essa, verso sud, con l’ordine di ripiegare
in caso di attacco tedesco. La linea di difesa doveva resistere il tempo necessario
a far affluire rinforzi nei porti di Murmansk e Pecenka, tenuti aperti e sotto controllo
dalle unità navali che vennero là dislocate. 10
Le unità italiane furono inquadrate nella Colonna Syren, ad eccezione di un distaccamento
di 30 uomini inviato ad Arcangelo, in rappresentanza della Nazione. Il comando
e il Plotone Carabinieri Reali si fermarono a Murmansk, mentre le restanti unità si attestarono
inizialmente a Kola.
Per tutta la durata dell’inverno, ritenuta estremamente improbabile l’esecuzione di operazioni
campali, fu pianificata un’opera di sistemazione e rinforzo della linea difensiva e
delle basi logistiche.
A fine settembre, Maynard dispose la costituzione di dodici reparti d'assalto denominati
"colonne mobili", con militari sottoposti a intenso addestramento ed equipaggiati con
speciali indumenti di lana britannici. Era essenziale assicurare la capacità di movimento
celere, secondo la dottrina della battaglia di rottura in campo aperto, grazie anche
all’uso degli sci. Ogni colonna era dotata di slitte trainate da cani, renne o pony russi per
il trasporto di viveri, munizioni e materiali. I componenti furono inizialmente tratti dalle
unità italiane, canadesi e francesi, in quanto già addestrate all’uso degli sci. In seguito
parteciparono pure Russi, Finnici, Serbi e Careliani.
Gli Italiani, in particolare, costituirono la Colonna Savoia, forte di 225 militari di truppa
e 7 Ufficiali al comando del Capitano Francesco Bergamaschi, composta da una Compagnia
di Fanteria, una Sezione Mitragliatrici equipaggiata con armi Maxim, una Sezione
di Artiglieria con cannoni francesi da 37 mm e un Drappello Sanità con un Ufficiale
medico31.
L’attivazione delle colonne mobili segna il chiaro passaggio da una pianificazione difensiva,
dichiaratamente antitedesca, a una offensiva, in chiave palesemente antibolscevica.
Le colonne mobili, infatti, erano concepite per compiere rapide puntate offensive
con lo scopo di acquisire il controllo di aree chiave lungo la ferrovia murmana; non sarebbero
certamente risultate utili, date le ridottissime dimensioni, per frenare l’avanzata
delle Divisioni germaniche e finlandesi. Del resto, le colonne mobili raggiunsero la capacità
operativa a novembre, dopo un intenso addestramento, quando ormai si erano verificati
rilevanti cambiamenti nello scenario operativo: come detto, la Germania si era
ritirata dalla Carelia e ad Arcangelo si era insediato un Governo di Russi Bianchi.
A conferma della svolta in chiave offensiva, nei mesi di ottobre e novembre tutti i presidî
furono provvisti di viveri e munizioni e ricevettero l’ordine di mantenere la posizione
a tempo indeterminato; il piano di ripiegamento sulla linea Murmansk – Kola –
Pecenka fu quindi subito abbandonato.
d. Le forze russe
Il teatro della Russia settentrionale, da Pietrogrado a Murmansk, era affidato alla 7a
 Armata,
schierata su quattro settori differenti, il primo dei quali con competenza sulla
Murmania. La forza complessiva era stimata in circa 58.000 unità, disseminate dalla Carelia
all’entroterra di Arcangelo32.
Dopo lo sbarco del 23 giugno 1919 Lenin, risoltosi a considerare come ostili le intenzioni
britanniche, ordinò a una forza di 3.000 uomini di risalire la ferrovia murmana per
assicurarsene il pieno controllo. Il treno che trasportava l’avanguardia e il comandante,
Commissario Natsarenus, fu tuttavia intercettato il giorno 27 a Kandalaksha da un drappello
di 30 soldati britannici che, agli ordini dello stesso Maynard e del Generale Zvegintsov,
comandante dei Russi Bianchi, compiva una ricognizione. Malgrado l’evidente
superiorità numerica, Natsarenus si fece convincere che le forze britanniche fossero più
numerose delle sue; questo errore, che secondo le fonti britanniche fu indotto dallo stato
di ubriachezza in cui versava Natsarenus33, fece fallire il piano bolscevico. Altri due
treni di truppe, infatti, furono fermati da Maynard a Kem e facilmente persuasi a non
proseguire. Le forze bolsceviche furono disarmate e obbligate a tornare a Pietrogrado.
Fu così possibile per i Britannici di assumere il controllo dell’intero entroterra sino al
villaggio di Kem; l’area controllo bolscevico iniziava invece immediatamente più a sud,
dal villaggio di Urosozero. 11
La 7a
 Armata destinò, a contrastare la colonna Syren, 6 Reggimenti di Fanteria (di cui
uno tenuto in riserva, a Pietrogrado), un Reggimento di Guardie di Frontiera, un Battaglione
di Difesa Costiera ed elementi della 1a
 Divisione di Artiglieria, per una forza
complessiva di 10.000 combattenti, 130 mitragliatrici, otto cannoni campali da 75 mm
ed altri otto cannoni montati su quattro treni armati34.
e. I piani operativi russi
I piani operativi dell’Armata Rossa in Murmania possono essere dedotti a posteriori da
alcuni dati, riportati nelle relazioni del contingente italiano.
In primo luogo, viene riferito che una gran massa di truppe era dispersa sul terreno in
piccoli distaccamenti, composti anche solo di 25 unità. Se ne deduce il primo incarico
che dovevano assolvere era quello di assicurare il controllo del territorio in controllo anti-insurrezionale,
nel contesto della guerra civile con i Russi Bianchi.
Soprattutto, però, è notevole constatare come, di fronte all’avanzata alleata, i Bolscevici
ripiegassero spesso prima che si realizzasse il contatto fra le fanterie, non senza aver però
prima deportato la popolazione, sottratto le risorse35 e minato i ponti. Da questi aspetti
è possibile dedurre che l’Armata Rossa attuasse una manovra in ritirata, incentrata
sulla pratica di fare “terra bruciata” davanti al nemico per stremarne le capacità di sostegno
logistico.
7. GLI AVVENIMENTI
a. Le operazioni di guerra
A fine di gennaio 1919 unità bolsceviche attaccarono truppe alleate a Schenkursk; in
seguito si registrarono attacchi lungo un ramo ferroviario che conduceva ad Arcangelo.
In marzo il comando alleato decise allora di avviare le operazioni con una rapida puntata
offensiva impossessandosi di un ponte sul fiume Onda, il cui controllo era precondizione
necessaria per iniziare l’avanzata a cavallo della ferrovia.
Il 10 aprile fu così possibile assaltare il villaggio di Urosozero, con il supporto di un
treno armato; fu conquistato senza trovare resistenza.
Il 1o
 maggio 1919 il contingente alleato si rischierò, definendo come retrovie la zona da
Murmansk a Engozero, come zona intermedia la zona da Engozero a Kem e come zona
avanzata l’area a sud di Kem, in direzione Petrozawodsk36.
Il 19 maggio la Colonna Savoia, già dislocata a Urosozero, fu collocata dal comando
della 237a
 Brigata britannica lungo la linea ferroviaria, al Casello 12.
La manovra offensiva sarebbe iniziata il 20 maggio, a cavallo della linea ferroviaria. Il
piano originario prevedeva una forte azione dimostrativa al centro, ad opera di un treno
armato francese, per impegnare il nemico ed evitare che danneggiasse la linea ferroviaria
o i ponti; contestualmente due ali avrebbero attuato, a est ed ovest, una manovra finalizzata
alla conquista di tre villaggi lungo la riva settentrionale del Lago Onega, ovvero
Povenietz, Lumbuski e Medveya Gora. Ci si aspettava che i Bolscevici sarebbero retrocessi
prima di vedersi preluse le vie di ritirata, ma il piano tuttavia fallì per il ritardo
del treno armato. Gli ordini furono allora modificati: la Colonna Savoia venne incaricata
di conquistare il Casello 11, prima linea di resistenza nemica. Alle ore 21 l’artiglieria
francese iniziò un fuoco di preparazione, ma le vedette riferirono che i Bolscevici stavano
bruciando i ponti ferroviarî; fu pertanto ordinato di accelerare l’attacco.
L’avvicinamento della Colonna Savoia venne attuato al riparo del bosco che fiancheggiava
la ferrovia; la difesa del Casello 11 fu così colta di sorpresa e travolta.
Al termine della giornata del 20 maggio una Compagnia serba aveva conquistato una
collinetta in posizione dominante, quelle britanniche la località di Lumbuski; gli Italiani
si estendevano fra queste due posizioni, a cavallo della ferrovia. L’intero dispositivo
fronteggiava, come un anfiteatro, il paese di Medveya Gora. 12
Il giorno 21 le truppe careliane avrebbero dovuto compiere una manovra diversiva, attaccando
Tehobuia e Zavod, mentre la Colonna Savoia, rinforzata da un pezzo di artiglieria
britannico, era incaricata di attaccare frontalmente Medveya Gora. Alle ore 14
tuttavia, mentre ancora si attendeva la manovra diversiva, le linee italiane furono fatte
segno di un tiro ben aggiustato da parte dell’artiglieria bolscevica; la Colonna Savoia si
lanciò allora all’attacco e conquistò, d'impeto, i ponti sui fiumi Viska e Kumsa, trovati
minati ma intatti; la rapidità dell'attacco aveva impedito di portarne a termine la distruzione.
L’occupazione di Medveya Gora fu completata da una Compagnia britannica tenuta
in rincalzo; il paese era intatto, ma completamente priva di popolazione e materiali
bellici, già deportati dai Bolscevici per ferrovia. I Careliani, “elementi di poco rendimento”
37, si fermarono davanti alla reazione bolscevica e riuscirono a conquistare i loro
obiettivi solamente alle 22.
Con la conquista di Medveya Gora gli alleati si assicurarono il controllo della riva settentrionale
del Lago Onega.
La Colonna Savoia fu trasferita, il 25 maggio, a Povienetz, dove attese la ripresa delle
operazioni, che languivano essendosi deciso di lasciare l’iniziativa ai Russi Bianchi.
Fallito il tentativo di “russificazione” del conflitto, il 25 giugno il comando della 237a
Brigata britannica concentrò la Colonna Savoia, una Compagnia di Fanteria italiana, la
Compagnia Mitragliatrici e il Plotone Carabinieri Reali a Medveya Gora con lo scopo di
impiegarli sull'asse centrale del dispositivo, grazie alla dimostrazione di efficienza che
gli Italiani avevano dato nelle operazioni precedenti. La prima fase della manovra preveda
la conquista preventiva di tre importanti nodi ferroviarî ovvero, nell’ordine, il Casello
9, il ponte sul fiume Unitza e il villaggio di Kapaselga.
Nella sera del 26 giugno, dopo un vivo bombardamento preliminare ad opera di un treno
armato britannico, il contingente italiano occupò il Casello 9; riferisce in proposito Sifola:
“la condotta delle truppe italiane fu oltremodo brillante: il Generale inglese comandante
in capo delle forze alleate ha inviato vive congratulazioni”
 38. Contemporaneamente,
due colonne alleate agivano sulle ali. Il nemico in fuga, tuttavia, riuscì a far brillare
il ponte sul fiume Unitza, fermando così lo slancio dell’avanzata.
Le operazioni campali furono ostacolate da due giorni di violenti temporali. Il 28 la Colonna
Savoia si spinse a sud, lungo il percorso ferroviario, per coprire la costruzione di
un ponte speditivo sul fiume Unitza ad opera di ferrovieri americani; il giorno 30 ricevette
il cambio dalla 12a
 Compagnia fucilieri che, come già detto,pochi giorni dopo si
sarebbe rifiutata di combattere39.
Il 2 luglio una ricognizione avanzata riferì che Kapaselga era fortemente protetta da mitragliatrici.
Una colonna alleata comprendente un plotone italiano in avanguardia tentò
immediatamente di assaltare il paese, ma fu respinta, anche perché l’unico cannone di
cui disponeva non poté essere trasportato sulle strade, ridotte a fanghiglia a causa dei
temporali. L’azione fu ripetuta dalle stesse forze il 3 luglio e nuovamente fallì.
Kapaselga fu infine conquistata il 5 luglio, grazie al fuoco di appoggio di un treno armato
e dell’artiglieria britannica. Il villaggio di Kapaselga fu trovato completamente privo
di materiali e vettovaglie. Risultò che i Bolscevici si erano ritirati sino al Casello 8.
I piani prevedevano la successiva conquista di Petrozavodsk, importante cittadina capoluogo
del distretto di Kem. Le truppe avrebbero così potuto saldarsi con i Russi Bianchi
che, partendo dalle basi in Finlandia, fronteggiavano la 7a
 Armata bolscevica sul settore
di Olonetz40; tale saldatura avrebbe compromesso la difesa della stessa capitale russa,
Pietrogrado41. Tali piani non furono tuttavia attuati e Kapaselga segnò la massima espansione
del territorio controllato dalle truppe occidentali.
Nel frattempo, una penetrazione analoga in territorio russo era stata compiuta dalla Colonna
Elop, operante da Arcangelo. 13
b. Concomitanti avvenimenti politici ed economici
Perdurante la missione, il clima politico interno dei Paesi alleati mutò progressivamente,
di fronte all’evidenza che il regime bolscevico non stava crollando e che, quindi, era
opportuno non inimicarselo.
A fine di maggio 1919 i Governi dell’Intesa proclamarono un principio di non ingerenza
negli affari interni della Russia, disponendo conseguentemente che le operazioni in
Murmania dovessero essere proseguite solamente da Russi Bianchi, volontari slavi e careliani
e partigiani; il contingente occidentale avrebbe dovuto unicamente assicurare sostegno
materiale e morale.
Il tentativo di “russificare” il conflitto fallì tuttavia immediatamente, davanti
all’evidenza dell’incapacità delle truppe indigene. Il giorno 11 giugno, infatti, un reparto
di reclute russe, “per deficienza dei quadri”
42, fu incapace di conquistare il Casello 10,
malgrado il preventivo bombardamento compiuto da 11 idrovolanti britannici.
Le operazioni del contingente alleato furono così riavviate, ma la situazione si aggravò
per il diffondersi di gravi episodi di indisciplina fra le truppe che, come già s’è detto, si
erano illuse di poter tornare in Patria alla fine della Guerra Mondiale. A luglio il Regno
Unito decise pertanto di fermare l’avanzata verso Petrozavodsk e di avvicendare la
truppe, sostituendo i coscritti con volontari; gli Stati Uniti, tuttavia, da Arcangelo premevano
per abbandonare del tutto la Russia settentrionale.
In questo contesto il Governo italiano, la cui direzione era passata nel frattempo a Nitti,
decise di ritirare il proprio contingente. Le truppe italiane ripiegarono a Murmansk da
dove, il 9 agosto, si imbarcarono sul medesimo piroscafo “Czar”. Il 17 agosto erano in
Francia, dove furono passate in rassegna dal Generale Cavallero. Il 27 agosto giungevano
in Patria, a Oulx.
Il contingente murmano fu definitivamente e formalmente sciolto il 12 settembre 1919,
dopo aver restituito e immagazzinato tutti i materiali riportati dalla Russia.
c. Considerazioni riepilogative
Mentre l'intero contingente risentiva dell’allentamento della disciplina e dava prova di
patire delle difficoltà logistiche, i soldati italiani furono lodati dal comando per la loro
compattezza, resistenza alla fatica e capacità di interazione con la popolazione locale.
L'efficienza e la professionalità delle truppe italiane fu dimostrata, pur nella ridotta rilevanza
degli eventi, dalle pochissime perdite subite in combattimento; anche i decessi
imputabili a malattia furono appena una quindicina43.
8. CONCLUSIONI
a. Considerazioni finali riferite all’epoca del conflitto
Dal punto di vista strategico, l’Italia diede prova di fedeltà agli impegni assunti, contribuendo
con prontezza ed anche dopo la fine della Guerra alla causa promossa dagli alleati.
Il Governo Nitti in particolare, benché contrario a una politica di scontro con il regime
bolscevico, ritirò le truppe solo dopo che analoghe decisioni erano state assunte
dalla Francia e discusse dal Regno Unito e dagli Stati Uniti.
Sul piano tattico, emerge dai fatti in esame come i soldati italiani e l’equipaggiamento
di cui erano forniti si siano dimostrati all’altezza dei compiti affidati, sebbene la necessità
di inviare in Murmania reparti organici e la fretta con cui fu approntato il contingente
avessero impedito una rigorosa selezione del personale. Emerge in questi eventi
l’importanza del supporto logistico di aderenza, elemento tanto più indispensabile in
quanto si tenga conto delle rigidità climatiche. Il corpo di spedizione riuscì ad operare in
zone con caratteristiche climatiche quasi proibitive ed a grandissima distanza dalla Patria,
solo grazie a una eccellente organizzazione logistica. Fra l’altro, merita essere ricordato
che il forno italiano rifornì di pane persino le truppe britanniche e che la costru-14
zione di baracche sul modello russo permise di sopportare, con relativa facilità, il gelo
invernale (durante l’inverno, si registrarono in area d’operazioni 44 gradi sottozero44).
b. Ammaestramenti di valore attuale. Elaborazione del tema assegnato secondo la
dottrina attuale
L’intervento in Murmania rappresenta un valido precedente di studio per operazioni militari
finalizzate a rinforzare, in una situazione di guerra civile, una delle parti in conflitto.
Con questa chiave di lettura, si evidenzia che fu un successo sul piano militare, ma
fallì miseramente gli obiettivi politici e strategici.
Fattori di successo operativo furono: l’approccio joint, che portò all’unificazione sotto
un unico comando delle forze terrestri, navali e (seppur limitate) aeree; l’integrazione
combined di contingenti di differente provenienza nazionale; l’interoperabilità, attuata
mediante l’adozione generalizzata di armi russe.
Sul piano tattico, risultò vincente l’attuazione di schemi elastici (le colonne mobili), attagliati
alle specifiche esigenze di manovra dell’area di operazioni.
Le cause di insuccesso risiedono invece, a livello strategico, nella mancata identificazione
del proprio centro di gravità, che risiedeva nel morale del contingente45. Questo
errore di valutazione comportò l’invio, in un’area ove era estremamente difficile vivere,
muovere e combattere, di contingenti di coscritti, con immediato sfaldamento della disciplina.
Analogamente, il centro di gravità del nemico fu erroneamente individuato,
con ottica coloniale, nel controllo del territorio, anziché nell’appoggio della popolazione
al Governo Russo Bianco di Arcangelo.
Soprattutto, però, appare irrealistica la missione concepita dal Governo britannico, ossia
l’intendimento di appropriarsi del controllo sul territorio russo, mediante insediamento
di governi fantoccio nelle aree strategiche dell’ex-Impero zarista.
Comunque, se anche la missione fosse stata ammissibile, sarebbero comunque risultato
inidoneo a conseguirla l’obiettivo assegnato al livello operativo, la sola conquista di Petrozavodsk
e non quella della capitale. Osserva acutamente Sifola, bollando come “inazione”
l’avventura murmana, che “Un’azione di una certa importanza, oltre ad una
preparazione accurata, ciò che non ritengo vi sia, deve proporsi un obiettivo decisivo;
per la Murmania tale obiettivo dovrebbe essere Pietrogrado e quindi la grande ferrovia
siberiana”

NOTE
1 Detti anche “Massimalisti”, con un termine tratto dalla politica italiana.
2Il 13 aprile 1918 truppe tedesche presero il controllo della capitale finlandese Helsinfors, attuale Helsinki. 3
 In particolare Sidney Sonnino, Ministro degli Esteri, e Leonida Bissolati, Ministro dell’Assistenza. Il primo sarà
presente, sempre come Ministro degli Esteri, alla Conferenza di Parigi del 1919, dove si confrontò con il mancato rispetto
da parte di Inglesi e Francesi degli impegni assunti con il trattato di Londra. Il secondo, in quanto ministro
dell'Assistenza dal 1916, nel Governo Boselli e in quello successivo di Orlando, aveva contatti diretti con i generali
italiani impegnati sul fronte della Prima Guerra Mondiale. Alla fine del conflitto avallò la delimitazione delle frontiere
decisa a Parigi, ma i contrasti che ne derivarono (la “vittoria mutilata”) lo spinsero a dimettersi dal Governo e a
ritirarsi dalla scena politica. 4
 In particolare il Generale Armando Diaz, nominato Capo di Stato Maggiore dopo la Battaglia di Caporetto, e il Generale
Pietro Badoglio, Sottocapo con Diaz e suo successore dal dicembre 1919. 5
 Che correva da Pietrogrado, in direzione ovest-est, sino a Vladivostok. 6
 In corrispondenza della cittadina di Ivanea.
7
 La Russia aveva ed ha quattro sbocchi sul mare: Pietrogrado (attuale San Pietroburgo) sul Mar Baltico, i porti sul
Mar Nero, Vladivostok in Siberia e Murmansk (l’intera costa a oriente di Murmansk era, infatti, resa impraticabile
dai ghiacci artici). Alla fine della Prima Guerra Mondiale, mentre la sicurezza di Pietrogrado veniva minata da truppe
“bianche” basate nei Paesi Baltici, tutte e tre le altre aree furono occupate da truppe delle potenze occidentali, su
iniziativa britannica. La valenza strategica di Murmansk è tuttavia molto superiore a quella degli altri porti: il Baltico
e il Mar Nero, infatti, sono specchi d’acqua chiusi, di cui è facile controllare lo sbocco in mare aperto; inoltre il
Baltico è spesso impraticabile, d’inverno, mentre la costa del Mar Nero non appartiene alla Russia, ma all’Ucraina,
che all’epoca dei fatti in esame aveva dichiarato la propria indipendenza. Per quanto concerne Vladivostok, la sua
lontananza dal teatro europeo era, soprattutto un secolo fa, quasi insormontabile. 8
 Ancora nel 1929, un articolo di stampa pubblicato in Italia sosteneva che gli Italiani in Murmania avessero sostenuto
“scontri con reparti germanici” (Allegato L). Questa notizia falsa sembra far pensare a un’opera di disinformazione
in Patria, destinata a dissimulare le cause reali dell’intervento. 9 Il Maggiore Raimondi, da Capitano, aveva operato in Cirenaica nel 34o
 Reggimento di Fanteria (come risulta dalla
relazione in Allegato M). 10 Sarà successivamente nominato Maresciallo d’Italia e diverrà Capo di Stato Maggiore generale durante la Seconda
Guerra Mondiale. 11 Il 67o
 Reggimento di Fanteria "Palermo" fu costituito il 1o
 agosto 1862; dopo aver partecipato alla Terza Guerra di
Indipendenza (1866), inviò i suoi reparti in Eritrea ed in Libia. Nel corso della Prima Guerra Mondiale fu impiegato
nel Goriziano. Dopo i fatti in esame partecipò alla campagna d'Etiopia (1936). Ridenominato 67o
 Reggimento Fanteria
"Legnano" nel 1939, confluì nella 58ª Divisione Fanteria “Legnano”, che operò sul fronte francese (1940), su
quello greco-albanese (1941) e nuovamente in Francia (1942); dopo l’armistizio, venne inserito nella II Brigata del
Corpo Italiano di Liberazione. Ridotto a 67o
 Battaglione Meccanizzato "Montelungo" nel 1975, riconvertito nel 67o
Reggimento Corazzato nel 1991, fu infine sciolto nel 1995 e le bandiere di guerra vennero portate all'Altare della
Patria. Le mostrine (d'azzurro e nero di tre in palo) sono state ereditate dal Reparto Comando e Trasmissioni con sede
in Bergamo (notizie tratte dal sito ufficiale dell’Esercito Italiano, www.esercito.difesa.it). 12 Le fonti secondarie riportano talvolta dati differenti; questi sono tratti dalle relazioni originali, in Allegato H ed M. 13 Pelagalli, S. (Italiani in Murmania, in Storia Militare, Parma, Albertelli Edizioni Speciali, 2000, n. 85, pag. 26) riporta
un numero diverso da quello di tutte le altre fonti adite: 15.000 unità a Murmansk e 35.000 ad Arcangelo. Il
primo valore è realistico, il secondo potrebbe forse essere causato dall’aver erroneamente attribuito alla sede di Arcangelo
l’intero contingente, oppure comprende anche le truppe di Russi Bianchi. Lo stesso autore enumera come
componenti del contingente una Divisione britannica, un Battaglione e un Gruppo d’Artiglieria francesi, un Battaglione
serbo, un Reggimento careliano, una Legione anglo-slava ed un’altra franco-slava. 14 Lettera in Allegato F.
15 L’episodio, ignorato dai documenti ufficiali conservati allo Stato Maggiore dell’Esercito, verosimilmente per essere
stati “insabbiati”, è stato ricostruito da Pelagalli, opera citata, pag. 31 grazie agli atti del Tribunale di Guerra, ora
conservati all’Archivio Centrale di Stato. 16 Sei mesi di reclusione con la sospensione condizionale della pena per i soldati, un anno per uno dei Caporali. L’altro
graduato fu condannato a sei anni, ma a titolo di cumulo pene per più episodi delittuosi. 17 Relazione in Allegato H. 18 Suddivise in mobilitazione, sussistenza, addestramento e amministrazione.
19 Si veda la relazione in Allegato K.
20 È questa, ad esempio, l’opinione di Kinvig C., Churchill's Crusade: the British invasion of Russia, 1918-1920, New
York, Continuum International Publishing Group, 2006. II
21 I Soviet erano organismi di rappresentanza degli operai (quello di Pietrogrado comprendeva anche rappresentanti dei
soldati di truppa), sorti spontaneamente dopo i moti del febbraio 1917. Divennero la base del regime bolscevico che
si autoproclamò, com’è noto, “sovietico”. 22 Già appartenuto alla marina mercantile russo, ma governato da equipaggio britannico.
23 Il bollettino italiano fu richiesto anche dopo che, nel gennaio 1919, venne installato un analogo laboratorio britannico.
24 Influenza "spagnola", scorbuto, vaiolo, dissenteria e scarlattina. 25 Relazione in Allegato M.
26 “Masters”, secondo la valutzione di Kinvig C., opera citata, pag. 48. 27 Lettera in Allegato F e relazione in Allegato M.
28 Lettera in Allegato F.
29 Lettera in Allegato F e relazione in Allegato M.
30 Questa cifra viene tramandata da Pelagalli (confronta nota n. 13) e sembra realistica, in quanto corrisponde alla metà
del contingente. Da una relazione del Ten. Col. Sifola (Allegato H) risulta che nel maggio 1919 nella zona di operazioni
della Colonna Syren, da Medveya Gora a Povenietz, operavano una Compagnia di Fanteria di Marina britannica,
una Sezione di Artiglieria britannica, una Squadriglia di idroplani britannica, due Compagnie di Fanteria britanniche,
un treno armato statunitense (con due pezzi da 65, un pezzo da 37 e due mitragliatrici), quattro Compagnie
del 2o
 Reggimento del Nord russo, un Battaglione ed una Compagnia del 1o
 Reggimento del Nord russo, alcune unità
di un Reggimento careliano, una Legione slavo-britannica, una Compagnia serba, un Comando canadese su 60
uomini (con compiti di inquadramento e istruzione dei reparti russi) e circa 250 partigiani russi. Le truppe francesi
erano già rientrate in Patria. Nelle retrovie e nella zona intermedia erano rimasti un Battaglione serbo, un Battaglione
d’istruzione russo e due Battaglioni careliani. 31 Le fonti secondarie hanno talvolta riferito in modo erroneo la composizione e l’armamento della Colonna Savoia.
Qui si riporta quanto rappresentato dallo stesso Sifola, nella lettera in Allegato F. 32 Pelagalli S., opera citata, pag. 26.
33 Vedasi Kettle M., The road to intervention: March-November 1918, Bristol, Leaper & Gard, 1988, pag. 226. 34 Questi dati sono stati raccolti dal contingente italiano (Allegato K) e si riferiscono all’ultima fase degli scontri. Secondo
Sifola, si tratterebbe comunque degli stessi reparti originariamente schierati a Murmansk. 35 Infatti, Sifola lamenta che l’avanzata non procura nuove risorse al contingente (Allegato F) e racconta di come i
Bolscevici, servendosi della ferrovia, abbiano completamente svuotato Medveya Gora prima di ritirarsi (dagli altri
villaggi, per mancanza di tempo, si erano limitati a evacuare gli uomini validi e “qualche centinaio di giovani donne
… pel servizio delle truppe operanti !!!” – Allegato G). 36 Relazione in Allegato H.
37 Giudizio espresso da Sifola nella relazione in Allegato F.
38 Relazione in Allegato H.
39 Fonti secondarie riferiscono che, sempre presso il Casello 9, il 1o
 luglio gli Italiani respinsero un violento contrattacco.
Questa tradizione sembra tuttavia errata (forse attribuibile a un’erronea lettura), considerato che Sifola non ne fa
menzione (si veda in particolare le relazione in Allegato I, che inizia la narrazione dal 30 giugno) e che nel frattempo,
come detto, la testa di ponte italiana lungo la ferrovia si era già spinta più a sud. 40 Si vedano, al riguardo, la cartina in Allegato D e la relazione in Allegato J, a cura del contingente italiano. 41 Petrozavodsk dista ben 933 kilometri da Murmansk e solo 420 da Pietrogrado. È bene precisare, tuttavia, che per
quanto afferma Sifola la conquista di Pietrogrado non rientrava nelle intenzioni degli alleati (lettera in Allegato E). 42 Così si esprime Sifola nella relazione in Allegato G.
43 Le fonti discordano sul numero esatto, comunque non superiore alle 22 unità, compresi nove o dieci soldati morti
durante il viaggio di andata, per un’epidemia di influenza “spagnola” (relazione in Allegato L). È comunque sicuramente
errata la tesi, sostenuta da alcune fonti secondarie, secondo cui non ci fu alcun decesso in conseguenza dei
combattimenti: il Ten. Col. Sifola, infatti, riferisce di una perdita (causata da una granata britannica) durante
l’attacco al Casello 9 e due (a seguito di gravi ferite) nel corso delle operazioni per la conquista di Kapaselga (relazioni
in Allegato H e I). 44 Relazione in Allegato M.
45 Esame, secondo il “Metodo Strange”, in Allegato E. 46 Allegato F.- III -

martedì 18 novembre 2014

Roma. 17 novembre 2014. Centro Russo di Scienza e Cultura. Prima Guerra Mondiale

Quest’anno ricorre il centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, che dopo il Patto di Londra (1915) vide il Regno d’Italia alleato della Russia zarista contro gli Imperi centrali. Già nel 1909, con l’accordo di Racconigi, i due Paesi individuavano nel contenimento dell’espansione austriaca e nell’indebolimento dell’impero ottomano un obiettivo strategico comune: l’Italia avrebbe assunto un ruolo guida nel Mediterraneo, accettando al contempo l’influenza russa nei Balcani come un necessario equilibrio di forze.

Intrecciata alla Rivoluzione d’Ottobre e ai nazionalismi europei, tragica nel suo svolgimento e nei suoi esiti finali, la Prima Guerra Mondiale offre importanti spunti di riflessione sulla storia geopolitica dei rapporti tra Russia e Italia, a cui il Colloquium Italo-Russo dell’IsAG dedica il suo terzo seminario del 2014.
  
Interverranno Dario Citati (Direttore del Programma “Eurasia” dell’IsAG), Virgilio Ilari (Presidente della Società Italiana di Studi Militari),Massimo Coltrinari, storico, e Giancarlo Ramaccia, ricercatore e cultore della materia Daniele Scalea (Direttore Generale dell’IsAG) e Roberto Valle(Professore associato di Storia dell’Europa Orientale all’Università Sapienza di Roma). La locandina col programma completo dell'incontro è disponibile cliccando qui.

lunedì 10 novembre 2014

Newsletters dell'Archivio di Stato

l'Istituto Centrale per gli Archivi (ICAR) - responsabile della gestione, manutenzione ed evoluzione del Sistema Archivistico Nazionale - ha pubblicato la Newsletter SAN n. 31 del 7 novembre 2014.
Per iscriversi alla Newsletter seguire il link:  http://www.san.beniculturali.it/web/san/iscrizione-alla-newsletter
Il SAN, aggregatore nazionale di risorse archivistiche, è aperto alla collaborazione delle Istituzioni interessate alla fruizione in rete del proprio patrimonio documentario.
Al fine di proporre agli utenti l’offerta più esaustiva possibile e nell’intento di far emergere l’attività di ciascuna istituzione aderente, si  invita a segnalare alla redazione ICAR iniziative realizzate, in corso di realizzazione e/o quelle che si intendano realizzare; attività di gruppi di lavoro, comitati e commissioni; intese e convenzioni con soggetti pubblici e privati; progetti innovativi; percorsi tematici da rilanciare, valorizzare e rendere fruibili tramite il SAN.