“ La risposta dipendeva dalla domanda che le veniva rivolta”
( Méro – Calcoli morali, 165)
Nella nostra analisi si può partire
dagli aspetti finanziari per arrivare a quelli più propriamente politico –
strategici, essendo aspetti diversi di uno stesso problema, sfaccettature che
si riconducono ad una stessa visione, molte volte in conflitto con se stessa
per la sua contraddittorietà.
Nell’intervento di Donato Masciandaro, Tassare la finanza : istruzioni per l’uso
( in E. & M. – SDA Bocconi, 46-47, Etas 3/2011), si affronta il rapporto
tra regolamentazione, tassazione e rischio sistemico finanziario secondo un’
ottica complessiva e non più separata, queste osservazioni nascono dalle
conseguenze della crisi finanziaria, fallimento della Lehman Brothers, iniziata nel 2008 a seguito della crisi dei mutui subprime scoppiata negli USA nel 2006,
crisi allargatasi nel 2009 all’U.E., a partire dalla Grecia, fino a coinvolgere
nel giugno del 2011 l’Italia stessa.
Quello che emerge sia per il controllo
che per la tassazione è il problema della valutazione del rischio sistemico,
sia in termini di prevenzione che di redistribuzione dei costi una volta
esplosa la crisi, deve tuttavia osservarsi che una valutazione del rischio
sistemico è molte volte mancata negli stessi Istituti preposti.
Vi è stata sostanzialmente una scarsa
coscienza, più o meno voluta, delle problematiche derivanti sia dall’uso di
determinati strumenti finanziari, sia del riflesso fiduciario che su di essi si
proietta nell’adottare determinati comportamenti politico-amministrativi.
L’ottica del breve e della necessità di non configgere sui
fondamentali, secondo una lettura politicamente corretta, ha fatto si che
affrontare il problema del rischio sistemico allargandolo dalle dinamiche
finanziarie a quelle sociali diventasse per i controllori e i regolamentatori
troppo complesso ed oneroso, d’altronde il continuo pendolo tra pubblico e
privato, tra socialismo e liberismo, ossia tra sopravvivenza del gruppo e
quella del singolo in un equilibrio stabile impossibile, fa sì che diventi
difficoltoso determinare il rapporto tra logica del gruppo e comportamento
individuale in una probabile strategia mista dalla difficile definizione (L. Mèro, Calcoli morali, parte II – Alle
origini della diversità, Dedalo ed. 2005).
La difficoltà stessa è diventata quindi
alibi per non dire, per non disturbare i manovratori e gli interessi
coalizzati, se non a sua volta elemento per piegare le valutazioni sui binari
desiderati, la stessa tecnologia nell’aumentare le possibilità di analisi a
seguito dell’abbondanza di dati disponibili e della potenza di calcolo,
complica di fatto le valutazioni sulle possibili conseguenze dell’interagire di
innumerevoli sistemi collegati fra loro, rendendo le stesse metodologicamente
arcane per la generalità dei cittadini.
Si evita quella che gli antichi
chiamano “parresia”, ossia la capacità e/o volontà di dire quella che si
ritiene essere la verità attraverso il dialogo, anche e proprio in contrasto
con il potente quale proprio dovere, la critica motivata che crea il rischio
per chi la espone ma proprio per questo acquista un valore di verità.
Il controllore attraverso la
valutazione del rischio sistemico e l’esposizione del metodo diventa soggetto,
ma anche oggetto, di un dibattito sull’esistenza del rischio che può essere
spiacevole ma senz’altro moralmente necessario per la democrazia.
“Nel
campo delle istituzioni politiche, la problematizzazione della parresia
comportò un gioco tra logos, verità e nomos ( legge); c’era bisogno del
parresiastes per mettere in luce quelle verità che avrebbero assicurato la
salvezza ed il benessere della città” ( M. Foucault, Discorso e verità
nella Grecia antica, 67, Donzelli ed. 2005), la parresia era e resta la qualità
personale necessaria di un consigliere, in quanto se non lui che ha possibilità
e mezzi chi potrà parlare e spiegare?
Il rischio sistemico deve trasformarsi
in un rischio etico e quindi personale, quello di non compiacere il potente ma
anche il pubblico, dello scambio dell’utile personale per un utile collettivo,
in quanto compito di un consigliere pubblico è collegare il gene egoista
all’interesse di gruppo, nel risolvere il problema essenziale della coincidenza
tra parresia politica e parresia etica si che il “bios” si risolva nel “nomos” ( Platone, Le Leggi, in Opere Complete, VII, AA.VV., Laterza 1992).
Vi è tuttavia nell’Occidente
capitalistico moderno una profonda contraddizione tra forti valori etici ed una
illimitata “ Volontà di Potenza”,
ossia sulla tolleranza, sui diritti e la libertà della persona, sulla ricerca
della felicità, ma al contempo sulla crescente affannosa produzione di beni usa
e getta al fine di un consumo diretto al solo profitto.
Questo in una crescente concentrazione
di potere e ricchezza, a fronte di una funzionale proletarizzazione del livello
culturale mediante il mezzo tecnologico ( Cardini).
Se presupponiamo l’etica quale un sistema normativo posseduto dall’uomo per scegliere tra il fare e il non fare e nel fare, il modo dello stesso, sì da plasmarne l’essere, sorge il dibattito sul motivo di un tale sistema.
Il pendolare tra la ricerca di una
legge morale naturale o razionale e il negare tale possibilità presuppone la
ricerca implicita di un valore fondante dell’uomo, in altre parole vi è la
ricerca dell’esistenza o meno di un valore o più valori insiti nella specie
umana.
“L’unica
cosa che la natura ci impone è il vincolo di un sistema normativo capace di
sostituire con maggiore efficienza la perduta cogenza degli istinti. Quale
sistema normativo? Qualsiasi, purché funzioni. Questo è tutto ciò che dice la
natura.”(Paolo Flores d’Arcais, Controversia sull’etica, MicroMega, 5/2011),
partendo da una affermazione così assoluta dobbiamo chiederci se deve esservi
un fine al sistema normativo funzionante e se si, quale?
L’efficienza non può essere fine a se
stessa ma indirizzata ad un obiettivo che biologicamente può essere
l’autoconservazione, anche mediante riproduzione, non solo del singolo ma della
comunità che lo costituisce con i suoi valori, questo crea forme diverse e in
concorrenza di etica in cui vi è una differente miscellanea tra competizione e
collaborazione, strutture che l’esperienza viene a istituzionalizzare
normativamente.
Il prevalere “momentaneo” di una delle
forme etiche è il risultato di una maggiore efficienza produttiva e quindi
riproduttiva di una comunità rispetto ad altre comunità, la struttura modulare
che forma la comunità umana favorisce l’alternarsi delle “miscellanee etiche”
lungo la crescita tecnologica.
Il valore di giustizia che crea in noi
il senso etico, facendo emergere il negativo dell’ingiustizia, non è che la
compensazione dell’interesse individuale all’esistenza collettiva compenetrato all’esigenza della non violazione del proprio
essere, espresso sia nella personalità cosciente che nei suoi mezzi materiali.
La tecnologia di fatto muta l’etica e
sceglie in efficienza fra le etiche concorrenti, questo non deve comunque
portare ad una deresponsabilizzazione del singolo quale essere razionale che
deve risolvere le sue esigenze psicologiche di libertà e realizzazione.
La fluttuazione etica, risultato del
continuo processo entropico innanzi descritto, si rimodula sulle necessità di
sopravvivenza del sistema sociale, in un rapporto in cui la tecnologia cresce
in termini esponenziali e non lineari con un progresso tecnico che supera le
capacità di comprensione e previsione degli esseri umani.
Le capacità tecniche nel riflettere la
necessità espansiva dell’io, fanno si che ne diventino sempre più complesse ed
imprevedibili le conseguenze nonché le implicazioni tecnologiche, fino a
prevedere una possibile futura “Singolarità
tecnologica” nel cui avvento i modelli di previsione diventano inaffidabili
(Vernor Vinge) e gli stessi modelli etici potranno subire una rottura posta
nella necessità di riconsiderare quello che è coscienza ed il suo supporto
biologico.
Sebbene sia da più parti contestata la
sostenibilità di uno “sviluppo illimitato
dell’intelligenza” (Martin Rees), questo non elimina le
difficoltà che nel futuro si presenteranno con lo sviluppo della tecnologia e
le sue conseguenze in un possibile interfaccia biologico-informatico.
Le stesse organizzazioni umane, finora
chiuse, nell’evolvere verso sistemi aperti rimodulano i concetti di
responsabilità e dovere dell’individuo verso il collettivo, con una crescita
del senso di conservazione e trasmissione dell’io nel e con il ristretto gruppo
che lo sostiene meglio definito, seppure dai confini incerti, rispetto
all’attuale informe sociale (Baumann),
si crea un’etica individualista che si compenetra in una intelligenza
collettiva non più strettamente territoriale (Teoria dello Sciame) che
impone un riconoscimento collettivo della dignità dell’io non più legato al
solo territorio.
Gli
stessi diritti tanto sostenuti delle varie minoranze, trasformati nel politicamente corretto e woke, permettono di impedire la visione
dei veri conflitti potenziali derivanti dall’azione dell’establishment a
seguito del crescente malessere per l’impoverimento della classe media operaia.
“ La
decadenza include degrado morale, edonismo ed egoismo, nonché l’incapacità di
sacrificarsi per difendere la civiltà dai suoi nemici esterni” ( 240, F. Rampini, Suicidio occidentale,
Mondadori 2021).
La sopravvivenza dell’io con le sue
esigenze può avvenire in termini predatori o intermini collaborativi, la scala
di valori per cui ciò avverrà sarà rimodellata dalla crescita esponenziale
della tecnologia e dalla sua capacità di influire sui nostri programmi
biologici, circostanza che imporrà continue accelerazioni nella rimodulazione
dell’etica e del conseguente sistema normativo.
Dobbiamo tuttavia considerare che
storia e filosofia costituiscono comunque parte della personalità, come tali
non possono essere ignorati, questo all’opposto dell’idea di una società
fondata sul solo aspetto economico, sull’utile, senza storia e liquida, con una
accelerazione di soli consumi e la sola creazione artificiale dei desideri, in
altre parole deve intervenire la qualità quale elemento distintivo sulla sola
produzione di massa, una caratteristica propria della civiltà.
Vi è una manipolazione e annullamento
“morbido” della personalità in una apparente libertà, felicità dell’essere
debitamente diretta al solo consumo in un perenne “usa e getta”.
Un conflitto tra un dirigere morbido,
democratico, e un controllo autoritario esterno, la libertà risiede
nell’intreccio tra storia e cultura che, come alla caduta dell’Impero Romano,
si concentra in centri di studi come nel VI secolo D. C. vi furono le fondazioni
dei monasteri benedettini.
Nell’evoluzione storica vi è l’etica,
come dalla Grande Guerra nacque un uso della violenza diffuso e una rigida
pianificazione economica, con una esasperazione della teoria marxista, la
diffusione di regimi totalitari, ma anche l’ingresso delle masse nell’agire
politico e la conseguente trasformazione dei regimi liberali.
Attualmente vi è in corso quello che è
stato definito un “caos imperiale”, con una “privatizzazione politica” degli
eserciti ufficiali a cui si affiancano gli imprenditori degli “eserciti
privati”, senza che vi siano confini ben definiti, una globalizzazione senza un
centro chiaro ma con una periferia informe adatta ad una élite internazionale
di imprenditori e finanzieri, coperti dal “pensiero unico” imperante.
Sopra una apparente legalità sostenuta
da organismi sovranazionali vi sono lobby e corporation che agiscono fuori da
regole, appoggiate sulla nuova tecnologia che interconnette il globo, senza una
“cultura del limite” pur necessaria al fine del recupero del senso comunitario
(Cardini).
BIBLIOGRAFIA
·
R. Kurzwell, Come
creare una mente, Apogeo ed., 2013;
·
Z. Bauman, Nati
liquidi, Sperling & Kupfer, 2017;
·
F. Cardini, La
derivi dell’Occidente , Ed Laterza, 2023;
·
F. Rampini,
Suicidio occidentale. Perché è sbagliato
processare la nostra storia e cancellare i nostri valori, Mondadori, 2021.